«Live At Umbria Jazz» di Steve Wilson / Lewis Nash, quando “Duo” diventa il numero perfetto (Red Records, 2023)

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// di Francesco Cataldo Verrina //

L’Umbria è stata da sempre una terra fertile per molte delle riprese live della Red Records. Steve Wilson / Lewis Nash Duo con «Live At Umbria Jazz» non smentisce questa perfetta simbiosi mutualistco-cromatica tra il rosso dell’etichetta creata da Sergio Veschi e Alberto Alberto ed il verde della regione che ospita da cinquant’anni uno dei festival jazz più rinomati al mondo. Il 30 dicembre del 2013 ed il 1° gennaio del 2014, due coinvolgenti performance, nel corso di Umbria Jazz Winter, vennero fissate su nastro presso il Museo Emilio Greco di Orvieto. Nel corso delle due serate Steve Wilson, sax alto e soprano, e Lewis Nash, batteria e percussioni, scodellarono con una formula consolidata e pronto cuoci una serie di standard, quale excursus all’interno della loro formazione musicale, nonché tributo ad alcuni dei nomi eccellenti della nomenclatura jazz di tutti i tempi.

Oggi quelle registrazioni rivivono in un CD pubblicato dalla nuova Red Records di Marco Pennisi, conservando una freschezza ed un’attualità a dir poco sorprendenti. Wilson, e Nash avevano debuttato come duo nel 2001, con una modalità non consueta e poco diffusa, nonostante nell’ambito del jazz moderno vi fossero già stati illustri precedenti. Si pensi a «Surrey With The Fringe On Top» di Philly Joe Jones e Sonny Rollins da «Newk’s Time» e le collaborazioni di John Coltrane e Rashied Ali (in particolare Interstellar Space), che lo stesso Nash cita in un’intervista come punti di riferimento per il loro progetto. In particolare, i taglienti incontri al vertice fra John Coltrane e Rashied Ali incoraggiarono, più volte nei decenni successivi, molti della cosiddetta avanguardia a sposare l’idea di far convivere questi due strumenti in solitaria, ma pochi riuscirono ad esplorarne realmente l’impervio territorio. In realtà, il rapporto tra sax e batteria, senza un strumento guida, precipuamente armonico, a riempire gli spazi e a dare la spinta alla progressione ritimico-melodica, potrebbe apparire accidentato ed ambizioso. Al netto delle difficoltà, però il connubio riesce meglio quando il contrasto di tipo strumentale è affidato a due soli attori sulla scena, i quali determinano una sorta di ricaduta al centro dell’effetto emotivo, mentre la suddivisioni delle partiture all’interno di un ensemble di medie o grandi dimensioni, generalmente, produce un multidirezionalità centrifuga che finisce per disperde l’effetto polarizzante che si può invece ottenere attraverso l’uso di due soli strumenti: uno, come la batteria, con caratteristiche ritmico-percussive che sviluppa una dilatazione spazio-temporale ma, al contempo capace di ritagliarsi uno spazio da solista e simulare un basso ed uno strumento a fiato, nello specifico il sax, in grado di procedere per linee melodiche ed improvvisative, non rallentato da una vera sezione ritmica, per non parlare del condizionamento di un sovrastante pianoforte che ne ingabbierebbe o comunque limiterebbe i movimenti. Le parole dei due protagonisti sono alquanto eloquenti: «Dopo averci ascoltato, il pubblico dichiara sempre di non aver sentito la mancanza di un basso o di uno strumento ad accordi» dichiarava Steve Wilson in un’intervista. La medesima sensazione è riportata da Lewis Nash: «Entrambi abbiamo una vasta esperienza nel suonare in line-up di varia taglia, dai piccoli gruppi alle big band», spiega. «La nostra consapevolezza della funzione degli elementi accordali ci permette di usare quell’esperienza e quella conoscenza per creare l’illusione della presenza di quegli strumenti, soprattutto grazie alla conoscenza approfondita di Steve della melodia e dell’armonia e grazie all’uso del timbro, della tessitura e del fraseggio. personalmente posso creare la sensazione di un basso manipolando i toni della mia grancassa, per esempio».

Il primo elemento che emerge dall’ascolto di «Live At Umbria Jazz» è l’affiatamento fra i due sodali e la capaci d’intendersi con un rapido cambio di mood o di tempo, talvolta con un semplice gesto o uno sguardo. I due si esibivano e si esibiscono ancora insieme, reiterando questa riuscita formula, nonostante altri innumerevoli impegni personali. Il loro background ed il loro curriculum parla per loro, e si percepisce subito mentre scorrono le varie tracce dell’album: Wilson fu protagonista, perfino, di un profilo a lui dedicato dal New York Times nel 1996 ed intitolato «A Sideman’s Life»; ha inoltre lavorato al soldo di Dave Holland e Chick Corea; dal canto suo Nash vanta collaborazioni con Dizzy Gillespie, Joe Lovano e McCoy Tyner. La loro ricetta è alquanto diretta ed immediata. I due sodali girano essenzialmente intorno ai classici attingendo, nello specifico a composizioni di Dizzy Gillespie, Thelonious Monk, John Coltrane, McCoy Tyner e Horace Silver. Essi costruiscono progressivamente una sorta di prontuario del jazz scarnificato e ridotto all’essenziale in un perpetuo interplay tra melodia e ritmo, ma soprattutto attraverso un’espressione condivisa che mette al centro un plot narrativo, una regola d’ingaggio e un lirismo del tutto individuale, nonché un’esplorazione imperniata sull’improvvisazione tout-court. Anche in questa circostanza le parole di Wilson e Nash diventano piuttosto chiarificatrici: «Non abbiamo mai nulla di preparato, non pianifichiamo quello che suoniamo e non abbiamo routine; saliamo sul palco e vediamo quello che succede (…) Sul palco siamo due ballerini e ci sono sempre delle differenze da un concerto all’altro, determinate dalla sala, dal pubblico e via così».

In «Live At Umbria Jazz» i due reinventano e mettono a nudo standard come «Caravan» di Ellington e in special modo «Misterioso» di Monk, che nonostante le sue innovazioni armoniche, fornì un eccellente telaio espositivo per una configurazione priva del tradizionale accompagnamento pianistico. «Con Alma» di Gillespie e «Senǒr Blues» di Silver, pur collocati in una dimensione minimalista, conservano la loro spanish-tinge, così come «We See» di Thelonious Monk mantiene tutto il suo spirito giocoso e beffardo, tanto che la batteria, a tratti, sembrerebbe voler surrogare quel martellio tipico del Monaco sui tasti del piano: i frequenti pitch bend di Nash diffondono tra gli astanti un’atmosfera divertita e gioviale, mentre «Equinox» di Coltrane si riveste di nuova spiritualità scavando in un profondo immaginario, dove il sassofono di Wilson si muove come un fiume carsico, a cui il kit percussivo di Nash fa da letto e da guida. «Chelsea Bridge» è un lungo solo di sax a metà stra tra Parker e Rollins; per contro «Freedom Jazz Dance» di Eddie Harris porta in primo piano la lucentezza melodica e ritmica al contempo divenendo l’apoteosi della batteria. In «Island Birdie» di McCoy Tyner e «Shiny Stockings» il duo si spinge al di fuori dei confini delle aspettative, attraverso momenti di pura libertà interpretativa, filigranata su un percorso trasversale e con una verve espressiva non convenzionale. Nel complesso, nessuno dei due musicisti cambia radicalmente il suo modus operandi per adattarsi all’ambiente o alle circostanze, ma le abilità e i punti di forza di entrambi appaiono in forte risalto. Il vivido swing di Nash, la sua prontezza di riflessi e l’inclinazione melodica sono chiaramente evidenti, così come il lato lirico, la briosità e l’approccio ritmico alla conversazione di Wilson. È difficile fare un album di sax e batteria senza correre il rischio che «suoni vuoto», ma la coppia, come già spiegato, sfrutta la mancanza di ingombro a proprio vantaggio, costringendo l’ascoltatore a prestare ancora più attenzione a ogni squawk o a ogni morbido tom roll. A conti fatti, «Live At Umbria Jazz» è un capolavoro di sinergia creativa che non lascia mai aria ferma. «È un modo di suonare molto diretto», disse Nash in un’intervista. «È come se io e te parlassimo in questo momento: la nostra attenzione è rivolta esclusivamente a una persona». Ascoltando il disco, quella persona potresti essere proprio tu.

Steve Wilson / Lewis Nash
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