…si ha come l’impressione che l’aderenza alla realtà di quel momento storico si sia nebulizzata e volatilizzata, diventando solo apparente, al punto che le nove esecuzioni non sembrano riportare per nulla indietro nel tempo l’asticella dell’orologio. Piuttosto, la ristampa in vinile, nonostante l’operazione di repêchage, emana un’inedita aura di bellezza ed una nuova luce brillantante…

//di Francesco Cataldo Verrina //

Ho un legame viscerale con questo disco, poiché ero presente nel luogo dove è avvenuta la ripresa dell’evento, fissata su nastro ad imperitura memoria. Nessuno dei presenti aveva, quel giorno fatidico, la minima consapevolezza che quel set sarebbe diventato, nel breve volgere di qualche stagione, un lavoro paradigmatico ed un raffinato modello di case study del minimalismo jazz, in cui un duo, piano e contrabbasso, sarebbero riusciti a tracciare alcune linee di demarcazione seguite da molti succedanei. Il live venne dato alle stampe per la prima volta nel 1987 con una selezione di brani: cinque per l’esattezza, anche se piuttosto estesi. Oggi quell’evento è stato racchiuso all’interno di un doppio vinile di pregio, 180 grammi gatefold a tiratura limitata, dalla nuova Red Records di Marco Pennisi, ma soprattutto contiene l’intero set, ossia nove tracce della durata media di dieci minuti.

«Two as One» nacque dall’idea di Sergio Veschi e Alberto Alberti di registrare dal vivo al Teatro Morlacchi di Perugia il duo Kenny Barron al piano e Buster Williams al contrabbasso. Non fu la prima, né sarebbe stata l’ultima volta che la «l’etichetta rossa» avrebbe fissato su disco alcuni momenti di Umbria Jazz. Il duetto piano e basso costituiva in pratica la metà di «Pumpkins Delight: Sphere Live At Umbria Jazz» altro momento topico di quel 14 luglio 1986, divenuto un album epocale nella storia del jazz. Per farla semplice, il pacchetto prevedeva, oltre al quartetto completo, ossia Charlie Rouse sassofono tenore, Kenny Barron pianoforte, Buster Williams basso e Ben Riley batteria, anche una serie di duetti del pianista Kenny Barron e del bassista Buster Williams.

Questa situazione, che definirei minimale dal punto di vista strumentale, ma non minima nel senso di «piccola», risulta sorprendente e suggestiva, oserei dire «grandiosa», perfino per quanti, solitamente, amano situazioni più articolate e ricche di strumenti. I pareri a riguardo sono piuttosto unanimi. Si consideri che già il piano trio è un formato abbastanza difficile in cui esibirsi, soprattutto poco fruibile dalla moltitudine, ma togliendo la batteria, che garantisce la scansione del tempo in maniera quasi metronomica e cronometrata, le cose diventano ancora più difficili. Per contro, un incontro-scontro fra due soli musicisti avrebbe potuto risultare una sorta di un jam session dal sapore naive. Barron e Williams s’impegnarono in un affiatato contrappunto con estrema sicurezza ed affiatamento, tanto da non far sentire troppo la mancanza degli altri jazzisti sul palco, assemblando una raccolta di standard che, dilatati e rinvigoriti da un gioco di scambi non prevedibili, risultarono rinvigoriti e restituiti a nuova vita: «All of You», «This Time The Dream’s On Me», «Someday My Prince Will Come» «I Love You» e «My Funny Valentine». Fu un piacevole susseguirsi di splendidi momenti inter pares, dove Williams ricama ed abbellisce l’approccio melodico di Barron e questi lo insegue e lo spinge verso assoli creativi e non convenzionali. Non c’erano i vincoli di un composito line-up, dunque tutto ciò consentì ad entrambi di allungarsi a loro piacimento e di creare un forte effetto attrattivo sull’ascoltatore. Nella recente edizione su doppio vinile sono stati aggiunti: «Will You Still Be Mine», una take alternativa di «Someday My Prince Will Come», «On A Green Dolphin Street» e «The Is No Greater Love».

Va sottolineato, che due musicisti, scevri da legami e condizionamenti, se suonano con padronanza, sviluppano una serie di situazioni ed invenzioni, talvolta superiori a quelle che potrebbero scaturire da un nutrito ensemble, dove gli spazi espressivi sono maggiormente condivisi e suddivisi. Barron e Williams, si muovono con agilità, si distendono e si compensano raggiungendo lo status di simbiosi mutualistica: più che ad un interplay si assiste a una sorta di by-play, un from me to you e viceversa. Ad onor del vero, nello specifico, non esiste neppure alcuna gerarchizzazione strumentale o sudditanza: generalmente il pianoforte, nella sua doppia funzione melodica e armonica, tende al dominio territoriale. Al contrario, ci troviamo alle prese con un modulo esecutivo estremamente egalitario, soprattutto i due «capitani di lungo accordo» sanno come spendersi nell’economia dei singoli pezzi, stimolarsi e sostenersi nella specificità del proprio strumento. Come da prassi, il pianoforte ricama costantemente le trame melodiche, lasciando sovente al contrabbasso la possibilità di dilettarsi come strumento tematico, mentre il piano si concentra sulla struttura accordale, assumendo il ruolo di accompagnatore ad interim. Scrive Sergio Veschi: «Buster Williams non è l’accompagnatore di Kenny Barron ma il suo interlocutore, il suo alter ego. Un solista eclettico dalla cavata possente ma delicata, dal suono sontuoso e con un timing elastico che gli consente assoli fantastici. Non capita spesso di sentire uno strumento – nato per accompagnare e far suonare bene gli altri – recitare la parte del solista con tanta maestria, mantenendo sempre vivo l’interesse dell’ascoltatore, che non può non sorprendersi per la bellezza del suono e delle linee melodiche».

Senza tema di smentita, scorrendo le varie tracce di «Two as One», si ha come l’impressione che l’aderenza alla realtà di quel momento storico si sia nebulizzata e volatilizzata, diventando solo apparentemente, al punto che le nove esecuzioni non sembrano riportare per nulla indietro nel tempo l’asticella dell’orologio. Piuttosto, la ristampa in vinile, nonostante l’operazione di repêchage, emana un’inedita aura di bellezza ed una nuova luce brillantante, le quali legano il doppio album all’hic et nunc del jazz contemporaneo e, vi garantisco, non sembra per nulla un lavoro che guarda nello specchietto retrovisore.

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