«Buarqueana» di Maria Pia De Vito / Feat. Chico Buarque e Mônica Salmaso. Tra Napoli e Rio, la lingua come poesia, resistenza e reinvenzione sonora (Parco della Musica, 2025)
Un lavoro immaginativo, dove la musica pensa, la lingua canta e la storia si fa presente senza proclami. Un album necessario per comprendere come la forma canzone possa reggere una responsabilità poetica e civile e come la traduzione – quando rigorosa e inventiva – diventi conoscenza condivisa.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Progetto di traduzione poetica e musicale condotto con rigore e inventiva, «Buarqueana» nasce come restituzione in lingua napoletana dell’opera di Chico Buarque, con Chico stesso presente in voce in due momenti del disco e Mônica Salmaso ospite in un episodio dalla grazia controllata. La lavorazione si sviluppa tra Rio de Janeiro e Roma, con un dialogo serrato sul dettaglio lessicale, sulla scorta di un confronto quindicennale che ha permesso di cesellare ogni parola e di sondare il valore di una lingua che porta memoria sociale e respiro spirituale.
Maria Pia De Vito costruisce un repertorio che mette al centro la parola come atto concreto, memoria e identità. «’Na Parola» («Uma Palavra») dispone il perimetro filosofico, in cui la voce decide la temperatura emotiva, mentre la traduzione in napoletano illumina sfumature di senso, con un ritmo prosodico che favorisce il passaggio dall’affermazione alla riflessione. «Amico mio» («Meu caro amigo») lavora su un’intonazione epistolare apparente quotidianità, mentre dietro la linea melodica si accumulano ferite, soprusi, rassegnazioni. «’O cunto d’Angelica» («Angelica») richiama la storia di Zuzù Angel e del figlio Stuart, ossia il canto come testimonianza, dolore reso forma, necessità di dire che diventa costruzione musicale cosciente. Cantarlo insieme a Chico in napoletano assume il carattere di atto civile, ma evita l’enfasi, cercando misura, intelligenza del racconto, compostezza. Il collettivo strumentale – Roberto Taufic (chitarra), Huw Warren (pianoforte), Roberto Rossi (batteria e percussioni) – agisce con equilibrio e fiducia reciproca. La chitarra disegna linee flessibili, alternando arpeggi chiari ed incastri accordali con tensioni interne; il pianoforte introduce contrappunti discreti e progressioni armoniche che aprono varchi all’interpretazione; percussioni e batteria definiscono un respiro ritmico mobile, ora serrato ora rarefatto, sempre funzionale alla parola cantata. Ne deriva un procedimento che rende l’insieme ricco di tensioni e mai irrigidito, fatto di libertà calibrata, invenzione sorvegliata ed ascolto reciproco.
All’interno della scaletta, la ricerca tocca repertori storici e trame narrative: «Choro Bandito» («Choro Bandido») e «Valsa Contro ’o tiempo» («Valsa Brasileira»), quali rielaborazioni di forme popolari con finezza armonica; «Samba e ammore» («Samba e amor») sposta l’asse su una cantabilità trasparente, con microvariazioni ritmiche che guidano la curva espressiva; «Uocchie int’’a ’ll’uocchie» («Olhos nos olhos») lavora sull’intensità del fraseggio, con sospensioni controllate e risoluzioni misurate; «Amante Dimane» («Futuros amantes») evoca una temporalità larga, in cui la voce prende il tempo necessario ed il pianoforte dispone intervalli come passi. La presenza di Mônica Salmaso in «Valsa Contro ’o tiempo» aggiunge una velatura acustica raffinata, con un profilo di suono che dialoga in modo naturale, piuttosto che sovrapporsi. Il cuore del progetto risiede nella traduzione in napoletano come atto critico e creativo. Non mera trasposizione, bensì ri-scrittura consapevole che, mediante scelte prosodiche e foniche, riporta l’opera di Buarque in un ambito linguistico che per affinità storica e culturale ne accoglie il respiro. La memoria della canzone napoletana – nella cura del dettaglio, nella misura della frase e nella precisione delle rime – incontra la tradizione brasiliana in un campo comune, in virtù di una sensibilità che tratta la parola come materia e la musica come forma viva. Sul piano armonico, molte pagine privilegiano impianti modali e progressioni con funzione narrativa. «’Na Parola» insiste su gradi che mantengono l’attenzione sul testo, evitando modulazioni spettacolari; «Chest’è» («Pois é») gioca con leggerezza apparente, con scarti di cadenza che rimandano ad un sorriso amaro; «Je me pensaje» («Até pensei») lavora su prospettive accordali che ritardano la risoluzione, generando un equilibrio instabile che sostiene la semantica della rinuncia. Questa coerenza armonica non indulge nell’ornamento, ma serve la parola, amplificandone il significato.
Il suono in generale mantiene trasparenza e calore, grazie alle registrazioni tra Casa del Jazz e Biscoito Fino, con il mix di Andrea Cutillo ed il master di Massimiliano Cervini all’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone. Ogni voce dell’ensemble appare riconoscibile, con un’aura fonica pulita, senza compressioni aggressive e con un disegno dinamico che rispetta la naturalezza dell’emissione. Una produzione accorta, di solida formazione tecnica, che privilegia chiarezza, prospettiva spaziale, proporzione tra parti. «Buarqueana» prosegue il cammino aperto con «Core Coração», ma restringe il fuoco su Chico, affinando passo dopo passo la logica della traduzione come pratica musicale. Ne deriva un lavoro immaginativo, esperto ed interiormente articolato, dove la musica pensa, la lingua canta e la storia si fa presente senza proclami. Un album necessario per comprendere come la forma canzone possa reggere una responsabilità poetica e civile e come la traduzione – quando rigorosa e inventiva – diventi conoscenza condivisa.

