Charles Ignatius Sancho fu, come Phillis Wheatley, Ottobah Cugoano, Olaudah Equiano, uno fra gli intellettuali dispersi dalla schiavitù nella Diaspora africana che dovettero crearsi un territorio personale, un “eruv”, dal quale negoziare la loro identità e le loro attività con la società bianca che li circondava. La vicenda di Sancho, forse il meno conosciuto fra di essi, è esemplare sotto più punti di vista.

// di Gianni Morelenbaum Gualberto //

Alla National Portrait Gallery di Londra manca il ritratto del “primo afro-britannico”, come il Dictionary of National Biography descrive Ignatius Sancho. Eppure, esso esiste ed è di notevole fattura e di non minore interesse: ora esposto alla National Gallery of Canada di Ottawa fu dipinto da Thomas Gainsborough nel 1768, quando Ignatius Sancho era ancora alle dipendenze del secondo duca di Montagu come maggiordomo. Secondo Vincent Carretta (Letters of the Late Ignatius Sancho, an African [1998/2015]), studioso che ha dedicato approfonditi studi alla diaspora africana nel mondo britannico, il duca di Montagu fece realizzare da Gainsborough il ritratto del suo maggiordomo a Bath, nel novembre 1768, al fine di esibire il suo servitore esotico, un’abitudine solitamente associata alle famiglie ricche. Nel ritratto, Sancho è abbigliato come un gentiluomo di successo, con la mano destra seminascosta nel cappotto, in posa da comandante della Marina. Tuttavia questo ritratto rivela l’ambiguità della posizione e dello status del primo africano ben conosciuto in Inghilterra. Sancho, assurto al rango di “personaggio”, essendo passato dalla schiavitù nelle mani di tre dame britanniche al rango di maggiordomo in una delle “famiglie più importanti del regno” (Joseph Jekyll, Life of Ignatius Sancho, da Letters of the Late Ignatius Sancho, An African, ed. Vincent Carretta, London 1998), alla fine si affermò come droghiere e venditore di prodotti esotici nel quartiere londinese più famoso e alla moda, Westminster, nel 1773.

Come dimostra la corrispondenza con i suoi ricchi clienti, ai quali Sancho si rivolgeva come “amici benevoli”, le contraddizioni che si trovano nella figura rappresentata nel ritratto di Gainsborough, un maggiordomo africano che si atteggia a gentiluomo inglese, rispecchiano le contraddizioni del personaggio di Sancho, in particolare quella di un’identità scissa tra le sue radici africane e il suo essere inglese, esposta a tensioni inconciliabili derivanti dalla condizione di africano che viveva in un Paese dove il pregiudizio nei confronti dei neri era fortemente radicato. Frances Crewe, amica di Ignatius Sancho e curatrice del suo epistolario, scrisse nella prefazione alla prima edizione delle Lettere nel 1782 che l’autore non aveva in realtà previsto di pubblicarle. Ella però insisteva sul fatto di essere stata spinta da un unico motivo: “porgere [le lettere] a un pubblico” con “il desiderio di dimostrare che un africano non istruito può possedere capacità pari a quelle di un europeo”. Secondo la succitata biografia di Joseph Jekyll del 1782, Sancho nacque intorno al 1729 su una nave di schiavi diretta dall’Africa alle Indie occidentali. Quando aveva circa due anni, fu portato in Inghilterra e presentato dal suo padrone a tre sorelle a Greenwich, Londra. Riuscì tuttavia a fuggire dai loro maltrattamenti e ad assicurarsi un’istruzione e un impiego presso Montagu, dove, sottoposto a una sorta di esperimento socio-culturale, acquisì una vasta conoscenza della letteratura e pure della musica britannica. Oltre al celebre epistolario, testimonianza di una complessa vicenda inter-etnica, anche la musica rese Sancho popolare ancora in vita, eseguita come era alle feste private dei Montagu e pure, probabilmente, alle riunioni della servitù africana nella Londra georgiana.

Sebbene la maggior parte del suo epistolario fosse pubblicato dopo la sua morte, in vita Sancho pagò personalmente per la stampa di un volume delle sue musiche, nel 1767: Minuets, Cotillons & Country Dances for the Violin, Mandolin, German Flute, & Harpsichord Composed by an African Most Humbly Inscribed to his Grace Henry Duke of Buccleugh, &c, &c, &c. London. Printed for the Author. Come molti musicisti dilettanti, lo pubblicò in forma anonima, ma dichiarò sul frontespizio che era musica “composta da un africano”. L’opera è dedicata a Henry, duca di Buccleuch, che aveva sposato una parente della famiglia Montagu. Sancho deve negoziare la sua esistenza originaria per potere essere parzialmente accettato: gli viene imposto di rinunciare alla sua negritudine, alla sua storia, al suo passato, alla sua gente, alla sua infanzia e adolescenza. Per lui tutto ricomincia da schiavo maltrattato e poi da “privilegiato” protagonista di una scommessa socio-culturale: egli viene in parte accolto dalla società inglese una volta che della sua negritudine era scomparsa ogni traccia apparente eccetto la pelle, ed egli assume un ruolo ibrido, fra mercante (commerciante in spezie, tabacco, cacao, zucchero, tè: altra contraddizione, tutti prodotti proveniente da colonie in cui gli africani erano schiavi), intellettuale (era in contatto con Laurence Sterne e altri esponenti dell’intellighenzia britannica di allora), scrittore, musicista, abolizionista scisso fra due identità, di africano e di afro-britannico: un ruolo le cui possibilità non potevano mai essere esplorate del tutto, data l’appartenenza etnica che, di fatto, rendeva Sancho un diverso.

La Gran Bretagna del XVIII secolo ospitava migliaia di africani liberi e schiavi, arrivati dall’Africa e dalle colonie britanniche attraverso l’Atlantico come bambini, servi, mercanti e personale militare. Tra loro vi erano anche musicisti, che ricoprivano diversi ruoli nella vita culturale britannica. Gli intrattenitori di strada come Joseph Johnson e Billy Waters, che avevano entrambi prestato servizio in marina, erano di fatto ridotti a impiegare il loro mestiere per chiedere l’elemosina. I bandisti militari neri erano spesso trombettisti e tamburini e venivano impiegati in particolare per suonare strumenti ereditati dalla tradizione dei giannizzeri, una pratica che evidenziava la visione che la società britannica aveva di tali artisti come ornamento esotico, documentata in modo analogo dal modo in cui i servi africani venivano ritratti nelle famiglie aristocratiche. Artisti come Joseph Emidy e George Polgreen Bridgetower diedero un contributo significativo alla vita concertistica pubblica; il primo fu rapito per servire come musicista sulle navi prima di stabilirsi in Cornovaglia come violinista, compositore, insegnante di vari strumenti e accordatore; del secondo conosciamo bene la sua applaudita carriera di virtuoso e il suo rapporto con Beethoven, che inizialmente gli dedicò la Sonata per Violino & Pianoforte No. 9 in La maggiore, Op. 47, la cosiddetta Sonata a Kreutzer.

Occasionali riferimenti a musiciste indicano che alcune donne africane cantavano, anche nel loro mestiere di prostitute o sul palco in produzioni come The Beggar’s Opera di John Gay. Anche le rappresentazioni visive della musica pubblica incorporavano accoglievano africani: Southwark Fair (1734) di William Hogarth, ad esempio, mostra un ragazzo nero che suona una tromba; A view of Cheapside as it appeared on Lord Mayor’s Day (1761) di John June presenta un gruppo di musicisti, tra cui un cornista africano;e Charles Loraine Smith in A Sunday Concert (1782) raffigurerebbe secondo alcuni un musicista militare nero che partecipa ad uno dei concerti offerti regolarmente a casa da Charles Burney [vi si riconoscono Lady Mary Duncan, seduta a sinistra mentre guarda il noto castrato Pacchierotti, il compositore Ferdinando Bertoni alla tastiera. Gli altri strumentisti sono, da sinistra a destra: Giuseppe Cariboldi (contrabbasso), Hayford (oboe, con gli occhiali), James Cervetto il figlio di Giacobbe Basevi Cervetto (violoncello), il violinista Giovanni Salpietro, Johann Christian Fischer, celebre oboista e genero di Gainsborough, il violinista Langani (Langoni), e, secondo testimoni dell’epoca, non un militare africano ma Jacques-Joseph-Toussaint Pieltain al corno francese].

Numerosi avvisi sui giornali di schiavi fuggiti in Gran Bretagna e in America attestano che la loro abilità musicale era una caratteristica che li contraddistingueva e li rendeva pubblicamente visibili, in quanto sarebbero stati inclini a usare la loro abilità per guadagnarsi da vivere. Tali capacità erano, perciò, croce e delizia. Gli strumenti presenti negli avvisi includevano violino, corno francese, tabor e galoubet, tromba, tamburo, flauto e piffero. In alcuni casi risulta chiaro che l’educazione musicale era impartita da padroni e padrone, esibita a volte per dimostrare che gli africani potevano acquisire abilità raffinate: lo schiavo di William Franklin, King, scappò da Londra e fu accolto da una signora che gli fornì lezioni di corno francese e di violino, come appare in un successivo avviso di fuga; Julius Soubise, protetto di Catherine Douglas, duchessa di Queensberry, suonava il violino, “componeva diversi pezzi musicali in stile italiano, e li cantava con un umorismo comico che lo avrebbe adattato a primo buffo dell’Opera”; e l’oboista William Parker insegnò a un servitore nero del generale Charles O’Hara su richiesta di quest’ultimo. L’abolizionista e scrittore Olaudah Equiano, altro esempio, imparò a suonare il corno da un vicino di casa a Londra, provando “grande piacere nel suonare questo strumento” dopo che questo era stato proposto per la prima volta durante il suo servizio navale. Tale abilità musicale era praticamente obbligatoria nel caso dei cacciatori e forse anche dei cocchieri. Charles Cato, un cameriere nero regalato al Principe di Galles nel 1738 e che pare sia stato raffigurato in una scena di caccia da John Wootton, era reckon’d to blow the best French Horn and Trumpet in England. A volte il valore di questi servitori era più culturale che pragmatico: Richard Barry, VII conte di Barrymore, si presentò con un seguito di cacciatori che comprendeva “quattro africani, superbamente montati e vestiti di scarlatto e d’argento, che suonavano correttamente il corno francese; e che di tanto in tanto, nei boschi e nelle valli, allietavano Diana con l’armonia di Händel”.

I dettagli dell’educazione musicale di Sancho rimangono sconosciuti, ma quasi certamente ebbe luogo presso i Montagu: John Montagu sostenne comici e ballerini francesi e italiani all’Haymarket Theatre; fu uno dei primi direttori della Royal Academy of Music, fondata nel 1719 per sostenere l’opera italiana a Londra; e fu responsabile dei preparativi per la messa in scena della Musica per i reali fuochi d’artificio di Händel per celebrare la pace di Aix-la-Chapelle nel 1749. Il compositore fu anche ospite a pranzo a Casa Montagu nel 1747. I documenti degli archivi della famiglia rivelano scorci dell’educazione musicale impartita ad altri domestici sotto l’egida di John Montagu. Il violinista Pietro Castrucci, che era a capo dell’orchestra della Royal Academy, fu assunto per insegnare a “ye Black Boy” negli anni Venti del XVII secolo, mentre due decenni più tardi un certo Joseph Abington fu assunto per insegnare musica e violino a due membri della famiglia che probabilmente erano d’origine africana.

Sancho si distingueva da molti dei musicisti neri già citati perché il suo impiego non era ovviamente subordinato alle sue capacità musicali ed era anche un compositore che pubblicava per un mercato di bianchi: produsse infatti almeno quattro volumi di danze e una raccolta di canzoni. Nelle prime pubblicazioni compariva sul frontespizio semplicemente come “un africano”, un termine che usava spesso quando si riferiva a se stesso nelle sue lettere; ciò faceva leva sull’esotizzazione delle persone di colore e sulla non familiarità di un compositore nero per scopi di “marketing”, cancellando al contempo il suo nome. Due dei suoi volumi di danze, entrambi contenenti minuetti, sono dedicati a membri della famiglia del suo datore di lavoro: Il figlio di George Brudenell, John, marchese di Monthermer, e il genero di George, Henry Scott, III duca di Buccleuch. Molte delle danze di Sancho si riferiscono ad altri membri della famiglia e alle loro proprietà, oltre che ai conoscenti di Sancho stesso. L’uso del mandolino nei frontespizi dei minuetti è dovuto alla familiarità con la produzione musicale della famiglia Montagu-Brudenell. Il mandolino napoletano divenne di moda in Gran Bretagna negli anni Cinquanta del Settecento e veniva suonato in concerti, opere e in vari intrattenimenti di varietà da applauditi solisti come Giovanni Battista Gervasio, Gabriele Leone, Antonio Riggieri, Giacomo (o il di lui fratello Giuseppe Bernardo) Merchi e Girolamo Nonnini . Con quattro ordini di corde, condivideva la stessa accordatura del violino, il che facilitava sia la scrittura per lo strumento da parte di compositori che avevano familiarità con quest’ultimo, sia la commerciabilità della musica. John Montagu, Lord Monthermer, si recò a Napoli alla metà e alla fine del 1750 nell’ambito del suo Grand Tour e il suo ritratto del 1758, opera di Pompeo Batoni, lo mostra con un mandolino napoletano infilato sotto il braccio e una copia di una delle sonate di Arcangelo Corelli. Potrebbe trattarsi dello stesso mandolino che Sancho vendeva nella sua drogheria di Westminster qualche anno dopo la morte di Lord Monthermer (Public Advertiser, 16 aprile 1776): lo strumento era stato costruito da Donato Filano, uno dei migliori esponenti dell’artigianato mandolinistico napoletano.

Dato il suo ruolo di servizio all’interno della famiglia Montagu, è molto probabile che Sancho fosse a conoscenza dei preparativi per i balli come quello tenutosi a Montagu House nel 1764, che potrebbe aver incluso l’esposizione della banda musicale ingaggiata per l’occasione. Tali eventi possono aver rafforzato la sua educazione musicale formale fornendo opportunità di ascolto casuale, ma possono anche aver rappresentato un’occasione per far conoscere e ascoltare le sue composizioni. Esaminando la musica esistente di Sancho, troviamo che le sue composizioni si collocano facilmente nella tradizione proto-classica. Le strutture delle frasi melodiche sono tipicamente ed equilibratamente organizzate in unità simmetriche da due a quattro battute; le melodie sono arricchite da pause, così come da trilli, appoggiature e altri tipi di ornamenti; gli obiettivi tonali I-V sono enfatizzati; l’attività ritmica di superficie si muove principalmente in valori di crome e semiminime; il ritmo armonico (cioè il tasso di cambiamenti di accordi per misura) è generalmente lento, con cambiamenti che si verificano per unità di battuta, piuttosto che per unità di battito, come è comune nella musica tardo barocca.

Nonostante le danze di Sancho siano saldamente radicate nelle tradizioni della classe aristocratica bianca, è importante considerarle nel contesto della danza di origine africana e dei suoi legami con i musicisti neri londinesi. I riferimenti ai balli africani nella Londra di fine Settecento sono scarsi, ma una descrizione del London Chronicle del 16-18 febbraio 1764 è rivelatrice: Tra i vari locali o club alla moda che si tengono in città, quello degli africani o dei servitori neri non è l’ultimo. Mercoledì sera scorso, non meno di cinquantasette di loro, uomini e donne, hanno cenato, bevuto e si sono intrattenuti con balli e musica, fatta da violini, corni francesi e altri strumenti, in un pub in Fleet-street, fino alle quattro del mattino. Nessun bianco era autorizzato a essere presente, perché tutti gli artisti erano neri. La notizia fu ripresa quasi alla lettera dal London Evening Post del 12-15 giugno 1773, con piccole modifiche al testo. Appare chiaro che per i neri erano disponibili diverse opzioni sociali per dedicarsi alla danza: Jack Beef, servitore di John Baker (ex procuratore generale delle Isole Leeward) frequentava i balli neri; Francis Barber, servitore di Samuel Johnson, si recò con la moglie bianca a un “piccolo ballo e cena annuale, per distrarre i nostri servitori e i loro amici” organizzato da Hester Piozzi per celebrare il compleanno di Johnson, mentre “Miss Sarah S – dd – ns”, una prostituta pubblicizzata nell’Harris’s List of Covent Garden Ladies del 1788, consumava “luppolo nero”.

Date le rotte commerciali tra i Caraibi, l’America e l’Inghilterra, è possibile che i musicisti africani a Londra venissero influenzati dall’esperienza della danza attraverso l’Atlantico. È chiaro che i musicisti neri suonavano sia per i balli dei bianchi che per i propri. Le descrizioni di tali eventi indicano la coesistenza di strumenti europei e africani per l’accompagnamento, alcuni dei quali potrebbero essere stati trasportati sulle navi degli schiavi. Il violino fu lo strumento principale adottato dai musicisti neri, ma anche il banjo fu descritto da alcuni scrittori. John Ferdinand Dalziel Smyth osservò un banjo e una quaqua o guagua (uno strumento conosciuto come catá, formato da un pezzo di canna di bambù, svuotata all’interno, la quale viene percossa da due bastoncini di legno), suonati a un ballo nero in Virginia; tra i lettori del suo libro, A Tour in the United States of America (1784), vi erano Henry Scott e George Brudenell. Il banjo e la quaqua erano solo due dei diciotto strumenti musicali elencati da John Gabriel Stedman nel Suriname negli anni Settanta del XVII secolo, il primo dei quali veniva descritto come “simile a un mandolino o a una chitarra”. Molti degli strumenti elencati da Stedman erano a percussione, sebbene egli includesse anche i flauti. Ad Antigua, nel 1788, John Luffman scrisse del toombah che era “simile al tabor, e ha campanelli di stagno o conchiglie” (vedi Michael J. Morgan, Rock and Roll Unplugged: African-American Music in Eighteenth-Century America, Eighteenth-Century Studies Vol. 27, No. 4, African-American Culture in the Eighteenth-Century -Summer, 1994– pp. 649-662, The Johns Hopkins University Press). Tre anni dopo, Sir William Young descrisse i festeggiamenti natalizi sull’isola di Saint Vincent in cui si aprì un ballo con una anonima “black Phillis” che ballò un minuetto al suono di due violini e di un “tamborin” (A Tour through the several islands of Barbadoes, St Vincent, Tobago and Grenada in the years 1791 and 1792).

Sancho era troppo giovane quando arrivò in Inghilterra per aver appreso consapevolmente questa eredità, ma a Londra vivevano molti neri che conoscevano le loro radici africane e/o che erano cresciuti nelle piantagioni con la relativa cultura. Nel raccontare la musica della sua terra, Olaudah Equiano menzionò “tamburi di diversi tipi, uno strumento che assomiglia a una chitarra, e un altro molto simile a uno stickado” [una sorta di xilofono], conoscenze che si affiancavano alla sua abilità con il corno francese. Sancho frequentava due suoi protetti, Julius Soubise e Charles Lincoln: quest’ultimo faceva parte di una banda musicale a bordo della nave che portò Soubise in fuga in India, accusato di stupro. È difficile immaginare che non conoscesse altri musicisti militari, sia quelli di stanza in Inghilterra sia quelli che avevano prestato servizio all’estero. Tutto ciò solleva interrogativi sul fatto che la musica di Sancho fosse eseguita da musicisti afro-britannici e su quanto la musica da ballo creata dagli africani in Gran Bretagna venisse influenzata dalla cultura africana. Certamente, se da un lato l’inclusione da parte di Sancho di parti di violino e corno francese in alcuni dei suoi minuetti seguiva una tradizione convenzionale, dall’altro rende possibile che musicisti bianchi e neri suonassero la sua musica. Gli “altri strumenti” del ballo di origine africana del 1764 in Fleet Street includevano forse chitarra o un mandolino, o i tamburi, i pifferi e gli strumenti a percussione che erano appannaggio dei bandisti militari neri. Un annuncio di fuga nel General Advertiser del 31 maggio 1751 per “un vecchio negro” di nome Quao, che “suona su uno strumento chiamato nel suo Paese, il Banger [banjo]” sembra indicare che una qualche versione dello strumento fosse conosciuta in Inghilterra e quindi inclusa nella musica da ballo.

L’insieme delle Twelve Country Dances for the Year 1779, che Sancho dedicò alla “signorina North”, fu pubblicato in formato in-quarto da Samuel e Anne Thompson, costruttori di strumenti e venditori di musica. Le danze sono destinate all’esecuzione al clavicembalo e portano titoli tipici dell’epoca:

  1. Lady Mary Montagu’s Reel
  2. Culford Heath Camp
  3. Ruffs and Rhees
  4. Bushy Park
  5. Lord Dalkeith’s Reel
  6. Lindrindod Lasses
  7. Trip to Dilington
  8. Strawberrys and Cream
  9. All of One Mind
  10. The Royal Bishop
  11. Dutchess [sic] of Devonshire’s Reel
  12. Mungo’s Delight

Assai probabilmente, la “signorina North” della dedica di Sancho era una delle tre figlie di Lord Frederick North (1732-1792), primo ministro d’Inghilterra negli anni 1770-1782. Sancho sarebbe entrato in contatto con i North nella casa del suo secondo mecenate, George Brudenell; la sorellastra di Lord North era sposata con il barone Brudenell, probabilmente un cugino di George. È possibile che la dedicataria fosse Ann (1760-1817), la figlia maggiore, che avrebbe avuto l’età per ballare. I titoli delle danze si riferiscono ovviamente a persone, luoghi, eventi e cose importanti della sua vita quotidiana, compreso il suo dolce preferito. Ma Sancho si inserisce comunque nel quadro: il titolo dell’ultimo ballo della serie, Mungo’s Delight, non ha nulla a che fare con Miss North. Mungo era un personaggio, lo schiavo protagonista nell’opera comica The Padlock (1769), scritta da Isaac Bickerstaffe e Charles Dibdin; con il nome Mungo si indicavano ironicamente gli schiavi vezzeggiati come animali da compagnia dalla nobiltà. Vista la popolarità del lavoro, è più che probabile che si trattasse perciò di una citazione d’attualità o un’allusione ironica. O un guizzo amaro per la derisione che colpiva la sua gente.

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