La parola che vibra: «M’ha fatta l’amore» del Naima Quartet, tra Prévert, Chaplin e jazz (EMME Records, 2025)

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«M’ha fatta l’amore» del Naima Quartet promulga un racconto musicale intimo e stratificato, dove la parola poetica s’intreccia con la forma jazzistica, generando un lessico sonoro che si nutre di memoria, geografia e relazione.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Nel terzo millennio, il jazz cantato prende corpo come pratica che accoglie la parola in versi e la trasforma in materia musicale. La linea vocale agisce come impulso espressivo, capace di suggerire traiettorie, generare legami e modulare la durata interna. Ciascuna emissione si distribuisce con intenzione, come atto narrativo che implementa ambienti e definisce densità. Il repertorio storico viene abitato con consapevolezza. Le nuove trame vocali si sviluppano tra cantautorato, lirismo modulato ed improvvisazione. Le lingue si saldano, i timbri si diversificano e le metriche si piegano, mentre qualsiasi elemento converge in un impianto che vibra di tensione strutturale e precisione lessicale.

Il debutto discografico del Naima Quartet, pubblicato da Emme Record Label, si dipana come un itinerario affettivo e musicale che prende forma da un incontro – quello tra il pianista Claudio D’Amato e la cantante Maria Donata Candeloro, consolidandosi nel tempo con l’ingresso di Vincenzo Quirico al contrabbasso e Giuseppe Venditti alla batteria. La formazione, attiva da oltre un decennio, plasma un jazz contemporaneo che non cerca di stupire per virtuosismo, ma per coerenza idiomatica e profondità espressiva. L’album si dirama lungo un tracciato che taglia trasversalmente le montagne abruzzesi, le colline molisane e l’energia metropolitana di Roma, restituendo un paesaggio sonoro che si nutre di radici, ma che si protende, al contempo, verso una forma di scrittura che accoglie e rielabora, convertendosi in un dispenser di suggestioni a presa rapida.

«M’ha fatta l’amore» del Naima Quartet promulga un racconto musicale intimo e seduttivo, dove la parola poetica si avvita all’estetica jazzistica, distillando un lessico sonoro che si ciba di memoria, geografia e relazione. Il repertorio si articola in sette tracce, di cui cinque standard e due composizioni originali. L’apertura è affidata a «Smile», omaggio calibrato a Chaplin, dove il quartetto interviene con cambi metrici senza deformarne l’assetto primigenio. L’intreccio motivico si muove con leggerezza strutturale, mantenendo intatta la tenerezza dell’originale, ma innestandovi una sensibilità ritmica che ne ravviva la fisionomia. La voce di Maria Donata Candeloro si srotola con grazia, evitando ogni enfasi, mentre il pianoforte di D’Amato disegna un impianto armonico che accoglie e rilancia verso un inedito altrove. «Sono quella che sono», tratto da una poesia di Jacques Prévert, procede con un andamento più deciso. La linea melodica si fa assertiva, senza perdere delicatezza. La voce si staglia con chiarezza, mentre la sezione ritmica costruisce un passo deciso, ma lungi dall’incalzare eccessivamente. Il testo, opulento e diretto, si annoda alla partitura musicale con una modalità che si avvicina al cantautorato, senza mai abbandonare la grammatica jazzistica. «September In The Rain» e «Skylark» si collocano in una zona di equilibrio tra rispetto per la tradizione e desiderio di riscrittura, sebbene il quartetto non tenti di reinventare, ma di abitare. Il contrabbasso di Quirico si dimena con eleganza, la batteria di Venditti cesella ogni accento, mentre il pianoforte e la voce si rincorrono, si sfiorano e si compenetrano. Il risultato è una tessitura che respira e si apre, lasciandosi metabolizzare con facilità.

La title track, «M’ha fatta l’amore», emerge come nucleo poetico dell’intero lavoro. Composta anni fa e custodita come frammento intimo, si manifesta ora con una melodia cantabile, sospesa tra delicatezza e consapevolezza. Il testo, tratto da Prévert, orienta la forma verso una dimensione narrativa, dove la voce evita la teatralità, divenendo perfetto story-teller. Il pianoforte si caratterizza quale spazio d’ascolto, la ritmica si fa discreta, il contrabbasso pulsa con continuità senza debordare, mentre la batteria sfiora i contorni dell’impianto armonico. «You’d Be So Nice To Come Home To» e «Centerpiece» chiudono il disco con una modalità più aperta e dialogica. Il quartetto opera con naturalezza, lasciando spazio all’interplay, alla variazione ed alla complicità. Ogni strumento trova il proprio spazio, senza mai accavallarsi ed interferire. La voce si fa corpo tra i corpi e linea tra le linee. Lavori come «M’ha fatta l’amore» delineano un percorso emotivo che prende consistenza nel tempo. Il testo poetico si lega alla tessitura acustica, il disegno espressivo acquisisce spessore ed il flusso vocale emerge come territorio comune, teso ad accogliere il ricordo, evocare traiettorie e generare mutamento.

Naima Quartet

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