«Strange Slightly Romantic Memories» di Francesco Pierotti. Un’ortografia compositiva autonoma che oltrepassa la soglia dell’omologazione (Wow Records, 2025)

Ogni componimento determina un sistema di vasi comunicanti, in cui il portato accordale, melodico e ritmico di ciascun attante sulla scena si connette attraverso una calibratura sinestetica che risponde al disegno funzionale del concept che, a netto di ogni valutazione critica, si afferma quale portatore sano di una semantica innovativa, anche se non rivoluzionaria.
// di Francesco Cataldo Verrina //
Pubblicato da Wow Records, «Strange Slightly Romantic Memories» di Francesco Pierotti si delinea come struttura tematica coerente, in cui ogni tassello contribuisce alla definizione di un mosaico sonoro mai ridondante. Il contrabbassista compone secondo una grammatica avulsa dal tecnicismo scolastico: il suo modulo jazzistico modella ed indaga, sulla scorta di una scrittura che evita ogni manierismo, qualunque automatismo e qualsiasi formula preconcetta.
Le otto composizioni originali sono sviscerate secondo una logica strutturale che privilegia la coerenza tematica e la varietà timbrica. Il contrabbasso agisce come centro gravitazionale, non per dominare, ma per definire. Attorno a lui, quattro interpreti di solida formazione – Cosimo Boni tromba, Giovanni Benvenuti sax tenore, Francesco Zampini chitarra e Bernardo Guerra batteria – i quali intervengono con precisione, contribuendo all’implementazione di un profilo acustico che si distingue per articolazione ritmica, progressione armonica e coloriture melodiche. Ciascun componimento si dipana su durate estese, tra i sei e gli otto minuti, permettendo un’esecutività che non punta alla facile immediatezza, ma all’escavazione emozionale. La varietà delle soluzioni compositive si manifesta nella disposizione degli strumenti, nella geometria timbrica, nonché nell’attitudine di far affiorare tensioni interne senza ricorrere ad effetti surrettizi. La scrittura di Pierotti si alimenta di riferimenti visivi e spaziali, non quale ornamento, ma come logica costruttiva: pittura ed impianto accordale agiscono come sorgenti e principi ordinatori.
Il primo innesto sonoro, «A Tear in My Soul», orienta l’ascolto verso una zona meditativa, dove il sax tenore interviene per deviazioni, dispensando frasi che s’incurvano, si flettono, si dispongono come pensiero che si muove, mentre La tromba affiora per stratificazione, lasciando scie che attraversano la materia timbrica con una logica interna, come se ogni suono fosse il residuo di una luce che indica nuovi itinerari. Il contrabbasso di Pierotti impregna il campo sonoro con una linea che si estende come fondale mobile, generando una zona percettiva in cui il tempo si lascia modellare. La batteria costruisce il ritmo per dilatazione, promulgando ogni impulso come gesto che modifica lo spazio, mentre la chitarra disegna strutture armoniche con tratti asimmetrici, come se ogni accordo fosse una geometria espandibile. La composizione si sviluppa per contatto, per attrito e per risonanza, dove ogni strumento agisce come elemento che ascolta, che risponde e che traduce. Il contrabbasso orienta, la tromba rifrange, la batteria incide, la chitarra suggerisce, il sax espande. L’involucro si conforma come un tessuto traspirante, frutto di grammatica che si riscrive nell’ascolto reciproco. «My Sweet Witch» genera una tensione che non si risolve, ma si prolunga. Ogni passaggio si afferma per necessità, ogni interazione produce una variazione, ciascuna frase si srotola come un pensiero che si muove: Il contrabbasso ad arco avvia una linea che pulsa alla stregua di una corrente sotterranea. La tromba affiora con tratti intermittenti, lasciando tracce che si sovrappongono alla tessitura, come riflessi che attraversano una superficie irregolare, mentre il sax tenore devia la traiettoria, piega la sintassi, introduce frasi che si muovono per torsione, per inclinazione per slittamento. La chitarra interviene con accordi che si dispongono come strutture mobili, come elementi che lambiscono i confini senza fissarli; dal canto suo la batteria risponde con appoggi che si propagano per contatto, innervando una trama ritmica che vibra e si espande. I cinque sodali agiscono singolarmente come sorgente autonoma, ma legata ad una logica collettiva che si annoda per attrazione e per propagazione, dove il tempo si dilata e la partitura genera un campo magnetico attrattivo.
«Characters» agisce come sistema di affinità elettive, dove ogni attante interviene secondo una logica di prossimità, di ascolto, di reciproca elevazione. Il sax tenore si muove per torsioni interne, per frasi che si incurvano e si flettono. La chitarra introduce trame motiviche che si inclinano, che si torcono, che si moltiplicano, come se ogni nota fosse il frammento di una geometria sonora. La tromba affiora con tratti intermittenti, lasciando scie che attraversano la tessitura timbrica come riflessi che non si dissolvono. Il contrabbasso emana una tensione che si propaga per contatto mentre la batteria risponde con accenti che si diffondono, modellando la percussione come materia elastica. «Puddeles» si distende come dissolvenza attiva, come una coda che prolunga il respiro senza cercare chiusura. La chitarra introduce il tema in maniera quasi distaccata, favorendo l’ingresso del tenore che ne riflette le intenzioni senza spezzare il flusso melodico, intercettato brillantemente in seconda battuta dalla tromba che procede in alternanza con una specularità sorprendente. Il contrabbasso agisce come massa fluida, evitando che il substrato s’ispessisca, mentre la batteria ne conforma gli argini. L’intero line-up si comporta alla stregua di un organismo che oscilla oltre il silenzio, come un flusso di idee che continua a sedimentarsi anche dopo l’ultima nota. «Transformers» si dipana per stratificazione timbrica, come se ogni musicista apportasse una variazione atta a modificare la percezione del tempo. Il sax tenore si avvale di un modulo espressivo che alimenta una nuova disposizione, in cui ogni intervento modifica il campo e ciascun suono agisce come stimolo per il successivo. La chitarra interviene con segmenti armonici che si piegano, si spezzano e si ricompongono, liberando geometrie acustiche che mirano alla circolarità dell”insieme. La tromba, con frasi brevi ma assertive, sedimenta nella tessitura accordale, mentre il contrabbasso, con la sua linea profonda e mobile, rilascia una vibrazione che orienta senza delimitare, in maniera tale che la durata si modelli attorno ad una gravità interna. La batteria plasma la superficie ritmica con accenti che si diramano come se ogni battito fosse una curva che prolunga la tensione.
«In My Mind» s’innalza come punto di confluenza sonora, sospesa tra ciò che vibra nel presente e ciò che affiora dal fondo della memoria, mentre il quintetto agisce similmente ad un sistema di relazioni. La batteria, con tocchi che sfiorano la superficie ritmica, modella la durata in modo elastico, consentendo al groove di piegarsi senza spezzarsi. La tromba, con interventi radi e taglienti, incide la tessitura lasciando residui luminosi, come se il suono stesso producesse ombre, mentre il sassofono articola frasi che si dilatano con lentezza, lasciando che il pensiero ripieghi come curva che cerca respiro. Il contrabbasso detta le coordinate, al fine di orientare il groove senza mai delimitare lo spazio operativo dei compagni di cordata; dal canto suo, la chitarra imbastisce sequenze armoniche che si frantumano e si ricompongono, come se ogni accordo fosse un hub di collegamento tra due stati percettivi. «On A Sentimental Roof» si schiude come un intervallo percettivo, nel quale il suono s’irradia con lentezza, lasciando che ogni elemento si leghi all’altro per attrazione timbrica. Il contrabbasso introduce il tema e concentra la materia sonora, dando vita ad una massa compatta che indica le vie di demarcazione, scevro da qualunque tentativo di imposizione. La tromba fa capolino con soffi saturi, seminando filamenti che si intrecciano agli echi degli altri strumenti, mentre la temperatura timbrica si trasforma. Il sax tenore emette volumi che si deformano, che alterano la pressione interna del brano, modificando la percezione spaziale. La batteria, con tocchi che increspano la superficie ritmica, converte il tempo in tessuto poroso, mentre la chitarra accatasta le armonie, dissolvendole in sequenze che s’insinuano tra le fenditure del ritmo. In «Waiting For A Claud», l’attesa persiste come ombra latente, quasi una vibrazione che prolunga la tensione, in cui ogni gesto sonoro genera una risposta, mentre lo spazio si concentra in zone di risonanza e l’esecuzione evolve come tessitura che si modula, lasciando il disco in uno stato di transito. Nel caotico universo del jazz contemporaneo, Francesco Pierotti interviene addentrandosi in un parenchima sonoro inedito, dove la scrittura musicale sancisce un’ortografia compositiva autonoma, in grado di oltrepassare la soglia della fruibilità cantabile e della linearità mainstream. Ogni componimento determina un sistema di vasi comunicanti, in cui il portato accordale, melodico e ritmico di ciascun attante sulla scena si connette attraverso una calibratura sinestetica che risponde al disegno funzionale del concept che, a netto di ogni valutazione critica, si afferma quale portatore sano di una semantica innovativa, anche se non rivoluzionaria.
