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Wayne Shorter 2008 / Vitoria Gasteiz Jazz Festival in Spain.

Shorter non è stato soltanto un eccellente strumentista, ma un artista a tutto tondo che ha saputo combinare talento tecnico, visione compositiva, intuito innovativo, carisma e profondità di pensiero, dando vita ad una carriera quasi sessantennale che difficilmente potrà essere eguagliata.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Wayne Shorter è stato uno dei maggiori sassofonisti (tenore e soprano) della storia del jazz, capace di unire diverse epoche musicali. Ha iniziato la carriera nel periodo in cui il bebop cedeva il passo al cool jazz e, attraversando l’avanguardia degli anni ’60, l’hard bop e la fusion, continuando ad ispirare generazioni di sassofonisti jazz fino ai giorni nostri, con un approccio sempre rivolto all’innovazione più che alla riproposizione dei modelli del passato. Lo stile di Shorter ha subito una continua evoluzione. Inizialmente influenzato da Coltrane, con cui studiò da giovane, Wayne sviluppò rapidamente una voce unica e originale, che lo portò a essere parte di alcune delle formazioni più importanti per l’evoluzione del jazz moderno, tra cui il leggendario quintetto di Miles Davis degli anni ’60, al fianco di Herbie Hancock, Ron Carter e Tony Williams.

Wayne Shorter nasce a Newark il 25 agosto 1933, sedicenne inizia a studiare il clarinetto, passando al sassofono tenore intorno ai diciannove anni. Dopo il diploma in Musical Education ed un periodo di servizio militare, nel 1956, suona con Horace Silver. Tornato alla vita civile, entra nella big band di Maynard Ferguson, dove incontra Joe Zawinul, con cui anni dopo avrebbe fondato i Weather Report. Dal 1959 al 1963 è membro dei Jazz Messengers di Art Blakey, diventandone direttore musicale e arrangiatore. Negli anni ’80, il cosiddetto new bop raccoglie l’eredità del quintetto di Miles Davis degli anni ’60, con artisti come Wynton Marsalis, Herbie Hancock e Freddie Hubbard che riportarono il jazz verso uno stile più tradizionale, arricchito dalle esperienze modali, free e hard bop. Shorter, già veterano della scena, s’inserisce perfettamente in questa di «restaurazione», senza abbandonare i progetti più sperimentali in ambito fusion, come Phantom Navigator e Atlantis. La sua attività nell’ambito del cosiddetto new bop lo porta a numerose collaborazioni di altissimo livello, inclusi lavori con Joni Mitchell e la partecipazione alla colonna sonora del film Round Midnight di Bertrand Tavernier. Nel 2003 fonda un nuovo quartetto con Danilo Pérez al pianoforte, John Patitucci al basso e Brian Blade alla batteria, tornando a un jazz esplorativo e senza confini.

La scomparsa di Wayne Shorter, avvenuta all’età di 89 anni, a Los Angeles, il 2 marzo 2023, ha lasciato un vuoto incolmabile, segnando un momento profondamente simbolico – oltre che doloroso – per il mondo del jazz. Non solo perché il sassofonista di Newark è stato una delle figure più rappresentative ed innovative della scena afro-americana, sia come sassofonista che come compositore, ma anche perché sono sempre di meno i testimoni della grande epopea jazzistica della seconda metà del Novecento ancora in vita. Shorter non è stato soltanto un eccellente strumentista, ma un artista a tutto tondo che ha saputo combinare talento tecnico, visione compositiva, intuito innovativo, carisma e profondità di pensiero, dando vita ad una carriera quasi sessantennale che difficilmente potrà essere eguagliata. Sebbene oggi esistano musicisti di notevole caratura che continuano a perpetuare la specie jazz-sapiens, il percorso di Shorter sembra irripetibile: a soli ventisei anni fu direttore musicale dei Jazz Messengers di Art Blakey ed a trentuno il principale autore del leggendario quintetto di Miles Davis. Le cronache narrano che nel 1959, Coltrane disse a Wayne che avrebbe dovuto prendere il suo posto come sassofonista tenore nella band di Miles. Quindi Shorter chiamò Davis per chiedere un lavoro, ma Miles rispose «Ti chiamerò quando avrò bisogno di un sassofonista tenore» e gli riattaccò. Pentito, il trombettista dovette ricredersi e tornare sui suoi passi qualche anno dopo. Dopo aver pubblicato alcuni album da solista, il «sassofonista tenore» si unì a Miles Davis nel 1964, restando con lui fino al 1970 e contribuendo a sessioni epocali come Nefertiti, ESP, Miles Smiles, Sorcerer e In A Silent Way. In questi dischi compaiono alcune delle sue composizioni più celebri, tra cui ESP, Pinocchio, Nefertiti, Sanctuary, Footprints, Fall e Prince Of Darkness. Shorter è stato fondatore dei Weather Report, il più importante gruppo jazz-fusion di tutti tempi. In questo nuovo contesto, usando prevalentemente al sax soprano, esplorò sonorità sperimentali e contaminazioni con generi più accessibili, ampliando enormemente il pubblico del jazz senza mai perdere mai la sua credibilità compositiva ed esecutiva. Negli ultimi vent’anni della sua vita, ha mostrato uno spiccato interesse per una smaniosa ricerca sulle possibilità di un quartetto sbilanciato occasionalmente verso la cultura eurodotta.

Condensare l’attività di Shorter in soli dieci album è un’impresa ardua, forse pretestuosa ed, inevitabilmente, parziale. Tuttavia, considerando la vastità del suo catalogo, oggi facilmente accessibile sulle piattaforme digitali, la scelta non è da ritenersi didascalica, definiva, assoluta, ma puramente indicativa, almeno per tentare un primo approccio. I dieci dischi riportati hanno avuto un impatto fondamentale, a livello di innovazione ed voluzione, sia sul vernacolo afro-americano che sulle dinamiche del jazz del ‘900 e oltre, in termini stilistici, esecutivi, compositivi ed, in taluni casi, perfino commerciali.

JuJu (Blue Note Records, 1964)

Speak No Evil (Blue Note Records, 1965)

Etcetera (Blue Note Records, 1965)

The All Seeing Eye (Blue Note Records, 1965)

Schizophrenia (Blue Note Records, 1967)

Sweetnighter (CBS Records, 1973) / Weather Report

Native Dancer (Columbia Records, 1975)

Black Market (CBS Records, 1976) Weather Report

8:30 (CBS Records, 1979) Weather Report

Emanon (Blue Note Records, 2018)

Weather Report

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