// di Guido Michelone //

D Così a bruciapelo, in tre parole, chi è Andrea Trevaini?

R Uno che ha avuto per tre volte la vita salvata dalla musica. Negli anni Sessanta quando da adolescente The Beatles mi sconvolsero la vita. Negli anni Settanta quando scoprii Hound Dog Taylor, un bluesman (che aveva l’età di mio padre) che suonava da anni un blues elettrico talmente sporco e distorto da far impallidire prima i Rolling Stones e poi i Sex Pistols. Negli anni Settanta ancora quando ascoltai i primi dischi del Miles Davis elettrico. Dopo di allora la mia vita è sempre stata guidata dalla musica che ne faceva parte integrale.

D Mi racconti ora il primo ricordo che hai della musica da bambino?

R Mi ricordo benissimo il primo 45 giri che ascoltai e che mi rimase impresso sempre: Diana di Neil Sedaka.

D E hai qualche ricordo infantile o giovanile legato al jazz?

R Gli anni Cinquanta andammo con la famiglia in vacanza (ospiti da parenti) al Lido di Venezia ed una sera, passando davanti a un locale ascoltai un quartetto vocale afro-americano eseguire Only You dei Platters; quel brano divenne il leitmotiv della mia infanzia.

D Ti piace il jazz? Quali musicisti ascolti?

R Come ti ho detto sono arrivato tardi al jazz, attraverso le contaminazioni elettriche di Miles Davis; poi ho scoperto John Coltrane e più tardi ancora Charlie Parker e ancor più tardi il mitico pianista Fats Waller. Come vedi un percorso a ritroso nel tempo!

D E ti piace l’altra musica afroamericana (blues, gospel, spiritual, r’n’b, soul, funk) ? Idem come sopra, se sì, cosa ascolti?

R La mia conoscenza musicale è nata negli anni Sessanta, attraverso Beatles e Rolling Stones; per cui anche il mio avvicinamento alla musica afroamericana è stato filtrato attraverso i musicisti Inglesi, per cui sono passato attraverso Fleetwood Mac (che mi hanno rimandato a Elmore James); gli Stones mi hanno portato a Muddy Waters e così via. Invece soul e r’n’b sono arrivati a me tramite le trasmissioni radio di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni. Grazie a loro mi si è aperto un mondo nuovo. Sono poi arrivato ad amare il padre del blues Robert Johnson; il r’n’b di Otis Redding, il soul di Aretha Franklin e Salomon Burke e il funk di James Brown, tutti artisti che ascolto tuttora con grande piacere.

D Quali sono i motivi che ti hanno spinto a occuparti di musica a livello giornalistico?

R Devi sapere che per tutta la vita ho fatto un altro mestiere (dirigente industriale) e sono approdato al «Buscadero» nel 2000, quando mi sono trasferito per lavoro a Gallarate; frequentavo già il negozio di Paolo Carù ed ero amico di Gianni Del Savio (che scriveva per il «Buscadero»); diciamo che sono caduto volontariamente dalla padella (della passione) alla brace (della recensione)!

D Il tuo nome per molti versi è indissolubilmente legato al mensile «Buscadero»: ci sveli il tuo pluridecennale rapporto con la testata sponsorizzata da Paolo Carù?

R Ho cominciato a leggere il «Buscadero» fin dai primi anni Ottanta; per cui per me il fatto di cominciare a scrivervi è stato il coronamento di un sogno. Paolo Carù era un tipo molto esigente e mi ha tenuto in prova per parecchi anni, passandomi da recensire una pletora di musicisti di vari generi e stili musicali per controllare la qualità del mio lavoro. Ma l’apice della mia carriera Buscaderiana fu quando una ventina di anni fa, venni ammesso nel comitato di redazione della rivista; questo voleva dire entrare a far parte della corte di Carù, il “boss” indiscusso che ne gestiva le sorti; ma che lasciava comunque a noi anche sperimentazioni verso altri lidi musicali non abitualmente frequentati dal «Buscadero». Fu così che pian piano riuscii a far entrare nelle pagine del «Busca», sia la musica Italiana che il prog, finora molto marginali. Ma soprattutto quello che contraddistingueva il nostro rapporto era la fiducia reciproca che è venuta man mano maturando; peraltro il solo fatto di essere stato ammesso alla corte del «Buscadero» ritengo che sia stato per me vincere lo Strega del giornalismo rock.

D Perché Buscadero invece non ha mai voluto occuparsi di rap, hip-hop, techno, dance, che oggi piacciono tanto ai giovani?

R Il Buscadero è sicuramente un AOR (Adult Oriented Rock) Magazine e il suo background musicale è sicuramente il rock e il country Americano, con aperture verso il blues e il jazz. Ritengo che le altre forme musicali che tu elenchi non rientrino nelle preferenze musicali di un pubblico di lettori che lo stesso Buscadero ha contribuito a formare nel corso dei suoi 40 anni.

D Ma esiste ancora un pubblico giovanile che come voi ama la musica del «Buscadero», in primis il rock intriso via via di folk, country, blues e r’n’r?

R Sinceramente ritengo che il nostro lettore medio abbia un’età superiore ai 40-50 anni; il Buscadero non ha mai inseguito le mode ed è pertanto rimasto all’avanguardia nel suo qualificato settore musicale; inutile disperdersi dietro mode che non sentiamo nostre.

D Ma chi è il lettore-tipo di «Buscadero»? Quali i gusti musicali? Come si rapporta al jazz?

R Per la prima parte della domanda ho già risposto sopra. Il jazz ritengo che ormai, grazie anche al tuo lavoro pluriennale con la rivista, è stato pienamente accettato dal Buscaderiano medio che ha capito come non si possa prescindere dalle basi musicali del jazz che hanno nutrito anche quelle del rock che è nato successivamente.

D Sei d’accordo che senza la grande musica afroamericana di oltre un secolo fa – non solo jazz, ma anche blues e spiritual – forse il rock (e quello che è arrivato dopo) non sarebbe esistito?

R Assolutamente, il rock non sarebbe nato senza le radici che stanno ben piantate nel blues, nel Jazz, nel r’n’b, il primo ha portato i testi, il secondo i ritmi , il terzo l’anima (attraverso il soul) e la forza del ballo (attraverso il funk) , senza dimenticare le tradizioni folk europee che hanno permesso la nascita del country. Il rock di fatto è stato un perfetto mix di tutte le sonorità nate prima, le ha semplificate e rese fruibili ai teen-agers dell’epoca (comunque il tutto guidato, sotto traccia, dalle major discografiche che badavano alle vendite).

D Tra i milioni di dischi che hai ascoltato ce n’è uno cui sei particolarmente affezionato? E perché?

R È senz’altro il primo disco dei King Crimson, In The Court Of The Crimson King, dove il jazz (in forme quasi free), il rock quasi metal, il folk, si mescolavano, grazie alla classe di Robert Fripp, dando vita ad un sound che rimane unico. Il disco lo ascolto ancora almeno una volta al mese e poi faccio rilevare la cover-art con quella faccia dell’uomo schizoide del XXI secolo in copertina che era davvero emblematica (il disegnatore purtroppo morì per un incidente subito dopo averla disegnata).

D E tra i dischi che hai amato quali (cinque-sei al massino) porteresti sull’isola deserta?

R Oltre a quello dei King Crimson mi porterei: Bitches Brew di Miles Davis, A Love Supreme di John Coltrane, Unknown Pleasures dei Joy Division, Harvest di Neil Young, Back On Top di Van Morrison e Live/Dead dei Grateful Dead.

D Quali sono stati i tuoi idoli o maestri nella musica, nella cultura, nella vita?

R Miles Davis, Neil Young, George Harrison dal punto di vista musicale, dal punto di vista culturale senz’altro Carl Gustav Jung del quale ho iniziato due anni fa la lettura dell’opera omnia; nella vita: Giovanni Vannucci (il più avventuroso teologo Italiano) e Carlo Carretto che mi ha spinto allo studio della Bibbia.

D Qual è per te il momento più bello della tua carriera di giornalista?

Sono due: il primo quando Paolo mi ha lasciato scrivere un lungo articolo di commento al maxi-boxset The Complete Miles Davis Columbia Album Collection,Il secondo è stato un momento lungo venticinque anni, dato dal fatto che il Buscadero mi ha dato la possibilità di intervistare circa 50 musicisti, tra cui alcuni dei miei miti: James Taylor, Greg Lake, Ian Anderson, Mark Lanagan, Pat Metheny, David Thomas, Diamanda Galas, Beth Hart, Judy Collins; un benefit senza prezzo!

D Come vedi la situazione della musica in Italia?

Ci sta molto fermento, anche nei settori di musica privilegiati dal Buscadero; lo noto nelle due rubriche Italiane che teniamo Lino Brunetti ed io sulla rivista; da molti anni inoltre sono nella giuria del Premio L’Artista che non c’era cui partecipano decine di artisti in cerca di visibilità. Purtroppo mi pare che il mercato privilegi altri tipi di musica (rap, trap, cantanti con voci alterate dal’Autotune, prevalenza dell’immagine sulla sostanza). Comunque tra i nuovi emergenti scelgo senz’altro Elodie, dotata di grande personalità, tra le cantanti storiche scelgo Tosca dal percorso artistico ineccepibile.

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