Claudio Fasoli Double Quartet con «Inner Sounds»: dal poema alla partitura, tra paesaggi interiori, memoria ed invenzione (Abeat Records, 2016)
«Inner Sounds» si legge come un concept di ampio respiro, dove la memoria letteraria di Auden diventa sostanza musicale e la varietà delle combinazioni strumentali si traduce in un racconto sonoro coerente e imprevedibile.
// di Francesco Cataldo Verrina //
«Inner Sounds» segna un momento di particolare intensità nella produzione di Claudio Fasoli, concepito con un doppio quartetto che si espande in ottetto, capace di moltiplicare prospettive e di generare un tessuto sonoro ampio e mutevole. La formazione comprende Michael Gassmann alla tromba e al flicorno soprano, Fasoli al sax tenore e soprano, Michele Decorato al pianoforte, Michele Calgaro alla chitarra, Andrea Lamacchia e Lorenzo Calgaro al contrabbasso, Gianni Bertoncini e Marco Zanoli alla batteria ed elettronica. La scelta di raddoppiare gli strumenti cardine non produce ridondanza, bensì un intreccio di voci che si dispongono in piani paralleli, finalizzati ad alternare densità e rarefazione, coralità e solismo, con una coerenza che rimane sempre riconoscibile.
Il ciclo compositivo trae ispirazione dalle «Horae Canonicae» di Wystan Hugh Auden, sette poemi che Fasoli rielabora in chiave musicale. Ogni episodio si presenta come quadro autonomo, ma parte di un percorso unitario legato da medesimo fil rouge. La registrazione di Stefano Amerio restituisce un suono spazializzato, nitido, che amplifica la percezione di profondità e colloca l’ascoltatore dentro un ambiente acustico mobile. La scrittura di Fasoli non indulge mai nel virtuosismo di superficie, preferisce la chiarezza del fraseggio e la limpidezza dell’armonia, alternando momenti di concentrazione severa e aperture liriche inattese. Ogni musicista trova spazio per un apporto personale, ma la logica rimane collettiva: Gassmann come alter ego solistico, Decorato e Calgaro come architetti armonici, Lamacchia e Calgaro al contrabbasso come radici sonore, Bertoncini e Zanoli come motori ritmici capaci di variare continuamente la pressione.
«Prime» si apre come alba sonora improvvisa e free form, dove il fluire iniziale della tastiera stende una luce diffusa, quasi un fondale pittorico nordico, su cui il sax di Fasoli traccia linee sobrie e controllate. L’impressione è quella di un paesaggio che si rivela lentamente, come una tela di Rothko che lascia emergere la profondità attraverso campiture di colore rarefatto. «Terce» procede con il dialogo dei contrabbassi, figure essenziali che s’inseguono e si sottraggono, generando un tessuto di tensione minima. La chitarra interviene come voce discreta, con un fraseggio che ricorda la precisione di un segno calligrafico, quasi pinkfloydiano (jazzisticamente friselliano), ossia poche linee, ma capaci di orientare lo spazio. «Sext» concentra l’attenzione sul pianoforte, che costruisce masse compatte e verticali, sostenute da un pedale di basso e da una batteria elastica, dove il tratto motivico di Fasoli assume la forma di un rilievo scultoreo, in odor di Garbarek, dove le superfici si accostano e si separano, con il sax che interrompe e riprende, come se volesse dare significato al vuoto. «Nones» si apre con la chitarra che dilata l’ambiente, riverberi che allargano il campo e suggeriscono atmosfere sospese, vicine a certe tele di Turner, dove la luce si dissolve in vapori. I fiati emergono come presenze laterali, non protagonisti, ma figure che insinuano direzioni inattese, ma dalla potente aura narrativa.
«Vespers» si nutre di un pianismo essenziale, poche note ben posizionate che creano un clima meditativo. La scrittura qui si avvicina alla prosa aforistica, in cui ciascun gesto appare ridotto alla necessità, ogni suono diventa pensiero, mentre i fiati sembrano marciare in una dimensione novembrina e crepuscolare. La batteria, nella parte conclusiva, scandisce un’uscita limpida, come un tratto netto che chiude una pagina. «Compline» parte con il tandem chitarra e tromba, ampio e disteso, che evolve verso una coralità controllata. Siamo alle prese con un passaggio che sembra richiamare un mosaico bizantino, fatto di tessere luminose che si accostano con ordine, senza mai perdere trasparenza. «Lauds» conclude il lotto con figure di contrabbasso all’unisono, arpeggi serrati che giocano sull’identico come variazione del medesimo. L’unisono finale di sax e tromba non costituisce una chiusura, ma un invito, una soglia che chiede accoglienza, come se la musica volesse proseguire oltre la durata disco, affidandosi all’ascoltatore. In complesso, «Inner Sounds» si legge come un concept di ampio respiro, dove la memoria letteraria di Auden diventa sostanza musicale e la varietà delle combinazioni strumentali si traduce in un racconto sonoro coerente e imprevedibile. Ciascun componimento diventa simile alla pagina di un diario contemplativo, dove la disciplina partiturale incontra la libertà esecutiva e l’estetica della temperanza, schiudendosi ad un continuum emotivo che sorprende per l’attitudine ad unire rigore ed immaginazione.

