Incontro con il pianista Ramberto Ciammarughi, sabato 13 dicembre, all’Egea Store di Perugia
Ramberto Ciammarughi
Il maestro Ramberto Ciammarughi, docente al Saint Louis College Of Music di Roma, parlerà della sua ultima opera «Intramontes»
// a Cura della Redazione //
Nell’ambito di «Prima le Parole e poi la Musica», in collaborazione con «Badu – La Banda degli Unisoni», sabato 13 dicembre all’Egea Store, nel centro storico di Perugia, ad ingresso libero e posti limitati, si terrà l’incontro con Ramberto Ciammarughi una delle figure musicalmente più eloquenti del panorama musicale italiano contemporaneo. Originario di Assisi, la sua traiettoria artistica si dirama secondo un ordine interno che coniuga rigore formale e libertà espressiva, delineando un profilo compositivo che sfugge a ogni classificazione rigida. La sua formazione, nutrita da esperienze eterogenee e da una frequentazione costante con le grammatiche del jazz, della musica colta e della scrittura scenica, ha generato un linguaggio che trasfigura gli stilemi e matalinguaggi sonori in un codice personale cumulativo e teso alla ricezione. Nell’incontro perugino, introdotto e moderato dal critico musicale e storico del jazz Francesco Cataldo Verrina, si parlerà di«Intramontes», pubblicato da Camilla Records – Saint Louis Music Production, album concept realizzato attraverso un forma evoluta di «Third Stream», dove l’idioma e la libertà improvvisativa del linguaggio jazzistico, intrecciano gli stilemi formali, cameristici e sinfonici della musica eurodotta con rimandi alla cultura classica.
Fin dagli esordi nei primi anni ’80, il pianista assisiate ha evidenziato una tendenza spiccata per la modulazione del discorso musicale, alternando episodi di piano solo a geometrie timbriche in trio, e partecipando a rassegne jazzistiche di rilievo. La capacità di interfacciarsi con musicisti di diversa provenienza, da Randy Brecker a Billy Cobham, da Steve Grossman a Dee Dee Bridgewater, sancisce una versatilità che non si risolve in mera adattabilità, ma in una profonda consapevolezza delle dinamiche interpersonali ed armoniche che regolano l’interazione strumentale. Nel 2004, la sua presenza nel quartetto di Miroslav Vitous, accanto a Bob Mintzer, Adam Nussbaum e Danny Gottlieb, non costituisce soltanto un riconoscimento internazionale, ma anche un’occasione per far affiorare una scrittura pianistica che si sposta nel solco della tradizione europea, pur mantenendo una tensione costante verso l’improvvisazione.
Il pianismo di Ciammarughi plasma, modella e reinventa l’iperbole tematica, facendo leva su una tecnica raffinata e su una sensibilità armonica che si nutre di contrappunto, di modulazioni inattese e di velature acustiche. Parallelamente all’attività concertistica, Ramberto ha sviluppato un corpus compositivo destinato al teatro e alle arti visive, collaborando con figure come Vittorio Pirrotta, Eugenio Allegri e Bruno Tommaso. Le musiche per le «Eumenidi», presentate alla Biennale di Venezia nel 2004, rivelano una partitura che si connota per la capacità di fondere la teatralità scenico con la trama sonora, lasciando germinare un’aura fonica che struttura lo spazio drammaturgico. In tali contesti, Ciammarughi agisce come regista armonico, disegnatore di spazi acustici, capace di far dialogare la parola con la fisionomia del suono.La sua discografia, avviata nel 1985, include collaborazioni con Furio di Castri, Mia Martini, Roberto Gatto, Umberto Fiorentino e Luigi Ferrara. Ogni pagina musicale si distingue per un impianto compositivo che non indulge in soluzioni convenzionali, ma opta sistematicamente per una sintesi tra scrittura ed invenzione. Progetti come «Una Lauda per Francesco», con la voce narrante di Allegri ed il recital per solo piano dedicato alla musica per il cinema, fanno emergere un artista cinetico, dotato di una visione che trascende il repertorio per interrogare il senso stesso del fare musica. Per Ciammarughi, il pianoforte è organismo vivente ed luogo di analisi e di sintesi.
Nel tracciato espressivo di Ramberto Ciammarughi si avverte una profonda assimilazione delle istanze pianistiche emerse nel secondo dopoguerra, non come scontata adesione stilistica. La sua regola d’ingaggio, tanto nell’improvvisazione quanto nella composizione, si colloca in una dimensione dialettica con le figure che hanno ridefinito il ruolo del pianoforte nel contesto jazzistico e contemporaneo, pur evitando ogni citazione diretta o manierismo. Sulla scorta di autori come Paul Bley, Andrew Hill, Bill Evans e Mal Waldron, il musicista umbro secerne un linguaggio che si affida alla ricchezza del pensiero armonico e all’abilità nel realizzare spazi acustici in cui il silenzio diventa parte integrante del discorso.

