Intervista a Federico Calcagno: “Alla costante ricerca della mia identità”

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// di Guido Michelone //

D In tre parole chi è Federico Calcagno?

R Sono musicista: esecutore e compositore. Mi esprimo attraverso il mio strumento – il clarinetto (o meglio, i clarinetti) – e attraverso le mie composizioni, i miei brani e l’improvvisazione. Mi piace collaborare con altri musicisti allo scopo di valorizzare la musica originale alla scoperta di noi stessi e dei tempi in cui viviamo.

D Il tuo primo ricordo della musica da bambino?

R Da piccolino portavo i miei giocattoli sotto il pianoforte di mio padre e mi perdevo fra i miei giochi e il suono del pianoforte, mentre mio padre suonava il suo repertorio da pianista classico. Ero incuriosito dal suono e particolarmente attirato dall’effetto che si prova nello stare vicino alla fonte sonora, quando le vibrazioni scuotono il corpo dalla testa ai piedi.

D Come sei diventato jazzista e come definiresti la tua musica?

R Ho scoperto il jazz alla fine del mio percorso accademico in clarinetto classico. Mi sono sbalordito quando ho scoperto che si poteva improvvisare e dunque creare musica senza uno spartito. Da quel momento ho scelto di approfondire gli studi jazzistici poiché mi ero reso conto che l’improvvisazione mi permetteva di esprimere meglio me stesso. Nel corso degli anni mi sono specializzato nel clarinetto basso e ho iniziato a scrivere brani originali, fino ad arrivare ad oggi. La mia musica dunque è il frutto di una ricerca personale contenente varie esperienze che oltrepassano la definizione di genere, abbracciando molteplici diversità (jazz, musica classica, musica contemporanea, musica extraeuropea).

D Cosa ti ha spinto a incidere un album (bello e ardimentoso) come Mundus Inversus?

R Vari fattori, tra cui la ricca scena musicale di Amsterdam (città in cui ho vissuto quattro anni) e il mio gruppo “Liquid Identities” con cui ho pubblicato l’album omonimo nel 2020. La formazione di Mundus Inversus vede il quintetto Liquid Identities con l’aggiunta di tre nuovi elementi, un’espansione dunque da quintetto a ottetto. L’album contiene il lavoro avvenuto negli ultimi tre anni e devo ringraziare il premio Keep an Eye Records senza il quale la produzione di questo album non sarebbe stata possibile.

D In Mundus Inversus ci sono moltissimi spunti di riflessione. Ad esempio sul piano letterario i titolo dei brani sembrano rimandare a un percorso narrativo e talvolta a un ragionamento filosofico. Giusto? Ti ci ritrovi?

R Certamente. L’album esplora il concetto di Mundus Inversus e contiene il significato originale e un significato contemporaneo, innovativo che ho voluto intraprendere. La suite “The Hanged Man”, tributo alla carta dell’appeso dei tarocchi, assieme al brano Hieronymus dedicato al pittore olandese rinascimentale Bosch esprime al meglio il senso di inversione, nel caso dell’appeso nel guardare il mondo da una prospettiva opposta. Analizzando la cover dell’album si nota una grossa sfera – rappresentazione del mondo, nonché diretta citazione della “Creazione del Mondo” di Bosch – attraversata da nubi e fumo prodotto da un incendio boschivo. L’immagine nello sfondo è difatti una foto di un incendio scattata da un satellite. Da qui nasce una riflessione sullo stato autodistruttivo del mondo di oggi caratterizzato da incessanti guerre, inquinamento, malesseri sociali. In qualche modo questa riflessione si sviluppa nel percorso narrativo suggerito dai brani dell’album. Il personaggio dell’appeso incarna il cambiamento e una perdita di valori (“Ego Sacrifice”) che porteranno ad un nuovo inizio, una nuova rinascita interiore e esteriore (“A New Trail”). Gli ultimi brani dell’album esprimono finalmente un senso di speranza e guarigione.

D Sul piano musicale, anche grazie al tipo di formazione, mi sembra di avvertire diversi legami con la tradizione colta (musica classica e contemporanea): è vero?

R Concordo appieno. La musica da camera è un aspetto che contraddistingue il nostro sound e in comune con la tradizione classica. Talvolta il risultato può essere simile ad alcuni brani di contemporanea, ma è il processo di creazione che per me è di grande rilevanza. Io compongo musica per improvvisatori, non esclusivamente per esecutori. Significa che affido grandi responsabilità ai musicisti dell’ensemble poiché riconosco la loro unicità.

D Possiamo parlare di Mundus Inversus come album jazz? O è qualcosa di più o di diverso?

R È jazz ma non è jazz, è musica “classica” ma non “classica”; vorrei che sia semplicemente musica senza etichette. Contiene degli elementi del jazz come l’improvvisazione, la sezione ritmica, ma il materiale che ho scritto non ricalca uno stile di jazz del passato e dunque vive nella contemporaneità.

D Ha ancora un senso oggi la parola jazz?

R Sì, per me è utile in quanto enorme contenitore suddiviso in dozzine di sottogeneri e soprattutto un modo di fare musica. Ovvero: il jazz non è definito da ciò che si suona ma dal come si suona; il processo creativo è in primo piano e il contenuto è secondario.

D E si può parlare di ‘jazz europeo’ visto che la tua band comprende musicisti da tutto il Continente?

R Sì, sicuramente è un jazz di respiro internazionale ed europeo in quanto tutti i componenti del gruppo vivono e operano in Europa.

D Cosa distingue l’approccio al jazz di americani e afroamericani da noi europei? 

R Io come europeo sento di non appartenere del tutto alla tradizione del jazz in quanto il jazz è nato in America e esprime la cultura afroamericana soprattutto attraverso le componenti del gospel, canti di chiesa, spiritual. Sono alla costante ricerca della mia identità la quale evolve nel tempo, ed è proprio grazie a questa mancanza di radici in un repertorio o stile che mi permette di esplorare. Mi manca una dimensione folkloristica. Ammiro moltissimo i musicisti afroamericani perché sono portatori di una tradizione in continuo rinnovamento, e il modo di stare sul groove e di comunicare è imparagonabile.

D Come vivi il jazz in Italia anche in rapporto alle tue esperienze fuori dai nostri confini?

R Il jazz in Italia sta vivendo una rinascita e ci vorrà ancora del tempo prima che potrà manifestarsi del tutto. I grandi festival italiani potrebbero prendere dei rischi in più con la programmazione facendo suonare più giovani musicisti con progetti di musica originale poiché stiamo assistendo a una fioritura di nuovi talenti. Se i giovani non vengono valorizzati (attraverso bandi, concorsi, rassegne, produzioni) avranno sempre meno motivazione nel percorrere una strada artistica.

Federico Calcagno
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