«Invisible Cities» del Luigi Martinale Quartet, un disco immaginifico come le città di Calvino (Abeat Records, 2025)
Luigi Martinale Quartet
«Invisible Cities» di Luigi Martinale Quartet sancisce un concept sonoro che non si ascolta e basta, ma si attraversa e si s’ispeziona come si percorre e si scandaglia un sentiero o un itinerario durante un viaggio, come le città di Calvino, che non si visitano, ma si immaginano.
// di Irma Sanders //
«Invisible Cities» del Luigi Martinale Quartet non è un banale lotto di composizione finalizzate all’urgenza di un disco, per contro traccia una mappa sonora che traduce in musica la tensione concettuale e la poetica delle città calviniane. Un’atmosfera suggestiva resa possibile dalla partecipazione dell’Orchestra da Camera Conservatorio Ghedini di Cuneo. Otto inediti, ciascuno come una città immaginaria, non descritta ma evocata, non rappresentata ma resa udibile. Martinale, pianista e compositore, guida una formazione che include Stefano «Cocco» Cantini ai sassofoni, Yuri Goloubev al contrabbasso e Zaza Desiderio alla batteria: quattro voci s’ interrogano, dando vita ad un concept si muove tra jazz e musica colta, ma quale tensione dialettica, evitando la sovrapposizione stilistica o la banale scorciatoia della fusione.
La scrittura di Martinale appare rigorosa, quasi cameristica, ma lascia spazio a improvvisazioni che non divagano, bensì scavano. Ogni elaborato sonoro risulta costruito come una universo letterario: un’idea che si sviluppa per variazioni, con cellule tematiche che si trasformano, specchiandosi in una narrazione a tratti a cinematica, locupletata da in interplay dinamico, in cui Cantini con il suo sax diviene voce autonoma, a tratti lirica, a tratti spezzata, capace di evocare geometrie urbane e paesaggi interiori. Goloubev e Desiderio accompagnano mentre dispensano idee: il contrabbasso disegna fondali armonici mobili, la batteria costruisce spazi ritmici che non incalzano, ma respirano. Martinale funge da bussola, indicando una direzione che non è mai la stessa. Ciascun episodio sonoro raffigura una città possibile ed un’ipotesi di mondo. Non esiste didascalia o corrispondenza diretta con i nomi calviniani: c’è invece una grammatica musicale che s’ispira alla struttura combinatoria del libro. Come Calvino costruisce le città per gruppi tematici, Martinale implementa i brani per nuclei motivici, per simmetrie interne, per ritorni e deviazioni, a cui l’orchestra aggiunge una ricchezza cromatica ed una fisiologia acustica di rara bellezza.
«Les Fleurs de Jasmin» apre il percorso con una linea che si contorce, similmente un ramo sotto il peso del profumo. Il pianoforte accenna e lascia intravedere. Il sax soprano entra senza forzare, traducendo il tema in una curva che si allunga, mentre Il contrabbasso scava come una radice, mentre la batteria sfiora il tempo con leggerezza. «Berenice», avvolta in una magnifica cornice orchestrale, si attesta come stratificazione di memorie. Il sax tenore si cala nel sottosuolo emozionale, mentre il pianoforte risponde con accordi che fendono l’aria, mentre il contrabbasso devia, sostenuto dalla batteria, la quale distribuisce un ritmo che vibra sotto la superficie. La forma si espande come una città che si rivela a strati, senza mai esaurirsi. «Kublai Kan e Marco Polo», diventano due strumenti dialoganti ed antitetici al contempo Il pianoforte propone una figura che si converte in domanda, il sax la raccoglie e la rimodella, il contrabbasso procede su traiettorie oblique, la batteria continua a mettere gettoni nella macchinetta del groove, mentre ogni frase rilancia la precedente e ciascun passaggio apre una nuova direzione.
«Chichita’s Wedding» danza con grazia. Il tema iniziale si staglia come una spirale, il sax lo prolunga con un timbro trasparente ed il pianoforte lo sostiene con armonie che si aprono come finestre. La cavata del contrabbasso funge da cuore interno, la batteria disegna traiettorie che s’intrecciano senza urtare, dove la forma si dilata come un ricordo che si fa luce, mentre l’orchestra arricchisce ed amplia lo spettro sonoro. «Spring is Coming» fiorisce emanando una sequenza che germoglia, il sax ne asseconda il profilo con voce chiara, il contrabbasso apporta un walking essenziale, dove la batteria costruisce un terreno che accoglie. «Maurilia» disegna una mappa, in cui il pianoforte articola frammenti che si specchiano, il sax riceve e li evolve con il contrabbasso che spinge verso profondità che si moltiplicano, mentre la batteria sembra sospendere il tempo. La città sonora diventa così un habitat ideale per l’orecchio, il pensiero e la memoria. «Eutropia» vibra di attesa: il sassofono espone una linea che si allunga, il pianoforte la incastra tra armonie sospese; dal canto suo il contrabbasso si muove come un impulso trattenuto, assecondato dalla batteria che costruisce un groove a falde larghe, tanto che il desiderio si espande senza consumarsi. «Notturno e Zaira» stratifica: il pianoforte dispensa frammenti che si rincorrono, il sassofono li trasfigura, il contrabbasso funge da spina dorsale flessibile, mentre la batteria garantisce un groove adattivo, dove ogni frase prolunga un’eco e ciascun silenzio trattiene un pensiero. Senza tralasciare la ciliegina sulla torta che l’orchestra appone su ogni episodio sonoro come un marchio di qualità. «Invisible Cities» di Luigi Martinale Quartet sancisce un concept sonoro che non si ascolta e basta, ma si attraversa e si s’ispeziona nel modo in cui si percorre e si scandaglia un sentiero o un itinerario durante un viaggio, alla stregua delle città di Calvino che non si visitano, ma si possono solo immaginare.

