/ di Gianluca Giorgi //

Irreversibile Entanglements, Who Sent You? (2020)

Splendida uscita per l’etichetta discografica International Anthem capace di interessarsi di musica e politica, il secondo album degli Irreversibile Entanglements, successivo all’eponimo esordio del 2017, è un potente documento sonoro di jazz contemporaneo calato nelle problematiche sociali statunitensi e non solo, dal razzismo alla violenza domestica. Jazz contaminato, approccio punk-rock, suoni tra free-jazz e post-rock in cui la poetessa MC Camae Ayewa (aka Moor Mother, intestataria di altri dischi interessanti) intreccia narrazioni afrocentriche, lotta al capitalismo e i mondi invisibili del lavoro. I quattro musicisti elaborano una originale miscela di free jazz e tribalismo metropolitano, che trova ispirazione fra le altre cose alla seminale scena jazz di Chicago. Liberation-oriented free jazz, è stata definita la musica degli Irreversible Entanglements, free jazz da strada con liriche militanti. Sembra una jam sperimentale che risulta pure piacevole all’ascolto, materiale contemporaneo eppure fuori da questo tempo. Una forma inedita di afrofuturismo. “Extrapolation” è l’album con il quale debutto’ ,come leader, un giovane scozzese di nome John McLaughlin (allora residente, con Dave Holland, a Londra) prima di iniziare le sue nuove avventure nella musica elettrica, con Tony Williams e poi con Miles Davis. Il bluesman Big Bill Broonzy, la musica flamenca, Miles Davis, Ludwig Von Beethoven, il chitarrista jazz Tal Farlow e le più recenti esplorazioni sonore di John Coltrane contribuirono a costituire il suo bagaglio musicale L’album è un flusso continuo (come se Extrapolation fosse più una suite senza soluzione di continuità) di temi melodici che i musicisti svilupparono in modo libero e spontaneo. Accompagnato da John Surman al baritono e al sax soprano (i due avrebbero presto fatto squadra di nuovo registrando “Where Fortune Smiles”), da un avventuroso Brian Odges al contrabbasso (con il suo background blues sponsorizzato dallo stesso Dave Holland) e da un irrequieto e fantasioso Tony Oxley alla batteria (in grado di reggere, a Berlino, il confronto con il pianista Cecil Taylor, maestro dell’improvvisazione, in un’intrigante conversazione musicale) la band, propone, una serie di brani eclettici che vanno dalla sbalorditiva velocità ad una musica contemplativo e rilassata, una musica carica di una sorprendente energia, con John Surman che quasi ruba la scena, soprattutto quando suona il sax baritono. Il suono della chitarra di John è pulito e il suo fraseggio è fluido e ispirato, la breve traccia di chiusura, con l’eccezione dell’intro della traccia 5, sono gli unici momenti di chitarra acustica. Il brano di apertura è una melodia tortuosa e blues che sia Surman che McLaughlin suonano con grande sicurezza e autorità, sostenuti da una notevole base ritmica. “It’s Funny” cattura il lato più riflessivo di McLaughlin, per poi lasciare il posto a “Arjen’s Bag” in cui John dà molto spazio al baritono brontolone di John Surman. Segue la vivace “Pete The Poet” con scambi tra il batterista Oxley e il resto della band. “This Is For Us To Share” è un pezzo bellissimo, a sua volta pensieroso e poi drammatico, che mostra di nuovo lo sviluppo del talento compositivo del giovane chitarrista, dando a John Surman molto spazio per tessere melodie lamentose e burbere sul suo baritono. In “Binky’s Beam” ,McLaughlin, scopre le sue aspirazioni andaluse, attraverso una musica ispirata al flamenco con un basso percussivo e ripetitivo ed un sax baritono di notevole enfasi. Lo splendore continua sul blues “Really You Know” e “Two For Two” prima di chiudere con la bellissima “Peace Piece”. Con “Extrapolation” John McLaughlin è riuscito a trovare una magica amalgama tra una spericolata sperimentazione e un lirismo melodico.

ART ENSEMBLE OF CHICAGO

Great Black Music!!!

The Spiritual (1972 ristampa limited edition del 2019 in vinile rosso)

È un album free jazz con i quattro musicisti stellari al loro apice creativo. L’ensemble nonostante l’assenza di un batterista tradizionale ma utilizzando vari tipi di percussioni è in grado di creare composizioni vive e libere superando i confini della struttura convenzionale. Il quartetto, composto da Joseph Jarman, Roscoe Mitchell, Lester Bowie e Malachi Favors, esplora le profondità di Avant-Garde Jazz.

We Are On The Edge (A 50th Anniversary Celebration) (2019 box limited edition contenente 2 lp doppi)

Box con 2 dischi di 70 minuti ciascuno e una formazione allargata a big band, una parte in studio e una parte live, entrambi del 2018. Grande musica ma box deludente, non c’è altro oltre i 2 lp doppi! Album pubblicato per commemorare i cinquant’anni di attività dello storico gruppo jazz di Chicago. Fu inciso fra il 16 ed il 20 ottobre del 2018 al Big Sky Recording di Ann Arbor, Michigan, insieme a numerosi collaboratori, con una folta formazione che includeva ancora due dei membri storici dello Ensemble, Roscoe Mitchell (sax sopranino, sax soprano, sax alto) e Famoudou Don Moye (batteria, percussioni), una sezione di archi ed una unità di percussionisti. “We are on the edge” è dedicato a tre membri del nucleo del gruppo, Lester Bowie, Shaku Joseph Jarman e Malachi Favors Maghostut, purtroppo ormai scomparsi all’epoca della pubblicazione dell’album (Jarman, l’ultimo dei tre ad andarsene, è morto nel gennaio del 2019). È il primo album in studio degli AEOC in quindici anni, ed il gruppo non si adagia su allori autocelebrativi, ma si sforza di creare una musica ancora vivacemente proiettata nell’esplorazione, partendo dai classici punti di riferimento del free jazz, della musica africana e delle influenze della musica colta contemporanea, con la propulsione di una vitale e ricchissima sezione ritmica e con il contributo di una vena poetica espressa nelle parti vocali presenti in alcuni brani. Gli Art Ensemble Of Chicago sono stati uno dei gruppi jazz d’avanguardia più importanti ed originali degli anni ’70 ed ’80: il gruppo si formò dal Roscoe Mitchell Sextet attivo intorno al 1966, trasformandosi in Roscoe Mitchell Art Ensemble l’anno successivo; la formazione di questo ultimo gruppo ruotava attorno al sassofonista Roscoe Mitchell, al trombettista Lester Bowie ed al contrabbassista Malachi Favors. Nei due anni successivi l’Art Ensemble incise alcuni album, per poi trasferirsi in Europa con l’aggiunta del flautista Joseph Jarman. Un promoter europeo pubblicizzò il gruppo come Art Ensemble Of Chicago (sebbene il nome fosse Roscoe Mitchell Art Ensemble), che accettò e fece suo il nuovo nome. Nel 1970, a Parigi, il gruppo accolse nel proprio organico il percussionista Don Moye, e dette inizio al suo periodo d’oro che si protrasse anche dopo il ritorno negli Stati Uniti nel 1972 fino agli anni ’80. Il gruppo continua la propria attività, con cambi di formazione oltre il 2000. La musica degli Art Ensemble Of Chicago è un mirabile amalgama di musica africana, free jazz, avanguardia e di vari stili storici della musica afroamericana del ‘900.

Don Bryant, Don’t Give Up On Love (2017)

Poco conosciuto al grande pubblico è una delle firme più importanti della scuderia della prestigiosa etichetta Hi Records, nonché coautore della celebre “I Can’t Stand The Rain”. Il suo ritorno si deve grazie alla Fat Possum, che dopo aver ristampato nel 2012 l’album d’esordio “Precious Soul” (1969), offre al musicista la possibilità di rispolverare la passione per il soul. Per il musicista il termine soul infatti non identifica un genere musicale ma una condizione spirituale. Ed è con questa nuova vitalità che affronta le dieci tracce dell’album, aiutato da alcuni amici, un progetto che egli dedica alla sua compagna Ann Peebles. La voce ancora perfetta e si stenta a credere che sia solo il suo secondo album in carriera. Il disco si fa ancora più intenso quando Don Bryant pone l’accento su toni più gospel, come in alcun splendide ballate. C’è il rischio che l’effetto-nostalgia prevalga, ma nel caso di “Don’t Give Up On Love” non si tratta di un viaggio nella memoria, questa volta sembra proprio che il tempo si sia fermato. Splendido!

AHMED ABDUL-MALIK, Spellbound (1964 ristampa 2016)

Ahmed Abdul-Malik è un contrabbassista possente e creativo, con uno spiccato senso progettuale. Conosciuto soprattutto per esser stato il contrabbassista di Thelonious Monk negli anni ’50, oltre che al servizio di altri leader (Art Blakey, Don Byas, Randy Weston, Walt Dickerson). Famoso anche per aver introdotto uno strumento insolito come l’oud (simile ad un liuto corto, di origine araba) e per le aperture musicali a tutto tondo, figlie di un retaggio che parte da origini sudanesi. Nel disco Ahmed fa la scelta di rimanere sullo sfondo, ritagliandosi uno spazio solistico soltanto nel blues finale, un solo per nulla scontato e memore della grande lezione di Charles Mingus. Walter Perkins si conferma il solito maestro, meraviglioso alle spazzole, la presenza dell’oud è appena un colore in più, mai sopra le righe e del tutto consono al clima generale, così come magnifici gli interventi in “Song of Delilah” di violino (Ray Nace anche alla tromba) e flauto (Seldon Powell sottovalutato tenorista). Bella riscoperta, incisione non audiofila comunque ascoltabile della Klimt, l’unica ristampa in vinile

Tubby Hayes Quartet, Grits, Beans And Greens: The Lost Fontana Studio Sessions 1969 (2019)

Stiamo vivendo il tempo degli album perduti, una tendenza che ci sta facendo riscoprire incisioni che altrimenti sarebbero andate perse nel dimenticatoio. Non tutte le uscite sono propriamente riuscite, ma è altrettanto vero che stiamo scoprendo alcuni veri e propri gioielli e questo straordinario disco rientra di diritto fra questi, con un concentrato di temi modali al top della loro capacità di comunicazione. Edward Brian Hayes, soprannominato Tubby, è nato a Londra nel 1935 ed è morto nel 1973, a soli trentotto anni, in seguito ad una malattia aggravata da un fisico minato dall’abuso di eroina. Sassofonista tenore con una tendenza improvvisativa robusta e fluida, influenzata dal mood della sua epoca. In questo disco troviamo un “mainstream evoluto” in una dimensione in cui lo swing e l’approccio modale la fanno da padrone, una dimensione che ancora oggi fa emozionare. Bella incisione!

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