// di Francesco Cataldo Verrina //

Quella di Frank Rosolino è stata una storia beffarda. Considerato uno dei più dotati trombonisti in circolazione tra gli anni ’50 e ’70. Lo chiamavano «Joker», il pagliaccio del jazz, ma Frank Rosolino morì tragicamente nel 1978. Come tutti i clown, cercando di intrattenere e far ridere agli altri, covava dentro un senso di solitudine e di turbamento, in parte percepibile dal modo di suonare lo strumento: a volte ironico quasi in barba alla seriosità di un certo jazz; altre velato e dimesso, ma sempre ricco di pathos e sfumature fortemente liriche. Apprezzato in Europa ed in Italia, tra gli anni ’60 e ’70, per le sue scorribande al seguito di Conte Candoli e per le sue partecipazioni a molti set radiofonici allestiti dalla RAI, fu autore ed arrangiatore sopraffino, oltre che esecutore di vaglia, avendo dietro le spalle una lunga carriera, dapprima nella banda dell’esercito americano, poi al seguito di innumerevoli grandi orchestre, sino al periodo di massima espressione artistica legata al jazz della West Coast.

Nella vita di Frank Rosolino ci fu una tragedia, una brutta storia, simile a quelle che si consumano spesso nella nostra epoca. Il suicidio della seconda moglie aveva lasciato in lui dei segni profondi e delle ferite inguaribili, tanto che nel 1978 a Van Nuys, California, si tolse la vita anche lui, dopo avere sparato ad entrambi i figli, Justin di 9 anni e Jason di 7. Questo insano gesto, determinato da un momento di assurda follia, non solo stroncò a 52 anni la sua brillante carriera, ma ne offuscò in parte la memoria ed i meriti conquistati sul campo. Molti preferirono non ricordare: parlare di Frank Rosolino, inevitabilmente, avrebbe riportato a galla un raccapricciante fatto di sangue ed una squallida e cruenta pagina di cronaca.

Ponendo su due piani differenti la vicenda umana e quella professionale, senza condizionamenti, l’International Trombone Association istituì un riconoscimento per trombonisti jazz, intitolato alla memoria di Frank Rosolino, considerato all’unanimità come uno dei migliori trombonisti di tutti i tempi. Il dramma personale e familiare – come dicevamo – non ha aiutato molto a perpetuare negli anni il suo ricordo, ma per lungo tempo Frank Rosolino, strumentista irrequieto e molto audace nelle sue scelte tecniche, ebbe il rispetto e l’ammirazione dei colleghi e degli addetti ai lavori per via di uno stile personale, facilmente riconoscibile ed affinato grazie alla lunga militanza nelle big band a partire dagli anni quaranta, periodo al quale deve la maggior parte dei riconoscimenti soprattutto negli anni ’50, in particolare fra il 1952 e il 1954, durante la permanenza nell’orchestra di Stan Kenton.

Per quanti ignorano la discografia di Frank Rosolino, questo album potrebbe costituire una prima tappa, un punto di partenza per esplorarne gradualmente l’intera opera. In «I Play Trombone» del 1956. pubblicato dalla Bethlehem Records, Rosolino dirige uno splendido quartetto, formato a lui molto congeniale, con Sonny Clark al pianoforte, Wilfred Middlebrooks al basso e Stan Levey alla batteria. La presenza di Sonny Clark conferisce al set un sapore più bop, molto vivace e meno vincolato alle atmosfere cool, tipicamente californiane. Di sicuro, «I Play Trombone» rimane uno dei momenti più felici della carriera del trombonista, contribuendo a consolidarne fama e notorietà, soprattutto ne allargò il consenso presso un pubblico più variegato ed esigente. È un album profondamente radicato nella musica del suo tempo, nonché condizionato dai nuovi fermenti del periodo. In taluni frangenti l’operato di Rosolino e compagni subisce, sia pure indirettamente, l’influsso di quanto lo stesso Miles Davis stava sviluppando in quel momento: un forte senso di liricità trabocca da ogni microsolco; tutti i passaggi sono ben ponderati ed il feeling fra i musicisti crea un collante perfetto per tutto l’insieme; il costrutto sonoro risulta omogeneo e ben delineato.

L’album si apre con «I May Be Wrong (But I Think You’re Wonderful)», dove Rosolino sprigiona tutta la sua componente swing in rapida scioltezza, usando un fraseggio assai accattivante, mentre Sonny Clark delimita il suo territorio con piglio da solista e non da gregario; ottimi gli scambi del trombonista leader con il bassista Middlebrooks e il batterista Levey. Con «The Things We Did Last Summer», Rosolino sfodera la sordina, creando un’intrigante atmosfera cool, con un movimento flessuoso e spaziato. Nel pezzo di Sonny Rollins «Doxy» e in «Flamingo», il trombonista si mostra davvero in grande spolvero, emettendo arpeggi alla velocità della luce, glissando al momento opportuno e dimostrando di avere l’assoluto comando sullo strumento con una padronanza ed una scioltezza non comune. Da encomio solenne il contributo di Sonny Clark, la cui creatività e l’innato talento aggiungono lucentezza all’intera sessione. Due sono i brani originali composti da Frank Rosolino, ossia «Frieda» e «My Delux». Nel primo il Nostro si muove sospinto da un’allegria contagiosa, mentre l’impeccabile Clark corre in lungo e largo sul piano, ampliando gli sforzi del band-leader; nel secondo spetta al bassista Middlebrooks annunciare la melodia con una linea di basso potente, seguita da un convincente assolo di Clark, quindi Rosolino raccoglie l’invito liberandosi in un gioco melodico inventivo ed avvolgente.

«I Play Trombone» è un album facilmente fruibile ed accattivante, realizzato con intelligenza compositiva ed organizzativa. Ad onor del vero, metà dei meriti vanno attribuiti a Sonny Clark, co-leader del set, almeno in pectore, ma tutto il quartetto si esprime con equilibrio e precisione, sia nella gestione degli standard che degli inediti proposti. Nel 1956, all’indomani della pubblicazione di «I Play Trombone», Frank Rosolino era all’apice della carriera e della notorietà; prima che il suo genio si offuscasse e gli eventi precipitassero diede alle stampe molti altri dischi assai interessanti, che potrebbero dare l’esatta misura di un personaggio, a volte sottovalutato, ma più spesso dimenticato, per cause molteplici, ed assolutamente da riscoprire.

Frank Rosolino

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *