// di Francesco Cataldo Verrina //

D. Chi è Graziella Vendramin e come nasce la sua passione per la musica, sappiamo che hai studiato canto lirico e canto jazz, nonché privatamente pianoforte ed armonia per molti anni, e poi cosa succede?

R. La mia passione per la musica nasce sin da piccola, mia madre canticchiava in continuazione ed io la seguivo: a 5 anni con la pigna di bronzo in mano dell’orologio a cucù che fungeva da microfono, appoggiata al muro del soggiorno fingevo e mi immaginavo di cantare davanti ad una platea, mio padre mi registrava col registratore Geloso. Alle scuole medie poi incontrai il professor Francescut che venne a casa a convincere i miei genitori di far studiare me e mio fratello perché molto talentuosi, così passammo dalla tastiera Bontempi di plastica ad un organo a due tastiere e pedaliera, e poi al pianoforte. A 18 anni ero già sui palchi con un gruppo rock prog con un repertorio di pezzi scritti dagli elementi del gruppo che aveva molti estimatori all’estero. Contemporaneamente ascoltavo molta musica classica e presi delle lezioni di canto lirico, altra mia grande passione. Ho deciso poi di studiare canto jazz e così lasciai il prog per formare il mio primo quartetto jazz. La mia maestra di canto Enrica Bacchia ci parlava delle clinics di Umbria jazz a Perugia e partecipai a due sue edizioni, vincendo un premio come migliore cantante dell’estate 1995. Bob Stoloff, grande cantante della Berklee di Boston, maestro anche nello scat, mi disse che avevo questa grande forza, di dare emozioni a chi ascoltava. Ne rimasi molto lusingata. Allora ero piuttosto timida.

D. Per tua stessa ammissione so che ammiri molto i cantanti e i musicisti afro-americani poiché, a tuo modo di sentire, depositari ed espressione di una maggiore energia nelle voci e nel ritmo. A tal proposito sappiamo che hai fatto un seminario di canto gospel con Reverend Lee Brown. Ci sono delle cantanti di colore che ti hanno influenzata particolarmente, non solo in ambito jazzistico?

R. Indiscutibilmente i musicisti e soprattutto i cantanti di colore sono forniti di uno strumento formidabile che è il proprio corpo, muscoloso e vigoroso. I cantanti hanno una testa allungata a livello cranico, una bocca grande ed un naso importante ottimi per il suono in maschera, e un tipo di corde vocali, che sono esse stesse dei muscoli, che li portano ad avere prestazioni eccezionali rispetto alle voci dei bianchi, ma io intendo proprio a livello di colore. Quando li ascolto rimango letteralmente catalizzata dalle capacità di energia e di colore della voce, sia nel registro di petto che nel registro di falsetto e del fischio. Ed inoltre hanno il ritmo nei geni, credo sia proprio così. Basta osservarli quando ballano. Ho partecipato ad un entusiasmante seminario a Torino con Reverend Lee Brown con un coro di circa 55 cantanti di tutta Italia, una full immersion per preparare in 3 giorni 11 pezzi che abbiamo poi cantato in un locale di Torino, col Reverendo al pianoforte che ci dirigeva, mentre piangeva, in improvvisazioni tipiche del canto gospel. Dormimmo pochissimo e cantammo dalla mattina alla sera! Una gioia incredibile esplodeva da tutti noi. I cantanti che mi hanno influenzata maggiormente sono Sarah Vaughan, Billie Holiday, Ella Fitzgerald e Al Jarreau. Nell’ambito del soul ho sempre ammirato Aretha Franklin ma anche James Brown.

D. Dal punto di vista strettamente jazz quali sono i tuoi artisti di riferimento, parlo di musicisti e non cantanti o, se preferisci, quelli che ti piacciono di più e che in qualche misura t’hanno influenzata.

R. I miei ascolti musicali hanno un ampissimo spettro, ma nel jazz preferisco Miles Davis, soprattutto l’album Tutu, il Miles elettrico e funk, Coltrane perché è stato un fiatista completo, e amo sempre tantissimo il compositore brasiliano Antonio Carlos Jobim, ho avuto modo di apprezzarlo ancora di più quando sono stata in Brasile attraverso il lavoro sulle navi da crociera di un’epoca in cui erano ancora piccole. Di Miles Davis ammiro la sua evoluzione ed apertura musicale verso le nuove strumentazioni che lo accompagnavano. Mi piace moltissimo anche Chick Corea.

D. Si potrebbe dire che sei un’artista a 360°, avendo frequentato l’Accademia di Belle Arti, dove hai conseguito la laurea in pittura e storia dell’arte. Tutto ciò, magari, ti offre anche una visione estetica della musica, dove immagine, scenografia e spazio giocano un ruolo importante?

R. Certamente, per me è anche importante comunicare con il corpo prendendomi lo spazio del palco, cercando di coinvolgere gli spettatori anche a livello visivo, non vorrei essere fraintesa: nessuna volgarità, sul palco porto me stessa e la mia essenza, il mio modo di raccontare i testi dei pezzi, di cantare spesso come se andassi in trance, con gli occhi chiusi, e con una comunicazione gestuale che tende a spiegare le immagini e le parole dei testi che canto.

D. Per alcuni anni ti sei esibita persino come artista d’attrazione nei teatri delle navi da crociera in tutto il mondo con un tuo show cantando in cinque lingue. Quanto è formativa un’esperienza del genere e soprattutto cambia l’approccio con il pubblico diciamo terrestre?

R. L’esperienza nei teatri delle piccole navi di 20 anni fa ha cambiato totalmente la mia vita: a bordo lavoravano 42 nazionalità diverse, si era tutti una famiglia, e quando si scendeva a terra si aveva modo di visitare luoghi non turistici, quindi ho visto luoghi magnifici ma anche luoghi orribili, soprattutto in Africa e in Brasile. Parlo della estrema povertà in cui versano gli abitanti di queste terre. È stato molto importante condividere la vita a bordo con persone provenienti da altre tradizioni, religioni, lingue, luoghi. Sono stata obbligata ad imparare a cantare in varie lingue a seconda della nazionalità dei passeggeri, quindi inglese, francese, spagnolo, portoghese, brasiliano e napoletano. I passeggeri americani sono in assoluto i più calorosi, non so perché ma a fine show venivano a dirmi «You make me cry!»( Tu mi fai piangere), inoltre loro adorano gli italiani. I passeggeri sudafricani invece quelli più freddi. Venivo accompagnata da una piccola orchestra. Oltre al mio show partecipavo con un brano ad altri show di altri artisti provenienti da tutto il mondo e facevo un concertino jazz con un pianista dove tutti ascoltavano in religioso silenzio, comprando i cd. Il problema era che volevo essere sempre perfetta e studiavo ogni giorno. L’approccio con il pubblico allora era complicato, ero un’artista di livello e dovevo cercare di nascondermi per non essere inseguita. Alla luce di quelle esperienze di vita ora ho uno stile di vita molto semplice, senza consumismo, senza lussi.

D. Una delle caratteristiche del tuo personaggio è l’eclettismo e la duttilità: vanti una lunga esperienza anche in sala di d’incisione dove hai partecipato a molte produzioni, non ultime le collaborazioni con gruppi ed artisti rock. Ci potresti raccontare qualcosa?

R. Io ho iniziato a cantare i gingles pubblicitari per le radio libere a 20 anni, mi sono sempre divertita a fare la turnista nelle sale di incisione anche per gruppi rock, oppure per un gruppo che doveva passare in tv più volte. Il rock però non mi ha mai appassionata come genere. I cori armonizzati sono una validissima cornice per un pezzo commerciale. Ho anche prestato la voce ai dj che mi cercavano in tutta Italia e dall’estero per dei pezzi dance, firmavo la liberatoria per non avvalermi di denaro in caso di successo del pezzo. Mi facevo pagare e non mi interessava apparire. La mia ecletticità è naturale, ho una grande curiosità e soprattutto ho una grande immaginazione che mi porta a canticchiare di continuo, mi alzo la mattina e canto un riff che magari diventa pian piano un pezzo strutturato, e poi ci scrivo un testo che deve sempre rispecchiare ciò che penso.

D. Sei inarrestabile. Nel 2000 l’incontro con Norma Winstone che ti incita a scrivere i testi dei tuoi brani in varie lingue, che cosa ha aggiunto alla tua creatività questa nuova pratica?

R. Ho conosciuto Norma Winstone ad uno stage organizzato dal pianista Glauco Venier così decisi di spedirle il mio cd «Anima», realizzato con Andrea Allione ed altri valorosi musicisti del Triveneto dopo innumerevoli concerti, volevo da lei un parere, perché avevo scritto un pezzo dedicato a mio padre in italiano. Lei mi fece i complimenti e mi incitò a scrivere soprattutto nella mia lingua, perché è quella che noi abbiamo dentro fin dalla nascita, questo mi portò a molte riflessioni e cioè che la comunicazione delle parole dei testi delle canzoni è davvero molto importante per una cantante, mentre invece per molte persone i testi sono secondari. Quindi è la musica che viene prima di tutto? E’ la musica in sé che porta ad emozionarci e a farci commuovere fino al pianto o il contenuto delle parole? Sarebbe da farne un sondaggio. Così ho proseguito a scrivere testi con temi anche importanti e a me molto cari.

D. Negli ultimi dieci anni ti sei dedicata persino alla danza orientale. Hai fatto numerose esperienze di logopedia con cui hai appreso la tecnica diaframmatica, inoltre insegni canto jazz e moderno. Tutto ciò a quanto pare aiuta molto nella gestione del palco e nel controllo delle emozioni, quanto ti appaga trasferire ai giovani il tuo sapere e la tua esperienza?

R. La danza aiuta a tenere una postura più corretta, genera benessere fisico e psichico, crea momenti di gioia e amo moltissimo le musiche orientali, soprattutto quelle arabe. Negli anni ho anche studiato teatro col regista Sandro Carpini ed anche questa modalità è utilissima nelle interpretazioni dei pezzi. Cantando tanto ho avuto dei problemi di reflusso gastroesofageo, è una malattia dei cantanti, così sono ricorsa alla logopedia perché avevo dei micronoduli alle corde vocali. Molti giovani, ragazzi e ragazze, mi cercano per questo, ricordo di essere rimasta senza voce solo una volta, è una tecnica infallibile che aiuta a gestire lo stress vocale e l’igiene dell’apparato fonatorio. Ci sono degli esercizi specifici da farsi per riscaldare la voce prima di cantare. Sono molto felice quando vedo i giovani chiedere aiuto in questo senso, è la base del canto. Ovviamente punto molto anche nell’essere se stessi, nel non imitare un cantante famoso ma interpretare comprendendo alla perfezione il significato dei testi che si cantano.

D. Non dimentichiamo le tue numerose produzioni discografiche come leader. Ce ne vuoi parlare e quali ritieni siano più significative? Nell’ affollato panorama jazzistico italiano , e zone di confine, c’è posto per le donne o ci sono ancora delle resistenze? Intendo dire se una donna deve faticare di più per trovare il proprio spazio?

R. In assoluto la mia produzione più significativa è «Anima/Tao» realizzata con Andrea Allione, chitarrista di Paolo Conte e degli Area 2, lo scrivo perché lui non c’è più da parecchio e mi manca tantissimo, ho trascorso sei anni di concerti in cui non c’è mai stato uno screzio, nel disco ci sono altri musicisti del Triveneto. Anche il disco «Regreso al Sur», realizzato con l’apporto di numerosi musicisti friulani, è importante per me poichè faccio un percorso nel sud del mondo cantando in più lingue e tornando a casa nella terra di mia madre, Napoli. Questi due dischi contengono standard arrangiati da me e da altri musicisti e anche pezzi scritti da me. Un altro disco si chiama «‘A Casciaforte dei ricordi» ed è stato dedicato a mia madre, così ho scritto e riarrangiato dei brani in lingua napoletana assieme al chitarrista Denis Biason. Ritengo di aver sempre trovato lo spazio per esibirmi, purtroppo dal 2012 sono stata costretta a fare una lunghissima pausa dalla musica per gestire tre lutti molto importanti, quello dei miei genitori e del mio compagno. E’ stato un lungo e pesante periodo di grande prostrazione e sofferenza. Quello che non riesco a realizzare sui palchi per mancanza di spazi dedicati alla musica lo creo nel mio studio di casa, oppure lo si può creare a distanza con musicisti curiosi ed eclettici come me.

D. In conclusione ti chiedo di parlarci delle attività più recenti e se hai in serbo qualche nuovo progetto discografico.

R. Certo, sto preparando un nuovo progetto teatrale e sottolineo, teatrale, perché voglio mettermi in discussione anche interpretando il «teatro sociale» di Kurt Weill nell’ambito dei pezzi più significativi della cantante nera Nina Simone, che è stata una importante attivista per i diritti dei neri durante la segregazione razziale in America. Si sa poco della vita tribolata di questa cantante e della sua grande sofferenza. Spero di portare a compimento questo lavoro molto complesso, poiché non voglio porre l’attenzione sui pezzi più conosciuti ma su quelli inerenti il suo attivismo che parlano di schiavismo, sfruttamento, razzismo, violenze sulle donne, prostituzione. Il progetto potrebbe essere ideale anche per sensibilizzare verso la violenza sulle donne. Con me ci saranno tre validissimi musicisti della mia regione Friuli Venezia Giulia, terra ricchissima di talenti musicali coi quali ho già avuto la fortuna di lavorare.

Graziella Vendramin

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