L’album nel suo complesso non è una passeggiata su un lungo mare estivo, illuminato e frequentato da gente gaia e spensierata, ma coglie appieno l’autunno ed crepuscolo dei sentimenti scavando in profondità nel sottosuolo delle emozioni… Il costrutto musicale ricalca appieno il senso dell’orientamento emozionale.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Prendendo questo disco tra le mani si pensa immediatamente ad «Undercover Of The Night» dei Rolling Stones, brano che Mick Jagger scisse nel 1983, dicendo di essere stato «pesantemente influenzato da Cities Of The Red Night di William Burroughs, un romanzo imperniato sulla repressione politica e sessuale», soprattutto il testo riflette sulla corruzione politica presente all’epoca nei regimi totalitari sudamericani. Anche se in ambito musicale tutto si lega, ascoltando l’album dei Baby Cry, edito dalla Filibusta Records, ci si avvede immediatamente che le coordinate seguite dal duo espanso sono differenti, ma non meno nobili. L’ascoltatore si trova alle prese con un denso e puntiglioso lavoro elettroacustico, dai tratti salienti originali e suggestivi.

Il motore mobile del progetto è costituto da due artisti polifunzionali: Sabina Meyer voce e basso e Alberto Popolla basso, clarinetto e chitarra. Siamo lontani dall’idea di jazz tradizionale o mainstream, perfino di jazz contemporaneo dove tutto sta in piedi, al netto di un percorso che fa dell’improvvisazione necessità virtù. Popolla è da sempre uno dei riferimenti dell’improvvisazione libera, pratica musicale diffusa in Europa e negli Stati Uniti già dagli inizi degli anni ’60 e che contiene elementi sia di derivazione jazz che di pertinenza contemporanea legata allo sperimentalismo rock. Uno dei suoi massimi esponenti e teorici, il chitarrista Derek Bailey, l’ha definita anche improvvisazione non idiomatica, perché trascende stili, generi e linguaggi per garantire il più ampio spazio possibile alla propria espressività, personale e di gruppo. La soprano e compositrice svizzera Sabina Meyer ha trovato in Italia una dimensione artistica assai stimolante, luogo ideale dove elaborare una sorgiva ed eclettica versatilità. La Meyer combina l’improvvisazione con il jazz, i trend contemporanei, elementi barocchi ed elettronica. Sabina Meyer, infatti, non è adusa soltanto alla musica contemporanea, ma anche da quella antica. Il suo repertorio comprende opere di John Dowland, Claudio Monteverdi e Barbara Strozzi. Nel progetto «Xanto. Ninfa in Lamento», ha combinato opere barocche con video e suoni elettronici. Va detto inoltre che le intuizioni portate avanti dai titolari dell’impresa trovano ampio sviluppo per merito dei collaboratori: Ferdinando Faraò alla batteria, il flautista Eugenio Colombo ed il chitarrista Gio Mancini.

I Cry Baby per «Undercover Of Night» hanno distillato, con marcata personalità, un substrato sonoro sperimentale, a tratti minimale ma prodigo di linee melodiche, con un cuore caldo, avvolgente, che senza dubbio incuriosisce e attrae l’ascoltatore. Basta entrare nel mood di «Run», «Stay» o«Come», che pur nella loro diversità, posseggono tutti quegli elementi di unicità che gli consentono di ricongiungersi al nucleo gravitazionale dell’idea complessiva del concept. Un disco che pulsa di vitalità, dove momenti di psichedelia intimista si alternano ad eruzioni strumentali più intense, in cui l’urgenza della comunicazione si esalta nei testi di tracce quali «Winter» e«Rock», mente la voce, suadente ed al contempo lancinante, della Mayer spazia tra Patti Smith e Joni Mitchell: in fondo, «Cry baby» è il titolo di una canzone di Janis Joplin. Tutto l’album è un susseguirsi di atmosfere solo in apparenza contrastanti, portate sistematicamente ad un’elevata temperatura termica di fusione e allo sviluppo di paesaggi sonori, ipnotici, onirici e sospesi tra passato e futuro: il pensiero corre immediatamente a «Stry», «Rock» ed «Evening». L’album nel suo complesso non è una passeggiata su un lungo mare estivo, illuminato e frequentato da gente gaia e spensierata, ma coglie appieno l’autunno ed crepuscolo dei sentimenti scavando in profondità nel sottosuolo delle emozioni, ne scandaglia i recessi ed i meandri, soprattutto è pervaso da un senso di inquietudine anestetizzante, quale specchio fedele di una società dai rapporti umani labili e transitori. Il costrutto musicale ricalca appieno il senso dell’orientamento emozionale, in cui suggestive tematiche melodiche appaiono imbevute di sonorità cupe e di flussi accordali legati al registro basso degli strumenti in un perpetuo melting-pot chiaroscurale, suddiviso tra luci ed ombre, risonanza e dissonanza, incubi e certezze.

Under Cover Of Night» dei Cry Baby è un lavoro lontano dalla comune e diffusa idea di jazz, che attraverso una metodologia ed una serie di comportamenti, seppur sfuggenti e non rigidamente codificati, riesce a stabilire un terreno comune con il vernacolo jazzistico sul piano inclinato di una costante idea di improvvisazione, quale propulsore e fluidificante del progetto. Dice Sabina Meyer: «Oltre al basso elettrico, che suono io, c’è anche un secondo basso elettrico e un clarinetto basso. Quindi l’atmosfera è molto cupa, notturna e quindi adatta al titolo «Under Cover Of Night». Senza le mie esperienze precedenti e la musica barocca, non sarei stata in grado di scrivere questo tipo di canzoni».

Cry Baby

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