«Su la testa!»: paesaggi sonori tra immaginario cinematografico e tensione sociale nel debutto di ANÈ feat. Takkarate Boys (Filibusta Records, 2025)

«Su la testa!» è un lavoro dalla forte identità poetica e urbana, che guarda al passato per decifrare il presente, e lo fa attraverso un linguaggio che rifugge l’ovvietà per abbracciare il rischio, la complessità e l’ascolto immersivo.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Nel panorama delle produzioni musicali indipendenti italiane, «Su la testa!» s’impone come un’opera prima di notevole pregnanza estetica e concettuale. Il progetto, firmato da ANÈ in collaborazione con i Takkarate Boys e pubblicato da Filibusta Records, si delinea come un corpus compositivo a vocazione cinefila: ogni brano è un quadro sonoro, una scena evocata, un’architettura acustica che rende udibile l’invisibile. L’album si distingue per un approccio quasi interamente strumentale, dove la voce si fa timbro narrativo e non mera articolazione del linguaggio verbale. La scelta di associare ciascun brano a una scena cinematografica, arricchita da un sottotitolo esplicativo, rivela un’istanza semantica profonda: la musica non è solo evocazione, ma riflessione, critica e rappresentazione di uno stato d’animo collettivo. Parliamo di un un lavoro che rifugge le etichette facili: non è jazz nel senso stretto del termine, né è puramente rock o world music. Piuttosto, è un organismo poliedrico che si sviluppa per suggestioni, radicato in un’estetica tardo novecentesca animata da una forte tensione contemporanea.
Sul piano stilistico, la matrice rock-jazz-world, fortemente intrisa di echi anni ’70 e ’80, conferisce al disco un sapore rétro e attuale al contempo. Il groove, pulsante e materico, si intreccia con linee melodiche di sapore cosmico e urbano, in una sintesi che rilegge le contraddizioni del presente in chiave sonora. È qui che «Su la testa!» afferma la propria urgenza espressiva: nell’aderenza viscerale al disagio contemporaneo, trasfigurato in una narrazione musicale che oscilla tra denuncia e sogno. La formazione, composta dal sassofonista e vocalist Fabio Mancano e dai Takkarate Boys (Andrea Nicolè alla batteria, Loris Ruscitti al piano e tastiere, Raffaele Ventura Costa al basso), si arricchisce della presenza di ospiti rilevanti come Jacopo Barbato alla chitarra e Cristian Fortucci all’organo, contribuendo ad una tavolozza timbrica ampia e stratificata. Ogni musicista s’innesta nel discorso collettivo con misura e consapevolezza, senza mai eccedere in protagonismo, ma contribuendo alla coesione di un racconto condiviso. Infine, la tracklist – da «Peterpaniko» a «Way Out» – suggerisce un percorso narrativo che attraversa conflitti interiori, utopie, tensioni socio-politiche e derive digitali («Welcome AI» è un titolo emblematico), in un concept che si potrebbe definire «colonna sonora di un presente immaginario».
La scrittura musicale è coesa ma mai prevedibile: i dialoghi tra sax, tastiere e sezione ritmica creano momenti di lirismo e frizione. I suoni vintage, ben dosati, non indulgono mai in nostalgia sterile, ma piuttosto in una riattualizzazione creativa del passato. «Peterpaniko», ironica e destabilizzante, si apre con una melodia onirica interrotta da sincopi nervose. Il titolo gioca tra infantilismo e nevrosi urbana. Colonna sonora perfetta di una fuga incompiuta. «Anè-stesya», il titolo evoca l’anestesia come sospensione emotiva. Tra synth rarefatti e groove ipnotici, è una riflessione su apatia e rimozione interiore. La voce di Mancano qui è sussurro e spina dorsale. In «Tu non sparerai» il registro si fa più militante: un funk teso, quasi cinematografico, che trasuda tensione sociale. Il sottotitolo rimanda all’autocontrollo come atto rivoluzionario. «Su la testa!»: il brano eponimo è un manifesto marziale dall’elevato gradiente melodico, diretto, con un crescendo che richiama la chiamata all’azione, divenendo il cuore ideologico del disco. «Califoggia Dreamin’» è un ibrido destabilizzante tra spaghetti-western psichedelico, fatti di cronaca e lounge metropolitano. Un sogno provinciale travestito da fuga americana, come un inseguimento su una lunga free way.
«Welcome AI», tra elettronica ed alienazione, i tappeti sonori fluttuano come droni sopra paesaggi disumanizzati, mentre le parole del testo sembrano ingrandire il senso di fuga dalla realtà. Il dialogo uomo-macchina è aperto, ma inquietante. «Woot & Comin’», quasi un (p)funk ancestrale e sghembo, dal portamento tribale, quasi rituale con le percussioni di Pingitore che dominano tentando di evocare una danza di resistenza, una preparazione alla lotta. «Sott a chi Tokk», il gioco di parole con «TikTok» non è casuale: ritmo ossessivo e struttura spezzata disegnano la frenesia digitale e la perdita del tempo profondo. «Way Out», si avvale ancora del testo per evidenziare linee di confine tra frustrazione e disagio sociale, fungendo oltremodo da epilogo meditativo. Un canzone sul modello Napoli Centrale che non risolve, ma lascia una via d’uscita aperta, forse immaginaria: l’organo di Fortucci è una lanterna nel buio. In sintesi, «Su la testa!» è un lavoro dalla forte identità poetica e urbana, che guarda al passato per decifrare il presente, e lo fa attraverso un linguaggio che rifugge l’ovvietà per abbracciare il rischio, la complessità e l’ascolto profondo. La qualità più interessante del progetto risiede nella sua architettura concettuale: come già detto, ogni traccia è ispirata a un’immagine filmica, ma funge anche da metafora psico-sociale. Questo doppio registro narrativo e riflessivo consente ai temi trattati di agire sia come esperienza percettiva che come stimolo critico, dove il groove funziona da collante emotivo, mentre le melodie delineano itinerari interiori.
