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«Strade» si attesta come repertorio personale, srotolato senza scorciatoie e con l’ausilio di un line-up affiatata. Bruno usa i lemmi di un vocabolario che alterna melodie essenziali, tempi dispari e contrappunti tra basso e sax, innervando un percorso che guarda avanti, ma ancorato ad una solida formazione jazzistica.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Il jazz contemporaneo, nel suo sviluppo più fertile, si distingue per la capacità di assimilare linguaggi eterogenei, traslandoli in un organismo sonoro unitario. La tradizione improvvisativa, la logica del contrappunto e dell’interdipendenza vengono costantemente rinnovate mediante l’assorbimento di elementi provenienti da territori stilistici differenti: vibrazioni afro-funk, trame elettroniche, suggestioni post-rock e modulazioni che appartengono tanto alla scrittura colta quanto alla sperimentazione popolare. In seno a questa prospettiva, la contaminazione non rappresenta un semplice innesto, ma un processo di fusione che genera inedite forme di equilibrio, dove la libertà creativa si annoda alla disciplina collettiva dell’ensemble.

«Strade» di Marco Bruno, tratteggia un progetto di forte coerenza interna, frutto di un percorso pluriennale di concerti, ricerche e sperimentazioni che hanno sedimentato un linguaggio personale. L’autore, bassista e compositore nato nel 1990, delinea un itinerario che plasma le influenze più disparate, modellandole in un tessuto sonoro organico, dove groove, elettronica e suggestioni post-rock vengono connessi secondo la logica dell’alternanza e della contrapposizione jazzistica. La formazione che lo affianca – Daniele Baroni al piano e ai synth, Shanti Colucci alla batteria, Nicola Concettini al sax tenore e Rosario Ceraudo alle percussioni – costituisce un nucleo stabile, consolidato attraverso festival e club, capace di dare voce ad un progetto che si regge sulla maturità collettiva. La registrazione presso lo studio La Strada, curata da Francesco Bennati, restituisce con precisione la fisionomia acustica di ciascun episodio sonoro, valorizzando la trama espressiva del basso ed il dialogo serrato con il sax. Le otto composizioni si presentano come tappe narrative, ciascuna dotata di un profilo tematico distinto con una scrittura che gioca sulla sospensione armonica e sulla rarefazione melodica, a tratti in forma di live-session, dove tra tempi dispari e irregolari, viene delineato un paesaggio ritmico complesso. Spesso affiora la matrice post-rock, con walking di basso che assumono funzione tematica e si sovrappongono alle tessiture del sax, radicandosi nell’alveo delle pulsazioni africane, mentre colori percussivi e momenti di improvvisazione libera aggiungono fluidità al costrutto sonoro. Non manca la tendenza al drum’n’bass, che si schiude in una dimensione più immediata ed incisiva.

«Il Limbo» apre il percorso con atmosfere nordiche in equilibrio instabile. La partitura si fonda su una sospensione armonica che rimanda a stati di attesa, con tratturi melodici rarefatti ed il basso che assume la funzione di sostegno narrativo. La trama espressiva del sax si arricchisce di velature acustiche, creando un paesaggio sonoro che suggerisce un movimento interno più che centrifugo «Libertà», episodio caratterizzato da tempi dispari ed irregolari, sancisce una struttura ritmica articolata. La composizione si dipana attraverso contrappunti serrati tra basso e sax, con il piano che interviene a modulare le tensioni. La libertà evocata dal titolo si traduce in una postura espressiva che non risolve immediatamente le frasi, lasciando aperti spazi di improvvisazione e di dialogo. «Qualcosa» rivela con evidenza la matrice post-rock, con linee di basso trasformate in spirito guida e sovrapposte alle tessiture del sax. La fisionomia del suono si fa più immersiva, con un colore sonoro che richiama l’atmosfera di certe ballate elettriche e multistrato. L’interplay fra strumenti produce una densità ritmica che si avvicina alla logica del crescendo orchestrale. «Afrofunk» è un componimento radicato nel solco delle cadenze africane, con percussioni che generano un tessuto poliritmico e qualche spigolatura funkified. Il basso si staglia con naturalezza tra groove e variazioni motiviche, mentre il sax introduce figure melodiche che si fondono con la trama percussiva. L’insieme produce una tensione sonora che guarda alla tradizione afro-funk, ma con una sensibilità contemporanea di tipo fusion.

«La Strada», registrato nell’omonimo studio, diventa il perno concettuale dell’album, nonché una camera di decompressione dall’aura scandinava. L’impianto si evolve in un percorso narrativo che alterna momenti di linearità ed aperture improvvisative. L’aura fonica risulta curata con precisione, mentre il titolo suggerisce un riferimento diretto al cammino, inteso come costruzione collettiva e quale spazio di ricerca. «Ubuntu» fa appello la filosofia africana dell’interconnessione. La trama ritmica si stende su percussioni poliritmiche, mentre il basso e il piano tessono trame che si sovrappongono con naturalezza. L’episodio si distingue per la capacità di far dialogare groove e libertà espositiva, generando una polivalenza che riporta alla mente a un senso di collettivo sonoro. «Bianco» è una composizione che abbraccia la pulsazione drum’n’bass, evocando l’estetica di Donny McCaslin. La procedura si fa più diretta, con un profilo acustico incisivo e una trama ritmica che spinge verso la velocità. Il basso assume una funzione propulsiva, mentre il sax interviene con linee taglienti che accentuano la tensione. «E penso» si sostanzia come un passaggio breve e melodico, interiormente scandagliato. L’intreccio tematico si concentra su un colore sonoro più intimo, con melodie essenziali ed il basso che si fa voce riflessiva. La chiusura dell’album non rappresenta un epilogo definitivo, ma un momento di raccoglimento che lascia aperta la possibilità di ulteriori sviluppi.

In complesso, «Strade» si attesta come repertorio personale, srotolato senza scorciatoie e con l’ausilio di un line-up affiatata. Bruno usa i lemmi di un vocabolario che alterna melodie essenziali, tempi dispari e contrappunti tra basso e sax, innervando un percorso che guarda avanti, ma ancorato ad una solida formazione jazzistica. La dichiarazione dell’autore risulta piuttosto eloquente: «Strade è dedicato alla libertà di pensare, fare ed essere». Queste parole non promulgano, però, una semplice enunciazione, ma trovano riscontro nella scrittura musicale, che si muove nel fluire di una tangibile contaminazioni e nel respiro di una libertà condivisa.

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