// di Guido Michelone //

Francesco Cusa, nato a Catania nel 1966, è una figura poliedrica nel panorama culturale italiano, oltre essere batterista e compositore jazz di fama internazionale, risulta presente in differenti ambiti della cosiddetta interdisciplinarietà artistica, dove, da circa un trentennio, realizza numerosi lavori per musiche da film, spettacoli teatrali e reading letterari, non senza incursioni nella danza e nelle arti visive. Oltre interagire con noti ballerini, romanzieri, poeti e visual performers, alterna la carriera da musicista a quella di scrittore e critico cinematografico, pubblicando saggistica e narrativa come ad esempio Il surrealismo della pianta grassa, Il mondo chiuso, Nei dinbtorni della civiltà, Novelle crudeli, Racconti molesti, Vic, Stimmate, Canti strozzati, oltre collaborare lele riviste Lapis e Cultura commestibile su cui cura la rubrica Il cattivissimo.

Francesco, parliamo innanzitutto dei tui nuovi lavori discografici.

⁃ Direi più i miei lavori. È uscito “Minimal Works” col mio FCTrio, insieme a Tonino Miano e Riccardo Grosso, un lavoro in cui ho scelto una diversa via compositiva, più raccolta e riflessiva. Sono inoltre in uscita il mio lavoro di conduction “A new way for meditation”, il nuovo progetto di “The Assassins” sui cartoon e il duo “The Box”. 

Così, a bruciapelo, ora chi è Francesco Cusa ?

⁃ Un visionario alla ricerca della “verità”. Un giullare che ambisce ad assassinare il Re. Un infiltrato per conto di Visnu. 

Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica?

⁃ Il carillon posto sulla mia lettino. Ho ancora ben presente quel cuoricino celeste che dondolava, aveva una catenina che culminava in un altro piccolo cuore in miniatura da tirare. Una sorta di “madeleine” proustiana. 

Quali sono i motivi che ti hanno spinto a diventare un musicista jazz?

⁃ La passione per lo strumento. Ero un metallaro convinto. Amavo il rock sopra ogni cosa. Quando ricevetti in dono un disco di Art Blakey e i “Jazz Messengers” lì per lì non lo compresi. Furono i seminari di “Siena Jazz” nel 1989 a farmi innamorare di questa musica. 

E in particolare un batterista (e percussionista) jazz? 

⁃ In realtà non ci pensavo affatto. È vero che stavo sempre a percuotere scatole di scarpe appresso ai dischi,  ma la scelta della batteria fu più un capriccio che un’esigenza. La chiesi come regalo dopo il diploma più per sfizio che per reale passione. 

Ma cos’è per te il jazz?

⁃ Come tutte le forme d’arte è una via alla Conoscenza. 

Quali sono le idee, i concetti o i sentimenti che associ alla musica jazz?

⁃ Ti rispondo con una sorta di viaggio proustiano della memoria, giacché adesso la situazione del jazz, soprattutto in Italia, è figlia di član e uffici stampa che ben poco hanno a che vedere con la reale natura di questa musica. All’epoca il jazz mi apparve come una sorta di alternativa alla mia routine di adolescente, quasi un richiamo all’essenza delle mie ricerche, a quel tempo centrate sulla speculazione filosofica e letteraria. 

E cosa significa improvvisare?

⁃ Significa cercare una “via” espressiva, sublimare le prigioni della forma e magnificarle dopo la fuga, cercare risposte non verbali a domande mai poste. 

Quanto conta l’improvvisazione nel tuo modo di fare jazz?

⁃ Beh, ovviamente è parte centrale e preponderante, anche quando si tratta di dare spazio a composizioni molto articolate e complesse. 

Tra i dischi che hai fatto ce ne è uno a cui sei particolarmente affezionato?

Effettivamente il doppio “The Uncle”. I due gruppi, Francesco Cusa & The Assassins (Giovanni Benvenuti, Valeria Sturba, Ferdinando Romano, Francesco Cusa), nel primo disco, e FCT feat. Giovanni Benvenuti (Gianni Lenoci, Ferdinando Romano, Francesco Cusa), nel secondo, suonano le stesse mie composizioni. Il disco è dedicato a Gianni Lenoci: “The Uncle”. Così tutti lo chiamavamo, nella ristretta cerchia di amici. Originariamente il cd aveva come titolo quello di “Giano Bifronte”, ma dopo la scomparsa di Gianni Lenoci ho deciso di tenerlo come sottotitolo. Anche perché si tratta di un disco doppio: due gruppi che suonano le stesse mie composizioni, esperienza che avevo già attuato in passato con il cd “Francesco Cusa Skrunch – Electric/Vocal” e “Jacques Lacan, a true musical story” del 2010. Gianni Lenoci ha suonato meravigliosamente in questo cd. Ma, purtroppo, non ne ha potuto vedere l’uscita. La sua musica ci accompagnerà sempre. 

E tra i dischi che hai ascoltato quale porteresti sull’isola deserta?

⁃ Difficile rispondere. Forse qualcuno dei Beatles. 

Quali sono stati i tuoi maestri nella musica, nella cultura, nella vita?

⁃ Eric Baret su tutti, un grande maestro di yoga kashmiro, nella musica posso dire di aver appreso da tutto e da tutti, a cominciare dai miei allievi in conservatorio e per finire con le grandi esperienze che ho avuto modo di fare tutti i igrandi musicisti che ho incontrato. Culturalmente sono molto legato alla cultura francese – Proust, Celine, Hugo su tutti – e ai grandi filosofi del passato come Nietzsche, Platone, Guénon. 

E i batteristi/percussionisti che ti hanno maggiormente influenzato? E quelli con cui ami collaborare?

⁃ Jack DeJohnette e Joey Baron; a livello didattico Tom Igoe. È stato bello collaborare in performance a due batterie con Bernardo Guerra, Enzo Zirilli, Tony Buck. 

Qual è per te il momento più bello della tua carriera di musicista?

  – Certamente quello legato al periodo creativo della Bologna di “Bassesfere” dei primi anni Novanta. Quella è stata una palestra fondamentale per crescere “suonando” e sperimentando in continuazione. Erano gli ultimi vagiti prima di una crisi del settore che sarà dominata dalle sclerotizzanti cordate manageriali e di clan che, attualmente, governano il microcosmo del jazz italiano. Ad essere sinceri, è però forse questo mio momento attuale, quello dei miei 57 anni che, da un punto di vista prettamente artistico, mi fa sentire più maturo. 

Come vedi la situazione della musica in Italia?

⁃ Ti rispondo con una cosa che ho scritto sul mio blog. La situazione dei musicisti di jazz (uso questo termine nella sua accezione ampia) sta vivendo in Italia la peggiore crisi di sempre. Complice un momento storico peculiare e di passaggio, in cui la digitalizzazione e la diffusione via social di gran parte di contenuti un tempo riservati agli spettatori dei concerti, ha messo in crisi la già traballante macchina organizzativa nostrana. Oggi è impossibile vivere suonando jazz nel nostro paese, a meno di non far parte di una ristretta cerchia di artisti legati a cordate, amicizie, salotti e cerchie iniziatiche degne di una nuova Scientology Sincopata. L’unica via di fuga pare essere quella dell’insegnamento in conservatorio: altro percorso irto di ostacoli, spesso insormontabili. Ci ritroviamo dunque, da musicisti e insegnanti, a prospettare un futuro in cui questi nuovi studenti non avranno alcuno sbocco al di fuori dell’insegnamento, in base a un gioco perverso di permutazioni che vedrà futuri insegnanti senza esperienza di palco e di vita. La classica obiezione – è sempre stato così – non può essere presa a modello: i grossi nomi ci sono sempre stati, ma a latere, è sempre stata viva e pulsante (fino al 2000 circa) una scena artistica che viveva delle esperienze performative rese possibili da una sorta di biodiversità dell’offerta di luoghi in cui suonare essendo remunerati. Il 2023 offre invece una proposta congestionata dai criteri dei cosiddetti “centri di produzione”, dalla politica dei bandi, dagli uffici stampa, dalle onnipotenze dei direttori artistici. L’esercizio della critica è totalmente assente in questo ambito, anche perché, sovente, molti critici sono a loro volta coinvolti in ruoli di direzione artistica e di gestione delle risorse. Nessuna voce si alza in soccorso di questa situazione, che rappresenta un vero e proprio dramma per molti artisti che non sono sotto l’ombrello riparatore dell’insegnamento statale. Un dramma che viene totalmente ignorato, per ragioni anche facilmente comprensibili e relative allo schierarsi contro qualcosa, pratica assolutamente bandita in un mondo museale, rigido e non avvezzo alla dialettica feroce, viceversa, prassi che funge da stimolo in ogni altro contesto culturale (fa specie constatare invece quanto sia compatto e solidale, tal microcosmo della critica, degli addetti ai lavori e di molti musicisti, quando si toccano questioni di lana caprina relative a sterili polemiche di ordine accademico/lessicale sulla natura di questo benedetto jazz). La situazione è veramente critica per molti colleghi, spesso costretti a dover fare i salti mortali per sbarcare il lunario. Le conseguenze devastanti di tale depauperazione culturale sono già riscontrabili sul piano della proposta artistica generale, e nel pessimismo prossimo all’ignavia di molti ragazzi che si avvicinano al mondo del jazz con passione sincera, e che si ritrovano di fronte a ostacoli di natura extramusicale veramente frustranti, e a spendere una marea di soldi per realizzare cd che nessuno ascolta più, per pagare uffici stampa salatissimi, ecc. Centinaia di ragazzi alla mercé di osti che offrono la classica jam cui partecipare gratuitamente, del tutto avulsi da una reale politica consapevole del mestiere del musicista praticato come lavoro, saranno il plotone di insegnanti del futuro in ciò che rimarrà dei conservatori e delle scuole private e pubbliche (con quale bagaglio di esperienza, viene da chiedersi?). Di questo passo ci ritroveremo a leggere nel prossimo futuro le recensioni delle giornate di lezione in classe dei docenti. 

E più in generale della cultura in Italia?

⁃ Oggi le lobby, le sirene del politicamente corretto (corrotto), la retorica protezionistica dei diritti umani, il conformismo linguistico-culturale, rappresentano lo strumento principe attraverso cui esercitare, per tramite di filtri debitamente perfezionati, il dominio scientista su basi antico testamentarie, ossia su nuovi dogmi idonei alla plastificazione della Società della Sorveglianza. Il livello di corruzione, prostituzione, raccomandazione ha raggiunto la soglia massima in ogni ambito: economico, politico, artistico, culturale, comunicativo. Nutrire una speranza di cambiamento significa essere incoscienti. I segnali più evidenti sono l’assuefazione e l’assoluta mancanza di un sano spirito di rivolta. Per ciò che mi concerne, ormai vivrò ai margini di questo limbo osceno, lottando per una cosa nobile chiamata decoro. 

Cosa stai progettando a livello musicale per l’immediato futuro?

⁃ Tre nuovi cd, FRANCESCO CUSA and THE ASSASSINS “PLAYS CARTOONS”. Po Giovanni Benvenuti – t.sax/ Domenico Caliri – guitar / Tonino Miano pianoforte-keyb/ Riccardo Grosso – electricbass/ Ferdinando Romano – bass, electronics/ Francesco Cusa – drums, compositions. Suoneremo miei arrangiamenti di Candy, Candy/Che campioni Holly e Benji!!!/Kiss Me Licia/L’incorreggibile Lupin/Lady Oscar/Pollon Combinaguai. Poi il duo“THE BOX” Tonino Miano – keyboards, Francesco Cusa – drums. Non da ultimo il mio lavoro di conduction titolato “A New Way For Meditation”. Inoltre usciranno ben tre nuovi libri: un romanzo, una raccolta di poesie, un saggio.

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