Jacopo Fagioli con «Dialogue»: la tromba come generatrice di pensiero e tensione progettuale (Aut Records, 2025)

0
Jacopo-Fagioli-Dialogo_ante

L’album di Jacopo Fagioli si colloca nell’alveo delle ricerche più consapevoli della contemporaneità, dove il jazz non è semplice maquillage estetico o rumore metropolitano, ma atto di interrogazione del mondo.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Il secondo lavoro di Jacopo Fagioli, «Dialogue», rappresenta un passaggio di consapevolezza autoriale e di ampliamento prospettico rispetto a «Bilico». La tromba, voce primaria e narrante, non si appaga le tracciare linee melodiche, ma assume la funzione di coscienza critica, intenta ad orientare l’intero line-up verso una dinamica relazionale. La scelta di passare dal duo al quartetto non risponde a un semplice incremento organico, ma ad una precisa volontà di imbastire un tessuto sonoro più articolato, in cui ogni strumento diventa interlocutore e partecipe di un processo dialogico.

La partitura alterna sezioni concepite con rigore formale e fughe improvvisative radicali. La libertà esecutiva non viene utilizzata per mero esercizio ornamentale, ma come modalità di pensiero, atto di convivenza e di apertura. La tensione tra progettualità e rischio genera un flusso musicale che non si arresta, mantenendo coerenza narrativa pur nella varietà di soluzioni ritmiche e armoniche. La tromba, priva di altri fiati a sostegno, assume il compito di raccontare in prima persona, modulando colori acustici che oscillano tra luminosità e asperità, tra lirismo e provocazione. Sul piano tematico, l’album si radica in questioni di forte attualità: potere e dominio, crisi climatica e pratiche di greenwashing, identità e giustizia, spiritualità ed eredità culturale. Ogni episodio diventa un luogo di interrogazione, non di risposta. La pluralità delle influenze non si riduce ad citazione decorativa. Il quartetto, formato da Davide Strangio alla chitarra, Amedeo Verniani al contrabbasso e Mattia Galeotti alla batteria, dimostra una coesione non subordinata. Ciascun sidemen porta un’identità distinta, contribuendo ad un suono collettivo che si modella nel confronto continuo, dove tutto concorre ad alimentare un discorso che non si chiude, ma rimane aperto, come un libro di domande lasciato sul tavolo. La chitarra introduce trame armoniche che ampliano lo spettro espressivo, il contrabbasso sostiene e destabilizza con linee profonde e incisive, la batteria alterna scansioni regolari e fratture improvvise, concimando un fertile terreno, sui cui la tromba impianta i semi del proprio fraseggio con agilità.

La forza di «Dialogue» risiede proprio nella capacità di generare pensiero musicale. Non si tratta di un disco che cerca risposte, bensì di un concept che invita a sostare nell’incertezza, a riconoscere la bellezza del confronto ed a percepire la musica come luogo di tensione viva. L’opener, «Avoid Thoughts Of Power And Domination», si porta subito al centro della tensione con un andamento free form, dove frammenti tematici di breve durata si alternano a schegge libere altrettanto concise, ma cariche di energia. L’impiego del trombino accentua la natura aspra ed abrasiva della procedura, conferendo al colore acustico una qualità metallica e pungente, quasi a volersi appellare ad un linguaggio di resistenza. Non si tratta di un semplice gioco di domanda e risposta, ma di un confronto serrato che mette in crisi la linearità del tratturo sonoro, aprendo le porte ad un ambiente fratturato che diventa un manifesto estetico. «Multicultural Heritage» nasce dall’ispirazione gnawa, traducendosi in un ostinato del contrabbasso che genera un flusso ipnotico, teso a trascinare l’ascoltatore in una dimensione rituale. La chitarra interviene con velature che ampliano la trama espressiva, mentre la tromba ripete frasi iterative, quasi liturgiche, che si sovrappongono al groove, generando un senso di stratificazione progressiva. L’insieme diventa un opificio di identità plurali, dove la ripetizione non produce staticità, ma piuttosto accumulo di tensioni ed apertura verso un orizzonte interculturale. In «From Bach’s Menuet In G», la dedica al repertorio barocco non si riduce ad una mera citazione ornamentale, ma plasma la logica imitativa bachiana in una forma di libera uscita. La tromba assume il ruolo di voce principale, mentre chitarra e contrabbasso elaborano una trama polifonica che alterna consonanze e fratture, implementando un costrutto che oscilla tra rigore ed anarchia. La batteria, con accenti calibrati, sottolinea la dimensione architettonica della composizione, convertendo la citazione in un confronto critico fra tradizione e contemporaneità, dove il passato non viene venerato, bensì interrogato. Con «Greenwashing» il tema politico viene traslato in un linguaggio jazzistico incisivo, che alterna sezioni scritte a momenti di eruzione incontrollata e radicale. L’instabilità che ne deriva riflette la contraddizione insita nel concetto evocato dal titolo, producendo un discorso sonoro che non offre risposte, ma mette in evidenza la tensione tra dichiarazioni e realtà. La tromba adotta un profilo acustico tagliente, la chitarra introduce dissonanze destabilizzanti, il contrabbasso sostiene con linee profonde e la batteria rimarca la frattura ritmica, mutando l’insieme in allegoria sonora della falsificazione ecologica.

«Dome», ispirata alla tradizione carnatic, si fonda su un’isoritmia che sovrappone due pattern a velocità differenti, generando un poliritmo che produce equilibrio instabile. La tromba si sposta con frasi liriche ed incisive, mentre la batteria alimenta la turnazione ciclica dei moduli, dispensando un senso di vertigine temporale. L’idea musicale diventa esercizio di percezione, sostituendo la linearità con rotazione, e trasponendo il tempo in materia plastica, continuamente modellata e ridefinita. «AAA AAA», omaggio all’opera performativa di Marina Abramovic, la cui tensione fisica e vocale viene trasposta in un contesto strumentale. La tromba assume un registro teatrale, alternando suoni spezzati e frasi prolungate, quasi a voler richiamare la dimensione corporea della performance. Chitarra e contrabbasso delineano un tessuto che funge da scenario evocativo, mentre la batteria introduce fratture ritmiche che irrobustiscono la dimensione performativa. L’insieme diventa atto di resistenza, nonché gesto che mette in discussione la convenzione musicale e apre un varco verso la dimensione dell’arte contemporanea. «Desertification», quale atto conclusivo, si distingue per la durata estesa e la capacità di mantenere la tensione emotiva per dodici minuti. Il contrabbasso dirama una una linea tellurica, su cui la tromba sviluppa un’aura meditativa, quasi memore di un paesaggio arido e desolato. La chitarra introduce trame armoniche che ampliano la percezione ambientale e la batteria alterna pulsazioni regolari e silenzi strategici, vivificando un terreno dinamico che si attesta come processo di erosione sonora. La rarefazione diventa elemento portante, riconducendo la composizione a un’allegoria della desertificazione, non come immagine descrittiva, ma come esperienza percettiva di progressiva sottrazione. In tal senso, l’album di Jacopo Fagioli si colloca nel solco delle ricerche più consapevoli della contemporaneità, dove il jazz non è semplice maquillage estetico o rumore metropolitano, ma atto di interrogazione del mondo. «Dialogue» sancisce, per tanto, una fucina di pensiero laterale, non serializzato, un humus in cui il suono si fa filosofia, e la filosofia trova nel suono la sua compliance più immediata e necessaria.

Jacopo Fagioli

0 Condivisioni

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *