Sahib_Shihab

// di Francesco Cataldo Verrina //

Nell’universo jazz brancolano quasi al buio una folta schiera di figure oscure e secondarie, che pur avendo contribuito molto all’evoluzione e allo sviluppo della musica, risultano poco presenti nella coscienza e nella conoscenza collettiva. Tra i tanti musicisti da riportare in auge, c’è il talentuoso multi-strumentista, Sahib Shihab, il quale nei primi anni ’60 riuscì ad avere un impatto significativo sulla scena, dopo aver collaborato con alcuni importanti jazzisti come Luther Henderson, Roy Eldridge, Thelonious Monk, Fletcher Henderson, Tadd Dameron e Dizzy Gillespie, prima di intraprendere una carriera europea come solista e successivamente come membro della Clarke Boland Big Band.

Il suo vero nome era Edmond Gregory, nato a Savannah, in Georgia, nel 1925. A soli 13 anni ebbe la sua prima esperienza professionale, suonando il contralto nella band di Luther Henderson, senza mai tralasciare gli studi al conservatorio di Boston. Nel 1947, Edmond Gregory è il primo musicista jazz a convertirsi all’Islam, divenendo Sahib Shihab. L’esplosione del Bop alla fine degli anni ’40 travolse e catturò Sahib Shihab, come molti altri che in quel periodo seguivano le orme e l’influenza di Charlie Parker. Sahib dimostrò di essere ben equipaggiato per affrontare le complessità e le sfide della “nuova musica”, contribuendo, tra il 1947 e il 1951, a una serie di classiche incisioni di Theolonius Monk, soprattutto lanciando alcuni dei capisaldi della storia di bebop, come la versione originale di “Round About Midnight”.

Figura geniale ed eccentrica, contagiata da Monk, riusciva ad essere trascinante sia in studio che sul palco, soprattutto il successivo lavoro di Shihab su sax baritono si deve all’approccio bizzarro e individualista della musica Monk, dove ognuno cercava di ritagliarsi un ruolo da protagonista. Durante lo stesso periodo, partecipò come sideman a molte registrazioni di artisti della caratura di Art Blakey, Miles Davis, Kenny Dorham, Benny Golson, Tadd Dameron e alla prima sessione di John Coltrane come leader per Prestige, “First Trane”. L’approdo alla big band di Dizzy Gillespie, nei primi anni cinquanta, si rivelò di particolare importanza, segnando ufficialmente il passaggio di Sahib al sax baritono, strumento con cui verrà associato in futuro. Alla fine degli anni Cinquanta, Sahib Shihab si sentì stanco ed amareggiato dalla tensione razziale. “Mi stavo stancando dell’atmosfera che c’era a New York” – dichiarò a Downbeat nel 1963 – “E volevo allontanarmi da quel mondo di pregiudizi. Non avevo tempo per le questioni razziali. Mi consumava le energie”. Quindi nel 1959 si unì alla band di Quincy Jones, per il tour del musical “Free and Easy”. viaggiando per l’Europa fino a quando gli impegni non si esaurirono e la band venne liquidata.

Da lì a poco decise di fare della Scandinavia la sua nuova dimora, vivendo tra la Danimarca e la Svezia con un permesso di lavoro che durò per 12 anni. Quel lungo soggiorno europeo gli assicurò a suo dire: “sopravvivenza e pace per la mente”. In quegli anni fu attivo nella scrittura di spartiti per la televisione, il cinema e il teatro, assicurandosi un lavoro al Politecnico di Copenaghen. Nel 1961 si unì, insieme a pianista Kenny Clarke, alla big band del compositore belga. Sahib Shihab rimase una figura chiave per quell’ensemble con una lunga collaborazione durata 12 anni. Il suono burbero e possente del baritono e del flauto espressivo e svolazzante caratterizzarono molte registrazioni in studio e riprese dal vivo, dove suo stile assai distintivo e marcato si adattava bene agli arrangiamenti imprevedibili della band.

La sua opera, durante gli anni ’60 ed i primi anni ’70, offre l’immagine di un uomo soddisfatto e documenta l’attività di un musicista completamente a suo agio con una precisa idea di individualità artistica e di auto-espressione. Mentre le vecchie influenze swing e le giornate passate con Monk erano evidenti come una specie di imprinting nel suo sound, Sahib Shihab riuscì a definire una sua dimensione musicale attraverso una varietà di standard, di ballate e di composizioni originali, caratterizzate da arrangiamenti tutt’altro che banali e cambi di tempo imprevedibili. I suoni a gola profonda punteggiano nettamente linee fluenti, mentre si libra in nuovi passaggi creativi ed invenzioni pieni di calore e feeling, così la sua tecnica sul flauto si evidenzia molto, applicando un tono ricco di sfumature insieme a una serie di espressioni timbriche non dissimili a quelle di Roland Kirk o Yusef Lateef.

In talune situazioni più percussive, Sahib controbatte il ritmo con il baritono, utilizzando un suono roco e graffiante in tutta la sua espressività gutturale.Il suo modo di suonare, a volte eccentrico, racconta sempre qualcosa di inedito, mentre la sua eterodossia diventa accattivante. Un personaggio da scoprire o da riscoprire, assolutamente.

Sahib Shihabat (The Radio House, Copenhagen)

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