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«Il Cacciatore di Orizzonti» è dunque molto più di un disco di canzoni: è concept totale, in cui musica, parola ed immaginario si fondono in un racconto che interroga il presente e invita a non smettere di cercare.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Con il suo sesto lavoro discografico, intitolato emblematicamente «Il Cacciatore di Orizzonti» (Asle Music Records, 2025), Peppe Santangelo si affranca dalle consuete traiettorie jazzistiche per intraprendere un nuovo cammino espressivo, in cui la parola cantata si fa veicolo di una poetica esistenziale e civile. Il disco, composto da dodici brani, si attesta come un vero e proprio itinerario dell’anima, un diario di bordo in cui l’autore siciliano, affiancato da una compagine di musicisti di rara sensibilità, esplora i territori incerti della contemporaneità con lo sguardo del viandante e la voce del poeta.

Il motivo d’apertura, «Immagina o Musa (Il Varo)», è una dichiarazione d’intenti che richiama l’invocazione epica dell’incipit omerico, ma trasposta in chiave moderna. Santangelo, come un novello Ulisse, si rivolge alla Musa non per ottenere gloria, ma per trovare la forza di attraversare il mare interiore della creazione. La sua voce, qui recitante, si fa eco di un’urgenza spirituale che attraversa l’intero album. L’invocazione iniziale richiama anche l’atto creativo di Rainer Maria Rilke nei «Sonetti a Orfeo», dove la Musa non è più solo ispiratrice, ma compagna di un viaggio interiore. Il varo è anche un gesto simbolico caro a Joseph Conrad, che nei suoi romanzi marittimi associa la partenza al mistero dell’esistenza. La title-track, «Il Cacciatore di Orizzonti», si sostanzia come un manifesto autobiografico e insieme un omaggio a tutti coloro che, come scriveva Pavese, «non si accontentano del mondo così com’è». Il racconto si muove tra introspezione e slancio visionario, evocando atmosfere che ricordano le sequenze oniriche di «La strada» di Fellini, dove il viaggio è sempre anche un ritorno a sé stessi. Il titolo evoca «l’homo viator» di Gabriel Marcel, ma anche il «cercatore» di Italo Calvino ne «Il castello dei destini incrociati», dove ogni orizzonte è una soglia narrativa. Il significato potrebbe essere letto come una risposta musicale al «desiderio di altrove» che permea la poesia di Baudelaire.

Tematicamente, l’album alterna momenti di riflessione sociale – come in «Salsedine», che affronta il dramma della guerra con la delicatezza di un acquerello tragico. Il tema della guerra, filtrato attraverso la metafora, rimanda a «Il deserto dei Tartari» di Dino Buzzati, dove l’attesa del conflitto diventa condizione esistenziale. La salsedine è perfino simbolo di memoria e perdita, come nel cinema di Theo Angelopoulos. In «Lo Spettatore», Santangelo che denuncia la deriva passiva dell’era digitale attraverso una critica che riecheggia il pensiero di Guy Debord ne «La società dello spettacolo». Il tema sembra interrogare lo sguardo anestetizzato dell’uomo contemporaneo, come fa Antonioni in «Blow-Up» Ci sono poi alcuni quadri intimistici, quali «Nuvole» e «Viaggia con me», in cui l’amore e la ricerca identitaria si fondono in un lirismo rarefatto, quasi cinematografico: «Viaggia con me» è una promessa amorosa che si colloca nella tradizione epistolare di Rilke o nelle lettere d’amore di John Keats. Il viaggio a due è anche un topos cinematografico che va da «Before Sunrise» a «La strada» di Fellini; «Nuvole» rappresenta il riflesso nel mare, richiamando il tema dello «specchio» caro a Pirandello, ma persino la malinconia visiva di Magritte. Le nuvole, come in «Le nuvole» di Aristofane, diventano simbolo di mutamento e pensiero.

Non mancano episodi di leggerezza e vitalismo, come «Come l’onda che spuma» o «Milady», che sembrano usciti da una colonna sonora di un commedia neorealista, con la loro freschezza narrativa e la loro musicalità solare: «Come l’onda che spuma» evoca la leggerezza calviniana, quella «levità pensosa» che trasforma l’onda in metafora del tempo e del desiderio. Il tono narrativo ricorda certi racconti di Gianni Rodari, dove l’ironia si fa veicolo di saggezza; «Milady» è una canzone che potrebbe essere il pendant musicale della «Milady» de Winter di Dumas, ma trasfigurata in chiave pop. La leggerezza giovanile richiama le atmosfere di «Vacanze romane» o di taluni romanzi di Enrico Brizzi. In «A lezione di sogni», invece, si percepisce un’eco pascoliana, un invito a custodire l’infanzia dello sguardo anche nell’età adulta. Un titolo che potrebbe appartenere ad un racconto di Borges o ad una poesia di Prévert. L’idea di «imparare a sognare» diviene profondamente romantica, ma anche pedagogica, come nei testi di Gianni Celati o nei film di Truffaut. Il disco si chiude con tre canzoni di forte impatto simbolico: «Mediterraneo», tributo ad un mare che è culla e confine, memoria e presente; un omaggio che si intreccia con la poesia di Kavafis e la narrativa di Camus. Il Mediterraneo, quale mare di civiltà e conflitti, come raccontato da Predrag Matvejević nel suo celebre «Breviario mediterraneo»; «L’uomo che mi ha rapita» è un racconto che si può leggere come una variazione sul tema del «padre maestro», da Kafka a Philip Roth. La figura paterna qui è sottratta al trauma e restituita alla tenerezza, come nei versi di Pascoli. «Navigante» rappresenta una riflessione metapoetica sul ruolo dell’artista quale esploratore dell’invisibile. Il poeta come navigante richiama l’immagine rimbaudiana del «battello ebbro», ma anche il «viaggiatore senza mappa» di Bruce Chatwin. È una chiusura che apre, un finale che rilancia il senso del cercare.

Sostenuto dalla consolidata sezione ritmica: Michele Frigoli chitarre, Gianmarco Straniero contrabbasso e basso elettrico Francesco Di Lenge batteria e percussioni,la scrittura musicale di Santangelo, mantenendo una radice jazzistica, si apre a contaminazioni pop, folk e cameristiche, con arrangiamenti raffinati che valorizzano ogni timbro: dal friscaletto alla viola da gamba, dalla tromba lirica di Fabio Buonarota alle voci femminili di Elsa La Face e Annarita Rumore, ogni elemento contribuisce a costruire un affresco sonoro coerente e suggestivo. «Il Cacciatore di Orizzonti» è dunque molto più di un disco di canzoni: è concept totale, in cui musica, parola ed immaginario si fondono in un racconto che interroga il presente e invita a non smettere di cercare. Come scriveva Italo Calvino in «Le città invisibili», «ogni viaggio è sempre un ritorno all’origine». Santangelo, con questo lavoro, ci ricorda che l’origine è sempre il desiderio.

Peppe Santangelo
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