Gabriele Fava Group con «At The First Light Of Day»: un viaggio antropologico e sonoro nella memoria arcaica del mondo (Barly Records, 2025)

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«At The First Light Of Day» è molto più di un album: è un atto di creazione mitopoietica che unisce la ricerca etno-musicologica alla libertà espressiva di jazz con influenze marcatamente nordiche.

// di Cinico Bertallot //

Il nuovo album del Gabriele Fava Group, «At The First Light Of Day», sancisce un esempio emblematico di come la ricerca musicale possa diventare strumento di esplorazione interculturale e riflessione identitaria. Frutto di un lungo processo creativo durato sei anni, l’opera si attesta quasi come una suite jazz contemporanea intrisa di sincretismo rituale e narrazione mitica.

Il concept muove da una tensione tra radice e visione: da un lato, l’intento di evocare la polifonia dei popoli e delle loro credenze ancestrali; dall’altro, la volontà di filtrare questi immaginari attraverso una lente soggettiva e poetica. Il risultato è un paesaggio sonoro che si snoda tra ghiacci remoti, deserti interiori e acque liminali, articolandosi in undici brani che funzionano come tappe di un pellegrinaggio simbolico. L’uso di titoli come Bæn, Aruki Henro, Kulning, o Autólykos non è mero esotismo, bensì segnale di una precisa scelta semantica. Ad esempio, Il kulning è un canto antico che si arrampica sulle montagne della Scandinavia e riecheggia nei pascoli come un richiamo tra il terreno e il cielo. Non è solo una tecnica vocale: è una voce che si slancia verso l’orizzonte per parlare agli animali, alla natura, ma anche alla solitudine e alla memoria. Con il tempo, questo canto è passato da strumento quotidiano a simbolo di qualcosa di più grande: resistenza, appartenenza, libertà. Chi lo ascolta oggi non sente solo una voce: sente il vento del Nord, il silenzio che si rompe, l’anima di donne che, in un’epoca dura, hanno trovato nella voce la loro casa.

«Bæn» che in islandese significa preghiera, introduce l’album come un rito, un’invocazione, un’introspezione spirituale che apre le porte a un mondo interiore. «Up There» allude a qualcosa che è lassù, in alto: un richiamo a una dimensione trascendente o a una memoria che si eleva sopra il quotidiano. Dedicata ad Anita Morelli, riflettere anche l’essenza di un omaggio personale. «Aruki Henro», espressione giapponese che significa pellegrino a piedi, fa riferimento al celebre cammino dello Shikoku Henro ed è il simbolo del viaggio interiore, della ricerca spirituale, del camminare come forma di conoscenza. «Elk» è una parola anglosassone antica usata per indicare l’alce o grandi cervidi. Musicalmente e filosoficamente, rappresenta la forza primordiale, il legame con la natura selvaggia e l’archetipo dell’animale totemico. «The Novgorod Saga» si riferisce alla città russa di Novgorod ed al concetto nordico di saga. Un racconto epico che fonde memoria storica e immaginario mitico, con echi di sonorità balcaniche e nordiche. «Kulning» – come già detto – rievoca il canto pastorale femminile svedese, usato per richiamare il bestiame, portando con sé l’eco di valli scandinave, paesaggi sconfinati ed un’eco di voce umana come richiamo ancestrale, dove l’urlo della voce viene trasdotto dal sax di fava.

«Creatures Of The Wildest Imagination» – Creature dell’immaginazione più selvaggia – è un titolo evocativo, che apre all’onirico, al fantastico, all’inconscio collettivo popolato di figure archetipiche. «Silent Sea», come il mare silenzioso, dà un’immagine di quiete e mistero, legata a una dimensione emotiva profonda, ed a ciò che non viene detto ma risuona dentro. «Colei che cammina nella notte», una figura femminile mitica, quasi sciamanica. rappresenta l’intuito, il viaggio nel buio della psiche, o l’archetipo della viandante notturna. «Autólykos», personaggio della mitologia greca, conosciuto per la sua astuzia e per essere il nonno di Ulisse. Qui rappresenta il gioco dell’inganno, la trasformazione, l’abilità di attraversare i limiti tra realtà e finzione. Ogni titolo è come una chiave simbolica: apre uno scenario, un’emozione, una cultura. L’insieme crea una mappa sonora che abbraccia il mondo e lo rilegge attraverso uno sguardo personale e profondamente poetico.

Ogni traccia diventa una preghiera, un richiamo, un furto di tempo e spazio per riappropriarsi di una spiritualità perduta. La pluralità linguistica e culturale sottesa ai titoli si riflette anche nella tessitura musicale, dove strumenti, timbri e strutture evocano ritualità collettive e intime al tempo stesso. La presenza di dediche personali amplifica il senso di radicamento emotivo e memoriale del disco, restituendo al jazz una funzione testimoniale che supera il mero virtuosismo: qui la musica è custode di affetti, genealogie e territori dell’anima. «At The First Light Of Day» è dunque molto più di un album: è un atto di creazione mitopoietica che unisce la ricerca etno-musicologica alla libertà espressiva di jazz con influenze marcatamente nordiche. Uno slow-food dell’anima da ascoltare lentamente, come si contemplano i paesaggi interiori: in silenzio e con gratitudine.

Gabriele Fava Group
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