Roberto Zechini, traiettorie chitarristiche oblique per una sintassi in perenne divenire
Roberto Zechini si qualifica come alimentatore di una dimensione chitarristica che, pur radicandosi in un’erudizione jazzistica rigorosa, si distanzia da ogni adesione idiomatica precostituita, trovando affinità con alcune dominatori del chitarrismo jazz del secondo Novecento, i quali hanno elaborato linguaggi non scolastici, atti ad allargare la funzione della chitarra ben oltre il ruolo solistico o accompagnatorio.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Jazz, musica colta, elettronica, tradizione orale convivono in un campo di forze magnetiche che genera inedite soluzioni esecutive e percettive. L’ibridazione non si delinea sulla scorta di una fusione, ma piuttosto come frizione, mentre la contaminazione diventa metodo e la scrittura si traduce in un flusso di pensiero autorigenerante. L’intreccio sonoro non si lascia intrappolare in uno stilema dai contorni tracciabili, diversamente si manifesta alla stregua di processo in divenire. Roberto Zechini nasce a Fermo nel 1961. Fin da giovanissimo si avvicina alla chitarra, non come strumento da padroneggiare, ma come territorio da esplorare. La sua formazione si sviluppa lungo traiettorie multiple: studia con George Fewell e Fabio Zeppetella, approfondisce le tecniche d’improvvisazione con Riccardo Ciammarughi e lavora sull’arrangiamento jazz presso il Conservatorio di Frosinone. Ma la musica non si chiude nella pratica strumentale. Il chitarrista marchigiano affianca alla ricerca sonora una riflessione linguistica e filosofica: si laurea in Lingua e Letteratura Russa tra San Pietroburgo e Macerata, frequentando per tre anni il corso di Estetica Filosofica tenuto da Giorgio Agamben. L’idioma russo, basato su una sintassi obliqua ed un’opulenza semantica non comune, si traduce in un modello di implementazione musicale, mentre l’estetica, con la capacità di sospendere il senso e di interrogare la forma, s’innerva nella pratica compositiva.
L’attività di Zechini si sostanzia attraverso più di ottanta lavori originali, in cui qualsiasi composizione nasce da un’inquietudine interiore, diramandosi in un impianto ritmico ed armonico, che si dilata nel tempo dell’ascolto. Il progetto «Echoes Sustain Able» ne incarna una delle espressioni più compiute: una fucina che coinvolge giovani musicisti provenienti da diverse regioni d’Italia, espandendosi in virtù di collaborazioni internazionali, come quella con Mike Rossi, sassofonista e docente presso l’Università di Città del Capo. Nel 2012 il musicista di Fermo presenta in Sudafrica il paper «Contamination», riflessione teorica sull’ibridazione musicale. La traiettoria del chitarrista marchigiano si distingue per l’attitudine ad annodare composizione, ricerca teorica e pedagogia. La chitarra si colloca al centro di un processo che coinvolge gesto, struttura e visione, mente il costrutto sonoro si evolve come habitat circolare e l’esecuzione si espande come narrazione dinamica. Zechini si muove tra concerti, partiture e collaborazioni, mentre la sua didattica si conforma in maniera simile ad una strutturazione di spazi dove il dubbio stimola la creatività. Il laboratorio-orchestra «Il Chitarreto dei Jazzemani» nasce nel 2011 come coabitazione riservata alla sperimentazione confluente tra scrittura, improvvisazione ed interplay. La compagine risulta modulare, aperta e sempre accompagnata da basso e batteria. Il gruppo si evolve in una dimensione mobile, dove la didattica si sostanzia, puntando all’esercizio condiviso, mentre la pratica strumentale diventa un dispenser di idee e la scrittura un’elaborazione collettiva. I giovani musicisti partecipano ad un processo che valorizza la memoria attiva e la variazione, dove ciascun incontro diviene occasione di mutamento. Sulla scorta di tali pratiche, lo stile di Zechini può essere avvicinato a quello di Ralph Towner per l’attitudine alle strutture armoniche diseguali, a quello di Egberto Gismonti per la versatilità nel prospettare soluzioni sonore multistrato, nonché a quello di Steve Coleman per la distribuzione ritmica fondata su metriche irregolari e su una metodologia intervallare complessa. Tuttavia, ogni riferimento si definisce sempre come punto di partenza e mai come modello da replicare.
Roberto Zechini elabora una scrittura musicale che si fonda su una pratica armonica interiormente modulare, dove ogni successione accordale viene trattata come nodo sintattico e ciascuna articolazione si si propaga sulla base di una logica di rilancio strutturale. La chitarra, strumento che egli padroneggia con perizia tecnica e consapevolezza timbrica, oltrepassa il concetto di semplice veicolo espressivo, delineandosi come superficie di espressione teorica e luogo in cui il gesto si sedimenta. La dimensione armonica si distingue per una predilezione verso strutture modali e policentriche, con frequenti allontanamenti da sistemi tonali convenzionali. Le progressioni non si risolvono secondo formule cadenzali canoniche, ma emergono come movimenti che agognano la sospensione e la torsione. L’uso di accordi quartali, sovrapposizioni scalari ed ambiguità funzionali promulga una ricerca che si posiziona nel solco di una tradizione post-tonale, ma che evita qualsiasi adesione stilistica precostituita. In a «A Deep Surface», realizzato con il pianista e fisarmonicista brasiliano Guilherme Ribeiro, la ripartizione armonica procede sulla spinta una dialettica tesa tra stratificazione ritmica e velatura acustica. Ribeiro, dotato di una sensibilità melodica e di una padronanza contrappuntistica che affonda le radici nella tradizione brasiliana colta, contribuisce a puntellare un ambiente sonoro in cui la fisionomia del suono si plasma secondo curvature timbriche e variazioni dinamiche. La pagina musicale non si limita a evocare, bensì imbastisce un tessuto espressivo che si proietta nell’atto interpretativo. Le affinità internazionali di Zechini non si esauriscono in collaborazioni occasionali, ma si fondano su consonanze strutturali. Mike Rossi, sassofonista e teorico della didattica jazzistica, partecipa a diversi suoi progetti condividendone la visione.
Tra i riferimenti più pertinenti, Pat Metheny rappresenta una figura con cui Zechini condivide una tensione formale che affiora nel fluire della composizione, piuttosto che nella reiterazione di stilemi. Metheny, nella suo sistema operativo, impiega strutture accordali che s’intensificano mediante sovrapposizioni scalari, asimmetrie modali e progressioni policentriche. Sulla scorta di queste pratiche, il chitarrista marchigiano elabora una grammatica che si astiene dalla citazione. Per contro, tratteggia ambientazioni sonore, in cui la chitarra assume una funzione sintattica, atta a promulgare percorsi narrativi e ad impiantare snodi tematici. Il succitato Ralph Towner, con la sua predilezione per la chitarra classica e per una partitura che si avvale di metodologie contrappuntistiche e timbriche raffinate, offre un altro punto di contatto. Zechini, come Towner, impiega la chitarra come superficie di pensiero, erigendo la fisionomia del suono mediante digressioni dinamiche, velature acustiche e curvature armoniche che tendono alla sospensione strutturale. Bill Frisell, nella sua capacità di impiegare la chitarra come strumento di evocazione timbrica, si attesta in una zona di affinità con la prassi zechiniana. Tuttavia, mentre Frisell mira ad una rarefazione espressiva che si consuma nel riflesso di una poetica minimalista, Zechini conforma la propria scrittura secondo una ratio di ricchezza formale, dove qualsiasi elemento viene trattato come punto di svolta e qualunque variazione come rilancio armonico. Più distante, ma comunque pertinente, la figura di Steve Cardenas, il cui modus agendi si regge su una tecnica intervallare che favorisce la torsione e l’ambiguità. Zechini, in virtù della sua formazione filosofica e linguistica, impiega prassi accordali che si srotolano per scollamento e tensione, evitando qualsiasi linearità funzionale. La compliance tra i due si manifesta nella versatilità a generare frasi musicali tutt’altro che illustrative e decorative. Si avverte, inoltre, una vicinanza con il modulo espressivo di Wolfgang Muthspiel, chitarrista austriaco dotato di una sensibilità armonica che si dispensa mediante sovrapposizioni scalari, modalità bifronti e una fidiologia del suono che attiene alla vaporizzazione strutturale. Muthspiel considera la chitarra alla medesima stregua di una piattaforma modulare, progredendo per germinazione sulla base di piegature ritmiche ed analogie divergenti. Per contro, Zechini, impiega la digressione, quale principio compositivo. Nel fluire del suo modulo espressivo si riconosce anche una consonanza con la prassi di Marc Ducret, chitarrista francese che ha elaborato un linguaggio fondato sulla frizione tra strutture metriche irregolari e profili acustici polimorfici. Per Ducret la chitarra assume le sembianze di uno strumento polifonico, in grado di generare ambienti sonori che si fissano sulla scorta di una reiterata formula fatta logiche di tensione e rilascio. Più laterale, ma non meno pertinente, la figura di Ferenc Snétberger, chitarrista ungherese il cui dettato si appoggia su una sintesi fra tradizione colta europea e prassi improvvisativa. Snétberger gestisce la chitarra come strumento narrativo, innescando una procedura che si estrinseca attraverso un’idea più frastagliata di melodia e di incentivazione fonica. Zechini, pur evitando ogni adesione stilistica, ne condivide l’ampia apertura, ed una reattività che affiora dalla mutazione, quale principio generativo di una percettività dissonante che s’innesta nel tessuto della composizione.
Lo stile compositivo di Roberto Zechini si dirama per espansione formale, dove la chitarra non viene impiegata come semplice veicolo melodico, bensì come strumento di architettura sintattica e di modellazione acustica ed in cui ogni singolo passaggio strumentale si conforma nel fluire di una tensione tesa alla moltiplicazione. Il chitarrista fermano impiega con frequenza accordi quartali, strutture intervallari oblique, incastri ritmici che generano una fisionomia del suono interiormente frastagliata. L’uso della dissonanza non si traduce in una rottura, bensì in un incremento delle possibilità creative, con l’adozione di un approccio differenziato ed ortograficamente consapevole in relazione all’impiego della chitarra acustica o elettrica, trattando ciascuno dei due strumenti come sistema operativo autonomo, nonché dotato di specificità estetiche e di potenzialità generatrici distinte. La chitarra acustica viene utilizzata come superficie di risonanza naturale, capace di dare vita ad una trama espressiva che si modella nelle qualità dell’oggetto fisico e che si sedimenta nella dinamica del tocco. Zechini ne valorizza la cassa armonica come spazio di proiezione fonica, sfruttando la risposta fisica dello strumento per allestire episodi musicali in cui la tensione si evolve mediante movimenti variati e curvature ritmiche. L’acustica diventa luogo di interpolazione melodica, ma anche di contrappunto interno, dove la polifonia si genera per mezzo di incastri intervallari e sovrapposizioni scalari. La chitarra elettrica, al contrario, viene trattata come strumento di modulazione timbrica e di espansione sintattica. Zechini ne impiega la versatilità fonica per costruire ambienti sonori multitasking, dove la fisionomia del suono si esterna mediante l’uso calibrato di effetti, equalizzazioni e differenti moduli di attacco. In «Echoes Sustain Able» (Notami Jazz, 2023), la partitura cresce secondo una logica verticale, dove ogni sezione viene sagomata, quindi deformata, con l’ausilio di materiali armonici distinti e destinazioni foniche trasversali. La chitarra acustica, impiegata come matrice ritmica ed estetica, delinea un tracciato che indica un vettore di demarcazione. L’elettrica, invece, interviene per alterare le sembianze del suono, introducendo agglutinazioni abrasive che non si accatastano, ma s’infiltrano nella struttura. Il verbo «deformare» trova senso nella manipolazione del profilo acustico che, in qualunque intervento, modifica l’equilibrio interno, genera un’inedita simmetria, aprendo uno spazio espressivo inatteso. «Alterare» non indica una fuga, bensì una torsione, mentre la prassi accordale viene piegata, la metrica subisce una rotazione ed il fraseggio s’incanala verso una direzione obliqua. «Incanalare» implica una costruzione sintattica, in cui le voci strumentali non si affiancano, ma penetrano la trama creativa sulla scorta di una ratio contrappuntistica imperfetta, dove ogni elemento assume una funzione precisa nel processo esecutivo, per poi disattenderla. La presenza di Mike Rossi e Giovanni Falzone non introduce voci esterne e complementari, ma piuttosto le spinge a contribuisce alla definizione di un impianto formale condiviso, in cui il sassofono e la tromba strutturano al pari della chitarra, mentre ciascun intervento si annoda alla tessitura compositiva. Episodi come «La cognizione del dolore» e «Pietroburgo» attestano una sintassi accordale che si dipana attraverso un meccanismo evolutivo fatto di linee trasversali. «Bruto» (Wide, 2009) produce un intreccio motivico che cammina sui carboni ardenti dell’obliquità ponderata, evitando la linearità ed optando per il deragliamento. Le composizioni si modellano mediante incastri ritmici e sovrapposizioni scalari, dove la chitarra elettrica assume una funzione sintattica, capace di generare snodi tematici e torsioni armoniche. L’uso della dissonanza viene trattato come rilancio, mai come rottura. Episodi come «Euforia sospetta» e «Seconda Amalassunta» delineano una grammatica fonica che si esalta nel gesto, dilatandosi nel portato formale. Il modus agendi si posiziona in prossimità della prassi di Marc Ducret, ma ne evita la rarefazione, preferendo un’opulenza strutturale che si deposita progressivamente nel tempo dell’ascolto. In sintesi, Zechini si qualifica come alimentatore di una dimensione chitarristica che, pur radicandosi in un’erudizione jazzistica rigorosa, si distanzia da ogni adesione idiomatica precostituita, trovando affinità con alcune dominatori del chitarrismo jazz del secondo Novecento, i quali hanno elaborato linguaggi non scolastici, atti ad allargare la funzione della chitarra ben oltre il ruolo solistico o accompagnatorio.

