Intervista a Rosario Moreno nella veste di organizzatore

Rosario Moreno
//di Guido Michelone //
D Da Napoli a Chiavari: in mezzo cosa c’è?
R Direi almeno 8 anni di esperienze, soprattutto in veste di musicista, realizzate nelle maggiori città italiane ed europee, Roma, Milano, Bruxelles e in medio oriente, Abu Dhabi, Dubai, Manama, esibendomi in esclusive locations e su nave da crociera. Tutto inizia nel 1987, gestivo un club in provincia di Napoli nel quale in alcuni giorni della settimana mi proponevo con concerti tematici, una sera capita nel locale il titolare di una importante agenzia di artistica di Milano che mi propose un contratto all’estero, non sapeva che del locale ero anche il titolare … ad ogni modo dopo una settimana di riflessioni ho firmato il mio primo contratto da professionista per un imbarco sulla motonave Orient Express, una nave di livello assolutamente particolare che navigava sulla rotta Venezia, Atene, Istanbul, Kusadasi, Patmos, Katakolon. Sicuramente esperienza interessante e formativa dal punto di vista professionale e molto importante dal punto di vista di esperienza di vita. Da lì in poi il mio percorso è stato esclusivamente improntato sulla musica “suonata”, mettendo fra le mie priorità, si la musica, ma anche l’esigenza di divertirmi e mai annoiarmi. Con il passare degli anni mi sono reso conto che questi due aspetti stavano scemando così some la spensieratezza della gioventù ed allora ho iniziato a riflettere sul mio futuro. Amando profondamente la musica e mettendo a frutto le mie esperienze, è stato abbastanza naturale realizzare un’attività che mi permettesse di continuare a vivere di musica e arte.
D Come ti definiresti professionalmente? Musicista, artista, manager, organizzatore o altro ancora?
R Ma anche editore e discografico (piccolo… molto piccolo). Amo profondamente la musica in ogni suo aspetto e ho avuto la fortuna di vivere pienamente alcuni di questi. La mia avversione per la routine mi ha sempre spinto a cercare nuove esperienze, mantenendomi vivo e costantemente attivo. Guardando indietro, mi rendo conto che, forse senza nemmeno accorgermene, in ogni fase della mia vita ho naturalmente assunto il ruolo più adatto all’età che avevo. All’inizio, ho esplorato il mondo della musica come un viaggio di scoperta, cercando di prendere il meglio sia come musicista sia come uomo. Ogni esperienza mi ha arricchito, formandomi non solo sul piano professionale ma anche su quello personale, ampliando la mia comprensione di ciò che significa vivere attraverso la musica. Oggi, pur occupandomi di promozione e di scouting, e talvolta manager che guida e sostiene, mi identifico principalmente nella veste di organizzatore. Questo ruolo credo che utilizzi al meglio l’esperienza accumulata, la mia creatività e la mia capacità di visione.
D E cosa consente a te la veste di organizzatore?
R Organizzare eventi musicali mi permette di creare ponti tra artisti e pubblico, tessendo insieme esperienze uniche che vanno oltre la semplice programmazione di un concerto. È una sfida continua, che talvolta mi spinge a superare i confini tradizionali e provare ad innovare, evitando così la routine che tanto detesto. Essere un organizzatore non significa solo gestire la logistica o stilare una lista di progetti musicali da programmare; è un’arte che richiede sensibilità, passione e un profondo impegno emotivo. Mi piace pensare che ogni evento sia un’opportunità per condividere storie, emozioni e momenti unici, creando così nuove connessioni e ricordi indimenticabili. In definitiva, la musica è stata la mia bussola in un viaggio personale e professionale in continuo divenire. Assumere diversi ruoli nel corso degli anni mi ha permesso di esplorare varie dimensioni del mondo musicale, arricchendomi di esperienze e conoscenze che oggi metto al mio servizio e al servizio anche della comunità. Guardando avanti, sono eccitato all’idea di dove questo cammino mi porterà ancora, certo che la musica continuerà a essere una mia fedele compagna di viaggio. La musica, come la vita, è un flusso costante di cambiamento e scoperta, di avventure e di sfide.
D Puoi parlarci della tua attività per la BlueArt Promotion e BlueArt Management?
R Potrei dirti che la BlueArt è nata nel 2000, che inizialmente sì è dedicata principalmente all’organizzazione di eventi aziendali, rappresentazioni glamour e di consulenza e programmazione musicale per conto di importanti compagnie alberghiere. Tutte cose che ancorché interessanti con il tempo non mi appagavano più. Con il passare degli anni mi sono poi dedicato esclusivamente al mondo del jazz, nasce così il “ramo” booking & management, occupandomi di alcuni importanti artisti italiani, affiancando poi al tutto l’attività di promozione e ufficio stampa. Nel mentre non mi sono fatto mancare delle piccole produzioni.
D Raccontaci anche dei tuoi impegni come Presidente presso Italia Jazz Club. E come ‘vive il Chiavari Jazz Club?
R Da quando ho assunto il ruolo di Presidente di Italia Jazz Club (IJC), mi sono trovato al timone di un’associazione che è molto più di un semplice aggregato di jazz club. Con circa 35 club membri sparsi su tutto il territorio nazionale, IJC rappresenta una realtà capillare nel panorama musicale italiano, capace di organizzare nel suo insieme circa un migliaio di concerti all’anno, una vetrina eccezionale per artisti di fama nazionale e internazionale ma anche per talenti emergenti destinati a lasciare un segno nel mondo della musica. La fiducia che i soci hanno riposto in me, eleggendomi a questa carica, è una fonte di grande orgoglio ma anche di responsabilità e questo mi spinge a dedicarmi agli interessi dell’associazione con un grande impegno di risorse e di tempo. I primi due anni sono stati molto soddisfacenti, e spero che gli associati condividano questo sentimento. La mia missione e quella del mio direttivo è principalmente quella di valorizzare il ruolo dei jazz club nello sviluppo culturale e musicale, promuovendo la musica jazz come un elemento importante della cultura italiana. L’obiettivo è sempre stato quello di avvicinare il maggior numero di persone ai jazz club, che considero veri e propri luoghi di vita, di cultura e di inclusione, dove però purtroppo paghiamo lo scotto di una nazione che in passato ha trascurato l’importanza della musica jazz e dei suoi luoghi di elezione quali strumenti di crescita collettiva e di arricchimento culturale. Questa è una sfida che non si può vincere da soli e soprattutto senza un serio sostegno pubblico. La sostenibilità economica rimane un tema cruciale, specialmente per le realtà più piccole e indipendenti che costituiscono il tessuto vitale della cultura italiana.
D Per fortuna che – come dici tu – dei passi avanti si sono fatti e quantomeno oggi la musica Jazz è riconosciuta a pieno titolo dal Ministero della Cultura, quale patrimonio comune e momento di crescita del pubblico e dei musicisti promuovendone lo sviluppo e la crescita.
R Un atto, quest’ultimo, che corona un percorso intrapreso in questi anni ma che è anche punto di partenza per nuovi obiettivi. In questi anni di Italia Jazz Club, abbiamo ideato e promosso iniziative come la giornata nazionale dei jazz club e l’ItaClub Jazz Fest, che hanno contribuito a rafforzare la presenza e l’importanza dei club nel tessuto culturale nazionale. La mia visione per il futuro del jazz in Italia è quella di una comunità sempre più unita e forte, capace di promuovere la cultura jazzistica tra le nuove generazioni e di rendere i jazz club luoghi vivi di incontro e di scambio culturale. Il mio impegno come Presidente di IJC è volto a realizzare questa visione, lavorando ogni giorno con passione e dedizione per la musica che amiamo. Per quanto riguarda il jazz club Chiavari, come buona parte dei club italiani, vive principalmente di “passione” e nasce dall’entusiasmo di un gruppo ben definito di cultori della musica jazz con la voglia di avere un punto di riferimento sul territorio in cui vivono. Ricopro, anche in questa realtà, il ruolo di Presidente e ci onoriamo di avere in veste di Presidente Onorario Enrico Rava tra l’altro “cittadino” chiavarese. Pur organizzando concerti nell’affascinante auditorium di Chiavari che l’amministrazione comunale ci mette a disposizione il nostro desiderio è quello di riuscire ad avere una sede “ufficiale” che possa permetterci di realizzare una programmazione costante e di poter godere di quell’atmosfera che solo i jazz club sanno regalare.
D Possiamo parlare nel 2024 di jazz come arte autonoma? Ha ancora un senso oggi la parola jazz?
R Direi assolutamente di sì. Parlare oggi di jazz è parlare di un genere musicale che è allo stesso tempo un riflesso del passato e un presagio del futuro, come d’altronde lo è sempre stato. È un dialogo continuo tra tradizione e innovazione, un’esplorazione delle possibilità sonore ed espressione della diversità umana. Il jazz, con la sua capacità di evolversi e adattarsi, rimane una forza vitale nella musica e nella cultura contemporanea, dimostrando che il termine “jazz” ha un significato che va ben oltre le etichette musicali, abbracciando un’evoluzione del pensiero stesso della musica, della cultura e dell’espressione artistica. Anche se negli ultimi anni il jazz si è imborghesito, credo resti sempre un campo di battaglia per l’identità e la resistenza. In sintesi il jazz, al di la delle etichette che disegnano sempre dei limiti, ha sicuramente una sua autonomia e una sua purezza artistica e oggi come ieri ha sicuramente un senso.
D E si può parlare di jazz italiano? Esiste qualcosa di definibile come jazz italiano?
R Direi che esiste il jazz, poi ci sono le sue tante declinazioni. Se proprio vogliamo dare delle etichette possiamo certamente parlare di jazz italiano che con le sue molteplici sfaccettature, si manifesta in modo unico, fondendo la tradizione e il linguaggio del jazz “americano” con elementi distintivi della cultura, della musica e dell’estetica italiana. Questa fusione ha dato vita a un “jazz italiano” che, pur radicato nella tradizione internazionale, si distingue per il suo linguaggio musicale arricchito dalle influenze locali, riflettendo il ricco patrimonio culturale del nostro paese. Artisti italiani hanno notevolmente contribuito allo sviluppo del jazz nel nostro paese, portando sul palco un suono distintamente italiano. Il jazz in Italia non solo è celebrato per tramite dei jazz club, dei festival e nei programmi accademici ma vive anche nel quotidiano apprezzamento di una comunità di ascoltatori appassionati. Diciamo che senza dubbio esiste qualcosa che può essere definito “jazz italiano” e questo non sta semplicemente a indicare il jazz fatto in Italia, ma piuttosto un’espressione unica del jazz che incorpora e riflette la ricchezza culturale e musicale italiana.
D Cosa distingue, per te, l’approccio al jazz di americani e afroamericani da noi europei?
R L’approccio al jazz tra americani, in particolare afroamericani ed europei riflette una complessa interazione di contesti storici, culturali, e sociali. Il jazz nasce come espressione artistica degli afroamericani negli Stati Uniti, radicandosi nelle esperienze, nella storia e nelle tradizioni della diaspora africana. Questo contesto ha fornito al jazz un’identità unica, caratterizzata da elementi di resistenza, espressione di libertà e innovazione musicale. In sintesi, mentre il jazz mantiene il suo nucleo di improvvisazione, espressione personale e innovazione su entrambe le sponde dell’Atlantico, le differenze nell’approccio tra afroamericani e europei al jazz riflettono le rispettive storie, comprese le influenze musicali delle due parti. Questa diversità arricchisce il panorama globale del jazz, rendendolo un genere sempre in evoluzione e universalmente risonante. Semplificando al massimo gli afroamericani hanno il jazz nel sangue, gli americani lo hanno nel cuore e noi europei nella testa.
D Il jazz deve parlare, attraverso i suoni, di temi sociali, politici, ambientali, filosofici?
R Il jazz, sin dalle sue origini, è stato intrinsecamente legato a espressioni di identità culturale, resistenza sociale, e commento politico. La sua nascita e evoluzione si intrecciano con la storia afroamericana, facendolo diventare non solo un genere musicale, ma anche un veicolo di espressione per temi sociali e politici. Tuttavia la domanda se il jazz “deve” parlare di questi temi solleva riflessioni sulla natura dell’arte e sul suo ruolo nella società. Ad ogni modo il jazz ha certamente le capacità e la storia di affrontare temi sociali, politici, ambientali e filosofici, la scelta di farlo spetta agli artisti. Quando Charlie Parker o Miles Davis suonavano non stavano solo creando musica, stavano raccontando la storia di un’epoca, con tutte le sue bellezze e le sue brutture. E così fanno i jazzisti di oggi, che si trovino a New York, a Londra o in un jazz club italiano. Possono scegliere di riflettere sulla società, sulla politica, sull’ambiente, o semplicemente suonare qualcosa che faccia sentire bene chi ascolta, liberandoci dai pensieri, anche solo per la durata di un brano. Il jazz, con la sua enfasi sull’improvvisazione, l’espressione personale e la comunicazione emotiva, rimane uno spazio aperto per la diversità di voci e messaggi, riflettendo la complessità dell’esperienza umana.
D Come vivi il jazz in Italia anche in rapporto alle esperienze sul territorio?
R La mia storia personale, come dicevamo all’inizio, è multiforme, e questa domanda stuzzica in me una risposta “romanzata”. Il jazz è un genere musicale che è un po’ come un personaggio eccentrico e allo stesso tempo profondo: pieno di sorprese, talvolta complicato, ma sempre, in qualche modo, incredibilmente affascinante. Vivere il jazz qui da noi è un po’ come essere in un continuo dialogo con una vecchia anima saggia che ti racconta storie affascinanti di tempi passati, mentre ti guida attraverso vicoli nascosti e piazze illuminate dal sole. Ci sono i festival, e in questo settore l’Italia, quando si tratta di celebrare il jazz, non fa le cose a metà. Potrei dire che ogni città ha la propria “playlist”, pronta a sorprendere il potenziale ascoltatore con un concerto in una piazza secolare o in un antico teatro all’aperto. Umbria Jazz, per esempio, non è solo un festival, è un rito da celebrare per chiunque si dica amante della musica. Immaginate di sedervi accanto a un antico duomo, un gelato in una mano, un programma del festival nell’altra, mentre le note di un contrabbasso vi fanno vibrare il cuore. Non è solo musica e non è solo jazz; è un’esperienza sensoriale completa.
D Poi ci sono i club…
R Sì, quegli spazi intimi dove il jazz si respira davvero da vicino. Posti che talvolta possono somigliare a dei caffè letterari, dove ogni serata è una storia diversa. Il tipo di posto dove potresti andare da solo, ma finiresti per sentirti parte di una famiglia, unita dall’amore per le note che riempiono l’aria. Infine, c’è la bellezza di scoprire il jazz in luoghi inaspettati. Potrebbe essere un concerto su una spiaggia della Sardegna, in un vigneto in Toscana o una jam session in una cantina bolognese. È in questi momenti che il jazz diventa più di un genere musicale; diventa un modo di connettersi, di vivere pienamente l’istante. In sostanza, il jazz lo vivo con leggerezza, come un viaggio che talvolta mi porta in posti che non sapevo nemmeno esistessero, che mi fa incontrare personaggi spesso indimenticabili e che, alla fine, mi lascia con quella dolce malinconia, quel desiderio che la storia non finisca mai.
D Cosa ne pensi dell’attuale situazione in cui versa la cultura italiana (di cui il jazz ovviamente fa parte da anni)?
R La cultura italiana, con il suo ricco patrimonio storico, artistico e musicale, si trova in un momento di trasformazione e sfida, proprio come molti altri ambiti culturali nel mondo. La situazione attuale, influenzata anche da fattori globali, non è delle migliori. Tuttavia credo ci sia un crescente interesse verso la cultura come mezzo per comprendere e vivere la complessità del mondo contemporaneo, la sua profonda storia e la sua capacità di innovazione. Direi quindi che anche il jazz in Italia riflette queste dinamiche e i suoi protagonisti hanno dimostrato resilienza e capacità di adattamento. In conclusione, pur affrontando sfide significative, la cultura italiana, inclusa la sua scena jazzistica, si trova anche di fronte a nuove opportunità per riaffermare il suo ruolo nel panorama culturale globale. Ma è una sfida che necessità di finanziamenti e supporto adeguati per gli artisti e per chi si occupa di cultura. La sostenibilità economica rimane un tema cruciale, specialmente per le realtà più piccole e indipendenti che ne costituiscono il tessuto vitale.
