// di Gianluca Giorgi //

Organico Di Musica Creativa E Improvvisata O.M.C.I., Contro (1975)

O.M.C.I. è l’acronimo di “Organico di Musica Creativa e Improvvisata”, uno dei gruppi seminali per la musica creativa italiana degli anni Settanta. Il gruppo ruota attorno al multi-strumentista Renato Geremia, suonava con la stessa competenza il violino, il sax tenore, il soprano, il flauto, il sax alto, il clarinetto ed il pianoforte, coinvolto nel progetto O.M.C.I da Guido Mazzon e Tony Rusconi. “Contro” è il loro primo album, disco che si inserisce nel filone di musica creativa ed improvvisata nell’Italia degli anni ‘70. Musica molto vicina al free jazz, ma che va comunque oltre come dimostra il bellissimo brano, Itinerari (Frammenti Per Flauto, Violino, Piano, Contrbbasso E Percussioni), che occupa tutto il lato B. Brano che da solo vale l’intero disco.

MKWAJU ENSEMBLE, Mkwaju (1981 ristampa 2018)

Il Mkwaju Ensemble è stato un terzetto di percussionisti giapponesi composto da Midori Takada, Junko Arase e Yoji Sadanati, dedito alla fusione tra ritmiche di stampo africano e spiritualità nipponica. Questo capolavoro è una pietra miliare nella carriera di Midori Takada e un album assolutamente pionieristico. Seguendo improvvisazioni poliritmiche radicate nel jazz, l’album copre un ampio spettro di suoni, con colorati brani dance percussionistici, a metà tra proto‐techno e sperimentazioni synth‐pop, panorami ambient cinematici ed eteree delicatezze drone. Ristampa del 2018 dell’album pubblicato nel 1981 per l’avanguardista etichetta giapponese Better Days etichetta cardine di quella scena che dalla Yellow Magic Orchestra era partita per poi intraprendere strade varie e coloratissime, tra la disco, il funk, la fusion e mille altre influenze da tutto il mondo, senza mai perdere di vista un certo retroterra pop, un certo desiderio di piacevolezza.

Sarathy Korwar
My East Is Your West with Upaj Collective (2018 3lp)/ More Arriving (2019 vinile rosso)

Sarathy Korwar è un indiano che vive in Gran Bretagna, è un compositore e un musicista, principalmente percussionista e grande studioso dei tabla e della musica tradizionale del suo Paese, la musica classica hindustani. Con ogni nuova uscita la musica di Sarathy diventa più esplorativa e penetrante, approfondendo le sue influenze personali, che ispirano anche gran parte della musica della nuova scena jazz che lo circonda. My East Is Your West, eseguito e registrato live alla Church of Sound a novembre 2018 è una miscela brillante e unica del nuovo talento jazz di Londra con la strumentazione classica indiana. Esplora i legami tra jazz e musica indiana con riletture particolari di brani di Pharoah Sanders, Alice Coltrane, Don Cherry, Joe Henderson, John McLaughlin, Abdullah Ibrahim, Amancio D’Silva e anche Ravi Shankar. Il suo secondo album in studio, More Arriving pubblicato nel luglio 2019, mette assieme influenze differenti che riassumono un po’ il contesto del melting pot multiculturale londinese, pescando a piene mani sia nel patrimonio della scena rap e hip hop di Mumbai e Nuova Delhi (si alterna l’uso della lingua hindustani a quello della lingua inglese), sia in quelle influenze Ninja Tune che hanno segnato il movimento alternative britannico in questi anni, fino ad arrivare al new-jazz con marcate influenze afro di collettivi come i Sons Of Kemet. Un marchio di fabbrica ancora made in UK che qui si fa sentire forte. Il disco è stato registrato tra l’India e il Regno Unito, il manifesto è quello di imporre la cultura hindustani in maniera forte nel contesto della Gran Bretagna. Il sound dell’album vede intanto il ruolo dominante delle percussioni, che ci mostrano anche la grande maestria di Korwar. Affascinante

Ghost Funk Orchestra, An Ode to Escapism (2020)

Si collocano tra il funk stilizzato, il retro-soul e la stravaganza accessibile del jazz-pop di metà secolo, con una spruzzatina di Sergio Mendes & The Brasil 66, ingredienti che rendono il tutto molto cool. An Ode to Escapism, approfondisce solo la parte “Orchestra” del nome del gruppo, ogni brano soulful è molto cinematografico, il funk pulsa ma c’è enorme uso di archi e corni. Il groove c’è ancora, naturalmente, ma è la spina dorsale piuttosto che il focus, siamo di fronte ad un esteso groove sinfonico. Un album da ascoltare in penombra. Ci sono vari brani molto belli, ma il disco da il meglio se vissuto come un insieme continuo, una colonna sonora elegante per questo “strano” inverno.

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