«Is That Jazz? Celebrating Gil Scott Heron», di Silvia Bolognesi & Eric Mingus

Si spazia dai momenti di riflessione letteraria ai ritmi più borbottanti e groovin’, che permettono di perlustrare ogni sfumatura della genetica compositiva di Scott-Heron, intellettuale sopraffino, musicista e attivista, considerato uno dei precursori dell’hip-hop, il cui sound, trascinato dalla poetica antagonista dei testi, mescolava jazz, soul, blues e spoken word.
// di Francesco cataldo Verrina //
«Is That Jazz? Celebrating Gil Scott Heron» si attesta come un tributo non convenzionale capace di brillare di luce propria – e con un forte impatto esecutivo – nel rispetto del materiali di riferimento. L’approccio di Silvia Bolognesi, potente e ispirato, erige un ponte tra generazioni, fondendo le sonorità tradizionali con un’urgenza ed una sensibilità contemporanea. L’album non è solo un omaggio estetico o accademico, ma una rilettura intensa e rispettosa dell’eredità di Scott-Heron, contrassegnata da arrangiamenti non prevedibili e da una superlativa performance vocale. Il progetto riesce a trasmettere integralmente l’essenza del messaggio originario ed il contesto storico da cui trae spunto, mantenendo viva la sua influenza ed il legame con l’hic et nunc della musica, soprattutto senza mai annichilirsi troppo sul nostalgismo e sul passato. L’incontro con Eric Mingus, artista radicato nella cultura afrologica e nella tradizione nero-americana, aggiunge autenticità al concept.
L’opera è suddivisa in cinque parti, comprendenti quattordici tracce, con un filo conduttore dettato da «The Revolution Will Not Be Televised», che ritorna ciclicamente, divenendo il motore mobile e la colonna portante dell’intero lavoro. I contributi sonori spaziano da momenti di riflessione letteraria a ritmi più borbottanti e groovin’, che permettono di perlustrare ogni sfumatura della genetica compositiva di Scott-Heron, intellettuale sopraffino, musicista e attivista, considerato uno dei precursori dell’hip-hop, il cui sound, trascinato dalla poetica antagonista dei testi, mescolava jazz, soul, blues e spoken word. La sua opera più celebre, «The Revolution Will Not Be Televised», è diventata un manifesto della protesta civile, con testi che denunciano le ingiustizie e le contraddizioni della plutocrazia americana. Autore di album fondamentali come «Pieces Of A Man» e «Winter In America», Gil ha contribuito a delineare i tratti salienti di un soul progressivo e scarnificato e di un jazz-funk ispido e pugnace, dove parole a ruota libera e canto diventano una potente arma di contestazione nei confronti del potere costituito; nondimeno la sua musica ha avuto un impatto enorme sulla cultura afro-americana e sulla nascita del rap consapevole
Muovendo dal portato originario di Gil Scott-Heron, gli arrangiamenti della Bolognesi sono audaci ed energivori, lasciando ampio margine all’improvvisazione e persino a momenti di conduction, tecnica sviluppata da Lawrence «Butch» Morris, di cui la contrabbassista è una sapiente divulgatrice. Uno degli aspetti più interessanti del progetto è la compresenza di musicisti appartenenti a generazioni diverse: da giovani talenti appena usciti da Siena Jazz a veterani della scena internazionale. Questo mix strumentale ed umano garantisce una combinazione di spontaneità ed esperienza, valorizzando le composizioni dell’artista tributato. «Is That Jazz? Celebrating Gil Scott-Heron» è suddiviso in cinque parti, con un totale di quattordici tracce, che ripercorrono alcuni dei momenti più significativi della produzione del musicista-poeta chicagoano. Una reinvenzione tematica che dispensa vibrazioni intense, alimentando un ascolto che oscilla tra riflessione ed impeto, in perfetta sintonia con il messaggio originario di Scott-Heron, dove poesia e musica si amalgamano in un’unica e totalizzante esperienza sonora.
L’album si apre con «Revolution Will Not Be Televised PART 1», brano iconico che viene frantumato in più parti, pur conservando la forza rivoluzionaria e il suo impatto sociale. «Madison Avenue» è un componimento che riflette sulle dinamiche del consumismo e della pubblicità, con arrangiamenti incisivi. «Revolution Will Not Be Televised PART 2», seconda parte della suite che, come un pit-stop, favorisce la ripartenza del discorso musicale e testuale. In «Shut ‘Em Down/Conduction Moment» c’è qualche tentativo di fuga verso la sperimentazione. «1980 Impro Version», è una perifrasi libera e improvvisata, che scandaglia le sonorità ed il mood del periodo. «Home Is Where The Hatred Is» rappresenta uno dei brani più intensi di Scott-Heron, il quale affronta il tema della dipendenza e della lotta personale con una sensibilità lirica e una sofferenza che riflette le ingiustizie vissute ed osservate nel corso di un’esistenza tumultuosa. L’interpretazione di Eric Mingus non è mai neutra: ogni parola e ogni nota sono cariche di significato e di profonda consapevolezza sociale. «Revolution Will Not Be Televised PART 3», è la terza parte della suite, finalizzata a mantiene la tensione narrativa. «The Prisoner», come si intuisce dal titolo, è un pezzo che parla di oppressione e libertà, affidandosi ad una struttura musicale potente. «Vildgolia (Deaf, Dumb & Blind)» è un brano meno noto, ma altrettanto significativo. Con «Revolution Will Not Be Televised PART 4», quarta parte della suite, si continua a sviluppare il tema della rivoluzione. «Lady Day & John Coltrane», praticamente nomen omen, sono dedicati a Billie Holiday e John Coltrane, due figure imponenti nell’ambito della cultura afro-americana. «We Almost Lost Detroit», facendo ricorso ad un’avvolgente melodia, racconta un episodio storico legato alla crisi nucleare. «Revolution Will Not Be Televised PART 5» è l’ultima parte della suite che chiude il cerchio narrativo, mentre a «New York Is Killing Me (Encore)» viene affidata una riflessione finale sulla vita urbana e le sue difficoltà.
La differenza tra i vari frammenti di «Revolution «Will Not Be Televised» risiede principalmente nell’approccio musicale e nella narrazione testuale. Nell’originale di Gil Scott-Heron c’è una virulenta critica sociale, atta a segnalare il ruolo dei media nel distogliere l’attenzione dalle vere lotte per il cambiamento. Nel progetto di Silvia Bolognesi ed Eric Mingus, la suddivisione in più parti permette di analizzare le diverse sfumature del messaggio. Ad esempio, «Part 1» introduce il tema con un’interpretazione fedele ma rielaborata, enfatizzando il groove jazzly e la forza del testo. L’approccio vocale di Eric Mingus è intenso, quasi declamatorio, al fine di sottolineare il contenuto politico e di rottura del concept nativo. «Part 2», invece, sviluppa ulteriormente l’idea con variazioni ritmiche e improvvisazioni che danno una differente prospettiva all’antagonismo di Scott-Heron. Qui la struttura si apre maggiormente, con momenti di interplay tra gli strumenti e una marcata libertà espressiva. Il contrabbasso di Silvia Bolognesi guida la narrazione sonora, mentre la sezione fiati ne dilata progressivamente lo spettro esecutivo. La suddivisione in più parti permette di scandagliare dettagliatamente gli anfratti del vettore originale, trasformandolo in un trip collettivo che alterna momenti di tensione e rilascio. Dal canto suo Eric Mingus è un interprete che, attraverso la voce e la sua presenza scenica, trasmette un impatto emotivo non comune. La capacità di fondere jazz, blues e spoken word determina lo sviluppo di un transfert capace di coinvolgere facilmente il pubblico. Eric ha dichiarato che le sue interpretazioni sono «fette astratte di realtà e fantasia», e che ogni performance viene influenzata dal suo modo di vivere e dalle scelte personali. La voce, robusta e graffiante, è in grado di comunicare rabbia, speranza ed introspezione, intessendo una ragnatela emotiva che cattura l’ascoltatore. In definitiva, «Is That Jazz? Celebrating Gil Scott Heron», registrato dal vivo il 28 aprile 2024, si sostanzia come una celebrazione non formale e manieristica, ma pugnace ed intensa, di un lascito artistico visionario che a distanza di decenni, rimane integro nel suo contatto con realtà del mondo e l’attualità della musica.

