// di Gianluca Giorgi //

Tony Fruscella, s/t (1955 ristampa mono 2021)

Fruscella negli anni ‘50 ha lavorato come sideman per numerosi musicisti, tra cui Charlie Barnet, Lester Young, Gerry Mulligan e Stan Getz. All’inizio degli anni Sessanta i suoi problemi con l’abuso di droghe e l’alcolismo lo hanno allontanato dall’attività musicale fino alla sua morte per cirrosi epatica nel 1969. Questo ristampa in edizione limitata presenta l’unico album che lo sfortunato trombettista pubblicò durante la sua breve carriera, l’omonimo LP del 1955 su Atlantic Records. In questo album di ottimo jazz c’è anche un riferimento alla musica ecclesiastica ascoltata nell’infanzia: infatti il tema di “His Master Voice” coincide con il famoso canto “Prendi questa offerta”. Della partita fra gli altri ci sono Allen Eager al tenore e Bill Triglia al piano. Gli arrangiamenti e le composizioni sono di Phil Sunkel. Bella ristampa della Music in Vinyl mono, con testina mono gran bel sentire.

HECTOR SEPULVEDA, London 69 (2018)

Pubblicato nel 2018 dalla Bym, in edizione limitata a 400 copie, questo album contiene incisioni INEDITE effettuate negli studi della Decca di Londra nel 1969 dal chitarrista Hector Sepulveda. Membro fra il 1964 ed il 1969 dei Los Vidrios Quebrados, una delle piu’ importanti band cilene degli anni ’60. La loro musica era un beat psichedelico assai dinamico, con un sound che ricorda quello di Beatles, Kinks, Yardbirds e Byrds. Al tramonto dell’avventura con il gruppo, Hector Sepulveda incise questo album molto sperimentale, rimasto inedito fino al 2018, contenente tre lunghissimi brani strumentali, nei quali elaborò una sintesi fra influenze del raga indiano, blues, effetti psichedelici come i nastri al contrario, rumori ambientali e chitarra acustica.

IDRIS ACKAMOOR & THE PYRAMIDS, An Angel Fell (2018)

La rinascita del jazz passa per l’Inghilterra con questa ondata di nu-jazz, non più un genere per aficionados ma come musica di più largo ascolto. La svolta si è avuta con il successo planetario avuto nel 2015 dal triplo mastodontico album “The Epic”, in cui il sassofonista Kamasi Washington frullava 50 anni di jazz. Questo disco di Idris Ackamoor è uscito nel 2018 ed ha riscosso un buon successo di critica. Artista non più giovanissimo (il nostro è nato nel 1951) suona da iniziò anni ‘70 e le varie esperienze musicali nel disco si sentono, potente sia dal lato politico sia da quello musicale. Tanta Africa, chitarre maliane, afrobeat, sprazzi di canti corali e spaziali alla Sun Ra. Il sax viaggia ora melodico ora selvaggio, spesso doppiato da un estemporaneo violino. Alcuni brani: la bellissima Tinage, che da sola vale l’ascolto del disco, la spiazzante Land of Ra (su base dub) un incontro/scontro fra Augustus Pablo, Mulatu Astatke e Pharaoh Sanders e la splendida title track. Buona musica per la testa, per il corpo e soprattutto per l’anima. Visto ben 2 volte in concerto e vale veramente la pena.

Various, Nicola Conte presents Cosmic Forest – The Spiritual Sounds Of MPS (2lp 2018)

Ci sono ancora gemme poco conosciute da scoprire all’interno del catalogo MPS e Cosmic Forest a cura di Nicola Conte ci aiuta nella loro scoperta. Il disco fa parte delle celebrazioni del 50° compleanno dell’etichetta MPS, l’etichetta jazz tedesca, infatti, ha chiesto al musicista e produttore italiano Nicola Conte di sfogliare i loro archivi. Il risultato è “Cosmic Forest”, una compilation che raccoglie alcune delle registrazioni più avvincenti del “jazz spirituale” MPS dal 1965 al 1975. La scelta dei singoli titoli, spesso oscuri ed il carattere fluente del loro arrangiamento conferiscono all’album una qualità di atemporalità, mentre mostrano l’ampiezza dell’intera “collezione jazz cosmico” all’interno degli archivi MPS. Otto di questi tredici pezzi provengono da album pubblicati come parte della serie “Jazz Meets the World” dell’etichetta MPS uscita a metà degli anni ’70 e ideata dall’attivista jazz e partner dell’etichetta Joachim-Ernst Berendt. C’è molto jazz spirituale “straight-up” da godere (“Evolution” di Nathan Davis è un ottimo esempio), ma sono i brani che attingono a una tavolozza più ampia di influenze che si distinguono davvero. Ad esempio: le influenze mediorientali di “Djerbi” di George Gruntz, in cui il pianista svizzero è accompagnato da quartetto di musicisti beduini del Nord Africa ed ha tra i siedemen Eberhardt Weber, Sahib Shihab e Jean-Luc Ponty; la beatitudine vocale hippy di “Maiden Voyage” di The Third Wave; il raga jazz meditativo che è “Yaad” di Motihar Trio, Schweizer Trio, Schoof & Wilen e i tamburi tropicali di “El Babaku” di El Babaku. Comunque tutto il disco è molto bello e si ascolta bene.

The Art Ensemble Of Chicago, The Sixth Decade – From Paris To Paris (Live At Sons D’Hiver) (ltd ed 1000 copie 2lp 2023)

ROGUEART è un’etichetta di stanza a Parigi che ha deciso, in questo momento difficile per il settore dei dischi, di pubblicare una serie, ora arrivata al numero 134, che permetta agli artisti originali, intelligenti e creativi di esprimersi. Nella serie ci sono delle vere e proprie chicche come questo disco dell’Art Ensemble of Chicago. Questo album (catalogo ROD-0122) pubblicato in edizione limitata a mille copie in doppio vinile, contiene le registrazioni della performance dal vivo data dagli Art Ensemble Of Chicago nel febbraio del 2020 presso il festival parigino Sons d’Hiver e che celebra il sesto decennio di carriera della seminale formazione jazz afroamericana, la quale proprio a Parigi ebbe le sue prime incoraggianti affermazioni, nei tardi anni ’60 del XX secolo. Numerosi sono stati i musicisti a salire sul palco in occasione di questo concerto: Roscoe Mitchell (sax alto, sopranino), Famoudou Don Moye (batteria, percussioni), Moor Mother (spoken word, testi), Roco Córdova (voce baritona), Erina Newkirk (voce soprano), Nicole Mitchell (flauto, ottavino), Hugh Ragin (tromba, flicorno, campane thailandesi), Simon Sieger (trombone, tuba), Jean Cook (violino), Eddy Kwon (viola), Tomeka Reid (violoncello), Brett Carson (pianoforte), Silvia Bolognesi (contrabbasso), Junius Paul (contrabbasso), Jaribu Shahid (contrabbasso, basso elettrico), Dudu Kouaté (percussioni), Enoch Williamson (percussioni), Babu Atiba (percussioni), Doussou Touré (percussioni) e Steed Cowart (direzione). Il gruppo, in questo configurazine allargata come una piccola orchestra, propone brani inediti, brani di recente pubblicazione ed episodi classici del loro repertorio storico, esprimendosi come sempre con un linguaggio ricco e cosmopolita, in cui diversi caratteri stilistici africani si incontrano con differenti correnti del jazz, dal free al modale, dalla musica per big band allo spiritual jazz ed al jazz funk e con le poesie recitate, spesso di protesta di Moor Mother. Una festa comunicativa in cui radici, trans-culturalismo, poesia e spiritualità convivono dinamicamente.

Gli Art Ensemble Of Chicago sono stati uno dei gruppi jazz d’avanguardia più importanti ed originali degli anni ’70 ed ’80. Il gruppo si formò dal Roscoe Mitchell Sextet, attivo intorno al 1966, trasformandosi in Roscoe Mitchell Art Ensemble l’anno successivo; la formazione di questo ultimo gruppo ruotava attorno al sassofonista Roscoe Mitchell, al trombettista Lester Bowie ed al contrabbassista Malachi Favors. Nei due anni successivi l’Art Ensemble incise alcuni album, per poi trasferirsi in Europa con l’aggiunta del flautista Joseph Jarman. Un promoter europeo pubblicizzò il gruppo come Art Ensemble Of Chicago (sebbene il nome fosse Roscoe Mitchell Art Ensemble), il nome fu accettato ed il gruppo fece suo il nuovo nome. Nel 1970, a Parigi, il gruppo accolse nel proprio organico il percussionista Don Moye, e dette inizio al suo periodo d’oro che si protrasse anche dopo il ritorno negli Stati Uniti nel 1972 fino agli anni ’80. Il gruppo continua la propria attività, che si protrae con cambi di formazione oltre il 2000. La musica degli Art Ensemble Of Chicago è un mirabile amalgama di musica africana, free jazz, avanguardia e di vari stili storici della musica afroamericana del ‘900.

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