«Mysterious Traveller. The Music Of Wayne Shorter» di Giuseppe D’Angelo: mutazioni genetiche del jazz (Dodicilune, 2025)

«Mysterious Traveller» si legge come mappa di trasformazioni, dove il jazz divine un laboratorio critico, una architettura sonora aerobica ed linguaggio che sedimenta, in cui Giuseppe D’Angelo imposta un sistema di tensioni che si muove con precisione tra spessore timbrico e rarefazione strutturale.
«Mysterious Traveller. The Music Of Wayne Shorter» di Giuseppe D’Angelo, pubblicato da Dodicilune, apre un campo di forze, attraversato da una doppia corrente: il trio jazz di Stefano Risso, con Nicola Meloni e Mattia Barbieri ed il Quartetto Eridano, con Sofia Gimelli violino, Rebecca Scuderi violino, Carlo Bonicelli viola e Chiara Piazza violoncello. Giuseppe D’Angelo guida con precisione architettonica, innerva con pensiero armonico, plasma con tensione formale. La sua scrittura orienta la memoria verso la forma, la citazione verso il pensiero.
Il trio jazz agisce come matrice ritmica e armonica. Il contrabbasso di Risso s’insinua in profondità annodandosi alle masse sonore del quartetto, modellando il flusso con intensità crescente. Il pianoforte di Meloni disegna traiettorie che si piegano con naturalezza, si espandono con coerenza, si rifrangono con lucidità. La batteria di Barbieri modula tensioni, suggerisce direzioni ed apre varchi con sensibilità dinamica. Gli archi del Quartetto Eridano imbevono le strutture del trio con interventi che fratturano con misura, sedimentano con lentezza e rilasciano con precisione. Il violino si sposta con finezza, la viola innalza ponti con continuità, il violoncello innesta masse che il contrabbasso irrobustisce. Ciascun intervento si solidifica come pensiero armonico, ogni incastro timbrico prolunga la forma con coerenza interna. La riscrittura di D’Angelo, arrangiatore e direttore del progetto, lungi dal tributarismo calligrafico genera una sintassi che dilata con rigore, innerva con intelligenza, rimodella con audacia. La figura di Shorter riattiva una grammatica vivente e una tensione che pervade il disco come una corrente sotterranea, mai interrotta.
«Adam’s Apple» si avvia come un meccanismo a rilascio ritmico, dove il trio jazz modella una superficie instabile, attraversata da impulsi che si rincorrono. Il contrabbasso agisce da leva flessibile, il pianoforte disegna traiettorie che si piegano come rami sotto il peso del tempo, la batteria incide con precisione, lasciando fenditure che si espandono. Gli archi attraversano il parenchima sonoro alla stregua di vene sotterranee, trasportando vibrazioni che si propagano con lentezza. «Infant Eyes» si dispiega come superficie liquida, attraversata da risonanze che si depositano con lentezza. Il tema affiora con discrezione, come un riverbero che risale da un abisso remoto. Il pianoforte lo accoglie con gesti che si allungano come filamenti luminosi, il contrabbasso lo circonda con movimenti che trattengono e la batteria interviene con tocchi che amplificano la sospensione. Gli archi si muovono come luce filtrata tra pieghe di tessuto, in ogni nota prolunga il tempo interno. «Footprints» si avvita come una spirale che si distende lungo assi obliqui. Il tema si frantuma in cellule che si rincorrono come stormi in migrazione, il trio lavora per slittamenti, per scarti e per deviazioni che aprono nuove direzioni. Il contrabbasso sposta il baricentro, il pianoforte moltiplica le traiettorie, la batteria costruisce una rete che oscilla come fune tesa tra due alberi. Gli archi intervengono come specchi deformanti, rifrangono il suono e lo piegano al loro volere , mentre la forma s’implementa per attrito, per accumulo e per rilascio.
«The Three Marias» si sostanzia come tessuto che respira, una trama di voci che si avvitano, similmente a fili d’erba mossi dal vento. Il portato motivico si fraziona, mentre ill quartetto d’archi agisce come sistema nervoso, trasmettendo impulsi che il trio raccoglie e rilancia. Il contrabbasso interviene come fondamento mobile, il pianoforte agisce come traiettoria che si curvae la batteria diventa cesello che incide con precisione chirurgica. La scrittura si comporta come un’intelaiatura portante a maglie larghe e fluttuante, dove ogni sezione s’innesta sulla precedente, mentre passaggio dopo passaggio si schiude un nuovo piano di ascolto. «Schizophrenia – Go» alterna masse sonore che si spingono come placche tettoniche. Le sezioni compatte si caricano di energia che si propaga come un’onda sismica, le aperture improvvise agiscono come fenditure che lasciano filtrare luce. Il trio lavora per accumulo, il quartetto per rilascio. Il tema viene attraversato da forze che si moltiplicano, si rincorrono e si deformano. La scrittura esaspera, stratifica e riabilita. Ciascun gesto sonoro si carica di urgenza, per contro qualunque pausa diventa spazio di attesa. «Fall» si affaccia come un’eco come un indizio lasciata da un passaggio, il trio lo accoglie con delicatezza che trattiene, gli archi intervengono con movimenti che sostengono senza gravare. La scrittura lavora per sottrazione che concentra, ogni silenzio si carica di senso, mentre ciascuna nota si dispone come una pietra in un giardino zen. La memoria si fa presente, il tempo si curva ed il suono si traduce in emozione A conti fatti, «Mysterious Traveller» si legge come mappa di trasformazioni, dove il jazz divine un laboratorio critico, una architettura sonora aerobica ed linguaggio che sedimenta, in cui Giuseppe D’Angelo imposta un sistema di tensioni che si muove con precisione tra spessore timbrico e rarefazione strutturale.
