…il flusso melodico-armonico e l’intreccio strumentale conservano per tutta la durata del tragitto una vena di leggerezza ed una pulsazione swingante, calibrata e piacevole.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Aldo Joshua, per noi Aldo Iosue, è un musicista con una visione nel jazz ad ampio raggio, di cui l’Italia dovrebbe andar fiera. Il taglio delle opere del trombonista è sempre di tipo europeo ed oltrepassa il ristretto provincialismo italico, spesso ripiegato su una visione calligrafa e manieristica di taluni stereotipi jazzisti. Ne è una conferma anche il suo nuovo album, «Empty Nights In Cracow», pubblicato nel dicembre 2023 da Alfa Music, ma che possiamo considerare uno dei più bei regali del mercato discografico di questo abbrivio del 2024. Registrato al Phsycosound Studio, di Cracovia in Polonia, l’album come racconta lo sesso Joshua nasce in una dimensione del tutto particolare: «Inverno 2020-21, Cracovia: una città di 700.000 abitanti completamente al buio (…) in pieno lockdown, dove vigeva il coprifuoco come nelle notti di guerra. Negozi chiusi, scuole e uffici deserti, jazz club dove non suona nessuno (..) a Cracovia, rinomata per la sua dedizione alla musica afroamericana, dove fino a poco prima risuonavano ritmi e melodie piene di significato! È da questa idea di vuoto, buio e silenzio che è nata la mia voglia di ricominciare a scrivere nuova musica, suonarla e registrarla per trasmettere i miei sentimenti di attesa e di speranza». È proprio questa «doppia vita artistica» divisa tra Italia e Polonia che fa di Aldo Joshua, un artista con un sguardo proteso in direzione di alcune dinamiche jazzistiche, che pur scrutando in maniera equilibrata nello specchietto retrovisore della classica tradizione afro-americana, si legano ad una nazione, situata nel cuore dell’Est europeo, che nel corso dei decenni, per motivazioni di natura storico-politiche, ha saputo e dovuto diventare una sorta di enclave sonora con una sua specifica peculiarità (leggendaria la stagione del Polish Jazz), in cui elementi molteplici s’intrecciano e dove il livello di qualità esecutiva ha raggiunto standard esemplari. A tutto ciò si aggiunga quell’italianità genetica che ne favorisce un gradiente di sviluppo melodico non comune.

Il quartetto diretto da Aldo, che vede al suo fianco Marcin Konieczkowicz al sax baritono, Kajetan Galas all’organo Hammond e Grzegorz Pa?ka alla batteria, getta costantemente un ponte tra Polonia e America, a cui l’Italia fa da anello di congiunzione. L’impianto strumentale del quartetto, piuttosto insolito, sottolinea la ricerca di un’ambientazione sonora non convenzionale e tesa al raggiungimento di un modulo espressivo capace di unire mondi e situazioni differenti, pur rispettando in maniera mercuriale la sintassi jazzistica. Le parole di Dino Piana riportate nelle note di copertina risultano alquanto illuminanti: «Ho ascoltato con piacere questo ultimo lavoro dell’amico Aldo Joshua. Un disco ben scritto ed interpretato, in cui i bravissimi musicisti trovano un interplay perfetto. Ho apprezzato molto la cura delle composizioni e degli arrangiamenti, tutti opera di Aldo, e la sonorità dell’ensemble, un quartetto swingante e molto coeso, per non parlare della bravura dei solisti. Molto bello il sound «trombone e baritono» con soluzioni armoniche interessanti e piacevoli. Conosco Aldo da molto tempo, l’ho seguito, ed ora mi fa molto piacere ascoltare le sue ultime idee musicali ed il suo mood trombonistico. Questo è un disco di pregio». L’apparente contrasto fra il trombone del band-leader ed il sax baritono Konieczkowicz diventa il punto di forza del progetto. Parliamo di due strumenti che basano spesso il proprio modulo espressivo su un registro piuttosto basso, rischiando di soprapporsi e di elidersi; a tutto ciò si sommi anche la presenza dell’Hammond di Galas con le sue sonorità churching e dominanti. Eppure come direbbe il poeta: l’armonia regna sovrana. Le composizioni di Joshua posseggono il dono di una verve narrativa congeniale all’apporto strumentale scelto, soprattutto gli arrangiamenti a maglie larghe e poco vincolanti sono congegnati in modo da agevolare lo scambio virtuoso, gli assoli e l’inserimento dei singoli, conducendoli sempre al nucleo gravitazione dell’idea di partenza. Ad abundantiam, il flusso melodico-armonico e l’intreccio strumentale conservano per tutta la durata del tragitto una vena di leggerezza ed una pulsazione swingante calibrata e piacevole, mentre il trombonista, da perfetto anfitrione, riesce a saldare e rinsaldare tutti i frammenti del costrutto sonoro.

Come racconta lo stesso Joshua: «Improvvisamente buona parte della mia vena compositiva si è orientata di nuovo verso soggetti collegati alla città polacca che mi vede da anni partecipare attivamente alla sua scena jazzistica. Lo avevo già fatto una prima volta, nel mio precedente lavoro »From Rome to Cracow» (AlfaMusic 2019) in cui molti brani sono ispirati a questa città. Nel nuovo disco, su otto brani, solo due non sono ricollegati direttamente a Cracovia: «Black Sands from Etna» e «Giulietta’s Tribal Dance», che sono però venuti alla luce a ridosso degli altri, il primo durante un’eruzione di polveri del vulcano e il secondo a commento divertito della danza incessante della mia nipotina». In realtà, tutti i componimenti presenti nell’album sono legati dal medesimo mood, per quanto il motivo ispiratore possa provenire da più parti. L’abilità del trombonista consiste anche in quell’aver saputo assemblare, umori, sentori e colori di differente «nazionalità». «Four Brotherly Cats» racconta dei quattro gatti di un’amica di Cracovia che non riescono ad andare d’accordo. Il brano si snoda su un tappeto swing allegro ed ironico, in cui il trombone sembra descrivere il passo felpato di un felino, il baritono esaltarne le capacità circoscrizionali e l’Hammond, accompagnato dalla batteria, la precisione e la sicurezza nell’incedere. «Black Sands from Etna» evidenzia un afflato soul-jazz, magnificato da una melodia mediterranea. «Giulietta’s Tribal Dance», giocata su un intricante gioco strumentale è quasi un rondò propedeutico ad un ballo di gruppo: una sorta di boogaloo all’italiana.

«You Never Show Up» – sottolinea il trombonista – è dedicato alla proprietaria dei gatti, la quale, avendo sempre molti impegni, promette di venire ai miei concerti ma non viene quasi mai. Il trombone dialogando con l’organo distilla una pozione sonora vagamente soul-funk, mentre il sax ne irrobustisce i contrafforti. «Harmony in Women» è una ballata soffusa e brunita, inizializzata dal baritono e completata dal trombone, derivante – come specifica Joshua – da una conversazione scherzosa con un amico polacco che, alla mia affermazione: «Ho studiato l’armonia jazz tutta la vita!», ha esclamato: «E le donne?!»; «Catalonian Springs» è dedicato a un giovane violinista spagnolo, ormai trapiantato nella città polacca. L’impianto del brano si srotola su un’avvincente melodia dove l’Hammond sembra imitare il suono di un violino impetuoso ed inarrestabile. «Blowin With Mr JN» è un ottimo hard-bop post-moderno avvolto in un’aura di spontaneità da jam session, dove il gioco delle parti si fa progressivamente più intenso. In conclusione, la title-track, «Empty Nights in Cracow» che, come dice lo stesso autore, nasce dall’immagine della città vuota di notte, durante la pandemia, quando tutte le luci venivano abbassate. L’idea iniziale, introdotta dal trombone è quella di momento sommesso in cui la festa e finita e gli amici vanno via, ma progressivamente il cambio di mood e di passo, nonché l’andamento hard-swingin fanno pensare ad un contesto metropolitano, sotterraneo e notturno, che continua a vivere nonostante tutto. Al netto di ogni suggestione, «Empty Nights in Cracow» è un lavoro di alta sartoria jazzistica, imbastito da mani esperte e da una mente creativa allo stato di veglia.

Aldo Joshua (Iosue)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *