Tra passato e presente, tra intimità e universalità: «A Single Multitude – The Jazz Side» di Bob Salmieri (Cultural Bridge, 2025)

«A Single Multitude – The Jazz Side» si rivela un’opera di piena maturità, in cui l’identità artistica di Bob Salmieri si dispiega nella sua complessità, senza mai indulgere in autoreferenzialità.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Nel vasto panorama della musica jazz contemporanea, l’album «A Single Multitude – The Jazz Side», firmato dal polistrumentista e compositore Bob Salmieri per l’etichetta indipendente Cultural Bridge, si distingue quale opera di raffinata stratificazione estetica e concettuale. Sin dal titolo, che evoca con finezza intertestuale l’opera poetica di Fernando Pessoa, simbolo per eccellenza della molteplicità identitaria, l’album si configura non solo come un contenitore musicale, ma come un’indagine sul sé creativo, inteso come luogo di incontro tra alterità sonore e poetiche.
L’eteronimia pessoana diventa qui chiave ermeneutica per accedere a un corpus musicale che amalgama esperienze compositive precedenti, a partire dalle improvvisazioni del Joe Siciliano Jazz Trio, passando per il lirismo pianistico di Beato Angelico, fino all’estro narrativo di progetti come Kafiristan, Milagro Acustico, la trilogia di Erodoto Project, il Bastarduna Quintet e Manosanta Hard Soul. Tali eteronomi musicali si fondono in una compagine unitaria, dove la pluralità timbrica non risulta dispersione, ma matrice di coerenza. L’apertura affidata a «A Lot Of Loneliness» funge da prologo meditativo: un brano che sovverte ironicamente l’idea di molteplicità, concentrandosi invece sulla condizione esistenziale della solitudine. L’uso di progressioni armoniche dal respiro sospeso e la tessitura melodica lieve ma carica di pathos delineano una poetica dell’attesa e della fragilità, che permea l’intero progetto. Salmieri si dimostra narratore sonoro, capace di sublimare nel fraseggio jazzistico elementi che riecheggiano una memoria d’infanzia, carica di stupore e smarrimento. La varietà della tracklist – dalla solarità evocativa di «Bright Light Of Gaza «alla spiritualità evocata in «The Holy Inn-Keeper», fino alle venature oniriche di «Morning Dream» – disegna una cartografia interiore, dove ogni composizione è una stazione di un viaggio psichico e artistico. Si osserva altresì un raffinato equilibrio tra scrittura e improvvisazione: i temi sono cesellati con attenzione formale, ma mai privi di quell’energia vitale propria del jazz più autentico. Dal punto di vista esecutivo, l’album gode della presenza di musicisti italiani e internazionali che, seppur diversi per provenienza stilistica, si inseriscono organicamente nella visione salmieriana. L’ensemble, variabile fra quartetto e quintetto, si muove con agio nei territori proposti, restituendo un suono denso, stratificato, eppure estremamente comunicativo.
«A Lot Of Loneliness» si apre con un’introduzione rarefatta, in cui il piano stabilisce un clima sospeso mediante accordi estesi, con uso di voicing quartali e toni aggiunti. La sezione ritmica entra con discrezione, tratteggiando un ballad jazz dai contorni modali. L’assolo di sax si distingue per un fraseggio lirico, con ampio uso di intervalli di quarta e appoggiature cromatiche. «Bright Light Of Gaza», composizione più flessuosa e sincopata, costruita attorno a un groove mediorientale che richiama la tradizione maqam, pur mantenendo una struttura armonica occidentale. La melodia principale sfrutta una scala frigia dominante, arricchita da ornamentazioni microtonali che contribuiscono ad un’atmosfera esotica. «Benny Golson’s Dream» è un omaggio evidente al grande sassofonista e compositore hard bop. Il tema presenta una struttura AABA, con armonie dense e modulanti. Da notare l’utilizzo di cromatismi discendenti tipici del linguaggio golsoniano. Il contrabbasso svolge un ruolo propulsivo con walking bass serrato, mentre la batteria alterna spazzole e ride per creare una texture dinamica e agile. «An Oracle Told Me» si materializza come un componimento misterioso, caratterizzato da una serie di cellule ritmiche irregolari che sembrano citare metriche dispari, in 5/4 o 7/8. L’uso della politonalità tra piano e fiati suggerisce una tensione profetica, coerente col titolo. L’improvvisazione è collettiva, un interplay quasi cameristico. In «Moon Dance» Salmieri si muove in un territorio vagamente impressionista. Le progressioni armoniche sembrano rifarsi a Debussy e Bill Evans, con un ampio uso di accordi plananti e armonie quartali. Il tempo rubato e i glissandi del sax evocano un’atmosfera notturna e danzante, come suggerisce il titolo.
«Let the Rain Come» è un costrutto dall’andamento lento e meditativo, ispirato ad un’ambientazione quasi gospel. La struttura armonica si sviluppa su un ciclo di accordi discendenti, con il pianoforte che esplora arpeggi traslucidi che enfatizzano la vulnerabilità emotiva dell’opera. «The Dead» è una composizione cupa e potente, dominata da timbri scuri di contrabbasso e pianoforte con uso di cluster armonici. Il climax centrale richiama tecniche di accumulazione orchestrale proprie del free form, ma non ci sono fughe dalla realtà. «Morning Dream» gioca sull’ambiguità tonale e sul contrasto fra sogno e risveglio, dove la melodia è costruita con intervalli aperti e un accompagnamento minimale, mentre il sax restituisce un senso di leggerezza e stupore. «Door of My Desert» è un componimento dalla forte impronta mediterranea, in cui il tema utilizza una scala araba sottesa da un ritmo ternario, creando un effetto di ondeggiamento. Il sassofono danza lentamente sopra l’accompagnamento come un derviscio in rotazione. «The Holy Inn-Keeper» mostra un afflato simbolico e spirituale, con un incedere quasi liturgico. Armonicamente ricco, fa largo uso di accordi sospesi e modulazioni improvvise. La melodia viene trattata come un canto gregoriano traslato nel linguaggio jazzistico, con qualche eco del Miles Davis di «Sketches Of Spain». «The Trip Of My Father» assicura un finale intenso e discorsivo, che s’inerpica come un piccolo poema sinfonico. L’interazione tra strumenti suggerisce una narrazione episodica, tra ricordo e viaggio interiore. Notevole il contrappunto tra gli strumenti in primo piano, mentre la batteria sottolinea il tragitto con tocchi cinematici. A conti fatti, «A Single Multitude – The Jazz Side» si rivela un’opera di piena maturità, in cui l’identità artistica di Bob Salmieri si dispiega nella sua complessità, senza mai indulgere in autoreferenzialità; un lavoro che merita un ascolto attento e ripetuto, poiché ogni brano sembra custodire, tra le sue pieghe armoniche, nuove suggestioni pronte ad emergere con il tempo. Una sintesi riuscita tra coerenza e pluralità, tra scrittura e improvvisazione, tra intimità e universalità.
