«Kind Of…» di Antonio Faraò Piano Solo: un diario armonico in dodici movimenti (Notes Around Ag, 2025)

Antonio Faraò, templare delle armonie – anche le più recondite – e disegnatore di spazi acustici, si cimenta attraverso un ventaglio di esecuzioni dove ogni nota contribuisce a delineare un habitat affettivo, in cui prova a raccontarsi senza maschere, affidando al pianoforte il compito di dire ciò che le parole non possono e che si svela attraverso un lento procedere, non tanto per carenza di assertività e dinamismo, ma per consapevolezza di maturità raggiunta.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Antonio Faraò, figura eminente del pianismo jazz europeo, consegna al pubblico una pagina musicale che si dispone nel alveo dei lavori più intimi e meditate della sua carriera: «Kind Of…», edito da Notes Around Ag, sancisce il suo primo cimento in piano solo, un territorio che il compositore milanese ha scelto di esplorare con la consapevolezza di chi ha attraversato decenni di palcoscenico e di vita musicale. Non si tratta di un semplice esercizio di stile, bensì di un vero e proprio atto di rivelazione, in cui l’artista si espone senza mediazioni, affidando alla voce del pianoforte il compito di raccontare, incantare e sedurre.
La struttura tematica dell’album si sostanzia in dodici episodi sonori, otto dei quali originali, mentre i restanti quattro costituiscono riletture di composizioni storiche: «There Will Never Be Another You» di Harry Warren, «O Que Será» di Chico Buarque de Hollanda, «Round Midnight» di Thelonious Monk e «I Didn’t Know What Time It Was» di Richard Rodgers. Queste riletture, lungi dall’essere semplici tributi da versare, vengono riforgiati mediante un afflato armonico che ne ridefinisce le prospettive, facendo affiorare una sensibilità interpretativa che si nutre di stratificazioni acustiche, di modulazioni inattese e di una cantabilità che non indulge mai nel sentimentalismo. La traiettoria di Faraò si connota per un’opulenza espressiva che rifugge ogni retorica. Il suo tocco, tecnicamente raffinato ed interiormente articolato, plasma un universo acustico in cui la tensione non è mai esibita, bensì suggerita, insinuata nel fluire delle progressioni armoniche e nel respiro delle pause. L’energia ritmica, da sempre cifra distintiva del suo modus operandi, si manifesta in forme più contenute, ma non meno incisive: ogni accento, qualsiasi dislocazione metrica, qualunque fraseggio sincopato contribuisce a delineare una fisionomia del suono che si fa narrazione. «Kind Of…» non baratta un semplice lotto di brani ai fini di una proficua esecuzione formale, ma promulga un gesto artistico che s’instaura nel cono d’ombra di un ragionamento più ampio sul ruolo del pianista solista nel jazz contemporaneo. Faraò, consapevole della responsabilità che tale approccio comporta, affronta la sfida con una maturità che si traduce in equilibrio estetico e carotaggio emozionale. La sua fisiologia sonora, pur radicata nella tradizione afro-americana, si apre a contaminazioni che spaziano dalla musica colta europea alla canzone d’autore brasiliana, passando per suggestioni cinematiche e richiami alla musica modale.
La composizione eponima, «Kind Of…», sancisce un titolo che diventa una sorta di manifesto poetico, nel riflesso di una spiritualità laica, dove il cromatismo si arricchisce di velature gospel e accenti blues, senza mai cadere nella citazione didascalica. Le riletture dei classici, lungi dall’essere esercizi di stile, si delineano come veri e propri dialoghi con la storia. La scelta di affrontare il piano solo dopo oltre quarantacinque anni di carriera non risponde ad una ratio celebrativa, bensì ad un’urgenza espressiva maturata nel tempo. Come lo stesso Faraò dichiara: «Kind Of… è il frutto di una lunga gestazione, di un percorso che ha richiesto silenzio, ascolto, e una profonda interiorizzazione del gesto musicale. In questo senso, il disco si presenta come una sorta di diario sonoro, in cui ogni traccia corrisponde a una tappa, a una riflessione, a un’intuizione». Il fraseggio, sempre fluido e mai ridondante, si staglia sulla scorta di una musicalità eloquente che trova i punti di forza nella varietà ritmica e nella ricchezza armonica. Le incursioni nell’out playing, dosate con accortezza, non rappresentano una fuga dalla forma, bensì un’estensione del linguaggio, una modalità per espandere il campo semantico del pianoforte. Il risultato costituisce una partitura che oltrepassa la descrizione per diventare pensiero incarnato.
«There Will Never Be Another You» si apre come una dichiarazione di poetica. La rilettura di Faraò non si limita a citare. Il tema, pur mantenendo la sua riconoscibilità, viene immerso in una tessitura armonica che ne espande le possibilità narrative. La linea melodica si muove con discrezione, sostenuta da un accompagnamento che suggerisce più di quanto affermi, lasciando spazio ad una riflessione sul tempo e sulla memoria. «Kind Of…» si sviluppa come una meditazione sonora, in cui ogni elemento sembra emergere da un pensiero interno, mai esibito. La costruzione formale si fa sostanza attraverso una serie di variazioni tese alla mera coerenza. Il pianoforte diventa strumento di scavo, capace di delineare paesaggi emotivi con una procedura sottrattiva che agogna il dettaglio e la nuance. «O Que Será» viene affrontata con una sensibilità che ne coglie il sussulto implicito. Faraò ne distilla l’essenza, lasciando che la melodia si adagi su un impianto armonico, programmato per amplificare il costrutto motivico. Il ritmo, appena accennato, indica un movimento interno, una danza trattenuta ed una nostalgia che non si concede all’enfasi. «Pina» si segnala come una composizione che respira, muovendosi con grazia ed intensità. La partitura, costruita su intervalli ampi e su una dinamica che alterna raccoglimento e slancio, lascia affiorare un’ambientazione lirica che si alimenta di silenzi e di sospensioni. Il pianoforte dipinge una coreografia interiore che si solidifica nell’immaginario attraverso il suono.
«Around» si distingue per un impianto che si avvolge su se stesso, generando una spirale tematica in cui il motivo principale viene continuamente riformulato. La scrittura ritmica, incisiva e frammentata, dialoga con una tessitura accordale che si apre a soluzioni inattese, immettendo in ruolo una visione compositiva che si sorregge sulla trasduzione e sull’ascolto profondo. «MT» si muove in una dimensione più percussiva, dove il pianismo di Faraò diventa materia malleabile e vivida. La costruzione modulare favorisce la successione di quadri sonori che si alternano secondo una logica di accumulo e rilascio. Le pause, calibrate con precisione mercuriale, diventano parte integrante del discorso, contribuendo a definire un tempo interiore che si dilata e si contrae. «Ballad For Four» si distende con naturalezza, lasciando che la melodia si sviluppi senza fretta, sostenuta da un accompagnamento che privilegia le trasparenze. Il portato accordale, discreto e grana sottile, genera un ambiente di risonanza in cui ogni nota trova la propria compliance. «’Round Midnight» viene affrontata con una lucidità interpretativa che ne coglie la complessità senza appesantirla. Faraò ne decanta l’essenza, lasciando che il tema emerga come un’eco, quasi un pensiero che riaffiora lentamente. La scrittura, ricca di cromatismi e deviazioni armoniche, si muove con eleganza, offrendo una lettura che induce all’introspezione. «Gospello» si presenta come una composizione che innesca una spiritualità implicita, mai dichiarata. Il ritmo, pulsante e sincopato, si annoda con una melodia che si sposta tra evocazione e affermazione. L’aura fonica, arricchita da velature blues ed accenti gospel, costruisce un ambiente acustico che appoggia su un multistrato culturale e su una frizione emotiva trattenuta. «I Didn’t Know What Time It Was» si sviluppa con levità e trasparenza. Faraò ne intercetta la grazia e la fluidità, traducendole in una narrazione che privilegia il dettaglio, la sfumatura ed il minimalismo, lasciando che la melodia respiri, che il tempo si dilati e che il silenzio diventi parte integrante del discorso. «My Blues» si distingue per una metodologia che rielabora con intelligenza le coordinate del genere. Il ritmo, incisivo e mobile, si amalgama con una tessitura accordale che trattiene e rilascia, suggerendo una visione personale del blues, più riflessiva ed interiorizzata. «Sulle Nuvole» chiude i battenti dell’album con una tessitura motivica che dribbla tra sospensione e leggerezza. La melodia, semplice ma non banale, si distende su un accompagnamento che vezzeggia le trasparenze e le risonanze. Il pianoforte diviene strumento di contemplazione, capace di propiziare un clima di quiete, di raccoglimento e immersione totalizzante. A conti fatti, «Kind Of…» si posiziona nel solco di quei lavori che non cercano il consenso immediato, ma la risonanza progressiva. Antonio Faraò, templare delle armonie – anche le più recondite – e disegnatore di spazi acustici, si cimenta attraverso un ventaglio di esecuzioni dove ogni nota contribuisce a delineare un habitat affettivo, in cui prova a raccontarsi senza maschere, affidando al pianoforte il compito di dire ciò che le parole non possono e che si svela attraverso un lento procedere, non tanto per carenza di assertività e dinamismo, ma per consapevolezza di maturità raggiunta.
