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Kurt Elling

Ci sono sempre più occasioni, in cui la direzione di Umbria Jazz riesce a farsi male da sola, intestardendosi nell’invitare musicisti, gonfiati dallo show-biz, ma non all’altezza della nomea della kermesse perugina…

// di Francesco Cataldo Verrina //

Per quello che mi riguarda, ll Teatro Morlacchi interrompe la sua striscia positiva con un fenomeno da baraccone. Kurt Elling Feat. Charlie Hunter «SuperBlue», un blockbuster musicale da cui forse non può prescindere per far si che il jazz sia legato al frammentario mondo del web 4.0; come dire ad una sorta di attualità fittizia che sacrifica la qualità a tutto vantaggio di un guitto circense.

Kurt Elling è tutto ed il contrario di tutto, canta, balla, gorgheggia, fa uno scat che supera neppure lo standard di Gegè Telesforo, ma quello che non sarà mai è proprio un cantante jazz. Non basta fare il karaoke del canzonettismo pseudo-swing alla Frank Sinatra, essere di Chicago o tentare di scimmiottare i neri che cantano blues ed R&B. Qualcuno parla di voce baritonale, ma è solo un annunciatore da centro commerciale, specie quando fa lo speech su brani finto-blues in fibra sintetica, per il resto è solo un Dean Martin con la laringite. Ci sono sempre più occasioni, in cui la direzione di Umbria Jazz riesce a farsi male da sola, intestardendosi nell’invitare musicisti, starlette e saltimbanchi, gonfiati dallo show-biz, ma non all’altezza della nomea della kermesse perugina. Deve esserci una sorta di masochismo ed autolesionismo macabro in tutto ciò.

La band che accompagna Elling è fragorosa, sostanziandosi come un pessimo esempio di Southern Rock, non esiste interplay, qualche guizzo viene dalla sezione fiati, ma è troppo scolastica e gli assoli sono sempre gli stessi su tutti i brani. Il tastierista sembra uno che gioca alla play-station, non tra mai fuori l’anima, mentre il batterista ti fa pensare più un DJ che sta cercando di mettere a tempo quello che sente, ma senza un basso che “cammina”, il tutto risulta spesso rumoroso ed immobile come un trattore.

Il chitarrista è un copro estraneo, Charlie Hunter è bravo, ma sarebbe stato più adatto ad un disco degli Eagles; ha un aria estranea al jazz e parrebbe dire: andate avanti voi che a me mi scappa da ridere, l’importante che alla fine mi riconosciate il compenso. Rumore tanto ed ululati da sagra paesana a volontà, specie per i bontemponi del clap your hands, everybody. Una a sorta di spleen baudeleriano mi assale, fuggo via prima del bis, non ho mai sentito nulla di più noioso in vita mia, almeno al Teatro Morlacchi.

Kurt Elling
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