«Tromsø Suite» di Alessio Piro, dal contrappunto jazzistico alla forma cameristica (Dodicilune, 2025)

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La varietà dei registri, la cura degli arrangiamenti e la capacità di mettere in relazione tradizioni diverse posizionano «Tromsø Suite» in una prospettiva critica che supera la semplice testimonianza biografica, definendo un progetto consapevole e interiormente compiuto.

// di Francesco Cataldo Verrina //

«Tromsø Suite», pubblicata da Dodicilune, segna un momento di crescita per Alessio Piro, giovane chitarrista e compositore che ha saputo convertire la propria formazione jazzistica italiana in un linguaggio aperto alle suggestioni nordiche. L’esperienza in Norvegia diventa occasione per confrontare due tradizioni che, pur condividendo la matrice afroamericana, hanno sviluppato caratteri distinti: da un lato il jazz italiano, radicato nella cantabilità mediterranea e nella pratica accademica dei conservatori, incline ad un lirismo che si annoda alla cultura accademica; dall’altro il jazz scandinavo, che ha fatto del silenzio, della rarefazione timbrica e dell’influenza del paesaggio un tratto identitario, con figure come Jan Johansson e Anders Jormin a testimoniare l’attitudine a traslare il repertorio popolare in scrittura improvvisativa.

Accanto a Piro, la formazione internazionale comprende Amanda Antonsen al sax alto e voce, Brage Sigerstad al sax tenore, Bendik Vaaja Aspaas al pianoforte e tastiere (oltre a interventi vocali in «A Mari»), Amund Bellika al basso e Torkil Vollstad-Giæver alla batteria. Il quartetto d’archi del «Tromsø Quartet» è formato da Jakob Rørtveit e Martin Tan ai violini, Emma Mørkved alla viola e Johanna Von Bleichert al violoncello: musicisti attivi tra il Conservatorio di Tromsø, l’Arctic Philharmonic e istituzioni europee come Weimar, in grado di muoversi tra repertorio classico, corale, contemporaneo e jazz. La scrittura di Piro si configura come un diario sonoro, dove la memoria personale diventa forma musicale e la geografia dei luoghi si traduce in materia armonica e timbrica. Ma ciò che emerge con forza è la capacità di un giovane autore di mettere in relazione due tradizioni – quella italica e quella scandinava – e di farne terreno di sperimentazione. La cantabilità mediterranea si sposa con la rarefazione nordica, la pratica accademica con la libertà improvvisativa, delineando un progetto che non si riduce a testimonianza biografica, ma si afferma come ricerca consapevole e interiormente compiuta.

La sequenza dei quattro episodi sonori oltrepassa l’ordinamento tematico, tracciando un itinerario che alterna il sestetto di matrice jazz alla compagine d’archi, definendo un doppio registro: da un lato la dimensione audiotattile e contrappuntistica, dall’altro la scrittura cameristica d’impronta europea. La scelta di aprire con «Time Remembered» di Bill Evans, rielaborato mediante una scansione ritmica che richiama «Zyryab» di Paco de Lucia, rivela la volontà di mettere in relazione universi differenti, fondendo il lirismo evansiano con la pulsazione iberica. Lo strumento a corde assume qui il ruolo di voce primaria, mentre gli strumenti ad ancia tracciano un contrappunto che arricchisce la successione accordale con aggregazioni foniche. «Crepuscolo/Incertezza» nasce da un impulso immediato, ma si ricalibra con coerenza formale. I colori del cielo artico, percepiti nel periodo di buio invernale, mutano in un ordito accordale che alterna tensioni non risolte e sbocchi cantabili. La riflessione sulla «società liquida» si riverbera nella partitura: linee melodiche che si dissolvono, accordi che rimangono in equilibrio instabile, figure ritmiche che suggeriscono precarietà. La terza composizione, «A Mari», dedicata ad un’amica brasiliana conosciuta in Kautokeino, s’innesta nell’estetica sudamericana. La decisione di adottare sovraincisioni di percussioni, voce e tastiere accentua la dimensione festiva e collettiva, mentre la chitarra si sposta con sensibilità inventiva tra progressioni modali e richiami alla bossa nova. L’episodio si distingue in un gesto di sintesi, proiettato ad amalgamare il colore sonoro brasiliano con la scrittura jazzistica, generando un ordito espressivo che si dilata oltre i confini geografici. Il quartetto d’archi conclusivo, «Tromsø Quartet», rappresenta una dedica alla natura e alla solitudine contemplativa. L’impianto s’ispira ai minimalisti Arvo Pärt e Steve Reich, ma trova un equilibrio personale grazie all’assorbimento dei timbri armonici del quartetto di Ravel. Le linee degli archi si sovrappongono con delicatezza, dando vita una velatura acustica che evoca il silenzio del bosco. La montagna Tromsdalstinden diviene così paesaggio interiore e trasposto in forma musicale mediante un linguaggio che alterna ripetizione modulare ed elegia cameristica.

Pur nella sua brevità, l’EP si attesta come lavoro di solida formazione, teso a far dialogare idiomi differenti: jazz, minimalismo, tradizione brasiliana e scrittura cameristica. Alessio Piro dimostra una sensibilità musicale eloquente, accorto nel tracciare connessioni tra esperienze esistenziali e soluzioni armoniche. La chitarra non si limita a guidare l’ensemble, ma piuttosto modella un tessuto sonoro che accoglie le voci dei sassofoni, del pianoforte, del basso, della batteria e della compagine d’archi. Il concept non si riduce ad un omaggio ai luoghi vissuti, ma si presenta come impianto di forme, dove la memoria diventa materia musicale e l’esperienza si traduce in linguaggio.

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