George Cables compie ottant’anni. Il pianista newyorkese è ancora attivissimo

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George Cables

// di Cinico Bertallot //

George Cables, personaggio pacato, schivo, paziente e dotato di una «forza tranquilla», è uno dei più stimati pianisti degli ultimi decenni: sideman straordinario accanto ad alcuni dei più prestigiosi nomi del jazz americano ed europeo. La sua attività di band-leader, oggi come allora, non è da meno, specialmente in formato trio, piccoli combo di sopraffina eleganza che hanno imposto uno stile fitto di sfumature armoniche, di intriganti cromatismi, mai prolisso e ridondante, basato su un fraseggio evolutivo, nonché foriero di un raffinato swing. George ha collaborato con Woody Shaw, Art Blakey, Sonny Rollins, Joe Henderson, Bobby Hutcherson, Frank Morgan, ma fu soprattutto con Art Pepper e Dexter Gordon che il suo nome ottenne un elevato livello di visibilità mondiale. Numerosi furono i dischi ed i concerti realizzati con Dex e Art, sia in quartetto che in duo, lavori appassionanti che collocano Cables fra gli artisti apprezzati dai jazzofili più esigenti e ricercati. Il fraseggio elegante, il tocco raffinato e percussivo, un eccellente senso del blues ed un’incredibile vena compositiva consacrano George Cables all’Olimpo dei più accreditati pianisti oggi in attività.

Art Pepper lo chiamava «Mr. Beautiful» per l’impeccabile perizia tecnica e una musicalità fuori dal comune, tali da rendere ogni interpretazione un unicum. «Mr. Beautiful», divenne il pianista preferito di Art, partecipando a molte date in quartetto per le etichette Contemporary e Galaxy e sostenendo Art in un emozionante album in duo, «Goin’ Home», ultima sessione di registrazione di Pepper prima della sua morte improvvisa. «Ho avuto la possibilità di suonare con alcuni dei più grandi musicisti del mondo», dice Cables, «ma è buffo, se non sei visto come un band-leader, che fa la stessa cosa un sacco di volte, è facile chiedersi: Beh, chi sei veramente? Cosa provi davvero?. E a volte devo chiedermelo, perché ogni volta che suono con qualcuno di diverso devo indossare un cappello differente».

Classe 1944, George Cables ebbe il vantaggio di essere nato a New York, e di crescere nella Grande Mela in un epoca di mutamenti epocali e ricca di fermenti creativi, quando ancora molte divinità del jazz calpestavano il suolo terrestre, ma furono le sue sorprendenti capacità che gli consentirono di inserirsi e trovare rapidamente una sua dimensione nell’affollata e competitiva scena jazzistica del tempo. Cables frequentò il Mannes College of Music per due anni e nel 1964 suonando in un gruppo chiamato The Jazz Samaritans in cui militavano alle stelle emergenti come Billy Cobham, Lenny White e Clint Houston. Le esibizioni in giro per New York al Top of the Gate, allo Slugs e in altri club attirarono l’attenzione sulla sua capacità di adattamento alle situazioni stilistiche più disparate. In breve tempo la nomea del giovane Cables cominciò a diffondersi, tanto che il sassofonista tenore Paul Jeffrey lo coinvolse in varie registrazioni, tra cui «Lift Every Voice And Sing» di Max Roach, partecipazione che, nel 1969, lo porterà ad ottenere un breve ingaggio con Art Blakey e i Jazz Messengers. Siamo alla fine degli anni ’60 quando, dopo Paul Jeffrey, Max Roach e Art Blakey, il pianista ricevette anche la chiamata di Sonny Rollins: fu grazie al Colosso se Cables ebbe modo di visitare la West Coast di cui si innamorerà, a tal punto da lasciare New York.

Del periodo californiano sono da menzionare le collaborazioni con Freddie Hubbard, Woody Shaw, Joe Henderson, Bobby Hutcherson e l’inizio dell’attività di leader, divenendo un esempio vivente di ciò che fa un pianista rilevante in una sezione ritmica, di come si debba ascoltare, sostenere e interagire con gli altri solisti e che cosa voglia dire veramente il comping. Le successive chiamate di Dexter Gordon, George Benson e – come già detto – Art Pepper, con cui condividerà la scena fino al 1982 (anno della scomparsa del sassofonista di Gardena), faranno di lui non solo uno dei best musician for musicians, un geniale maestro della dinamica, della tensione e del rilascio, ma anche uno dei più apprezzati pianisti tout-court ancora attivi sulla scena jazzistica mondiale. Un pianista di rango che mostra sistematicamente ciò significativa e ciò che significa essere un partecipante o un leader pro-attivo e interattivo in un piccolo ensemble. Oggigiorno, George Cables rappresenta l’esempio vivente di come relazionarsi con i musicisti più giovani, specie quando essi sono davvero parte di un «continuum familiare» allargato, perché – a suo dire – nessuno «possiede» la musica».

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