// di Irma Sanders //

«Mi sono chiesto, spesso, quanti considerino realmente questo un vero album jazz e quanto la bossa nova sia una forza centripeta o centrifuga rispetto al jazz?». La domanda nasce da una riflessione di Francesco Cataldo Verrina. Il musicologo Gianni Morelenbaum Gualberto ha fornito delle inequivocabili informazioni in merito.

La musica brasiliana ha avuto rapporti costanti con il jazz, soprattutto a livello di arrangiamento, sin dalla seconda metà degli anni Venti. In realtà, sin dalle ultime decadi Dell’Ottocento i cosiddetti «pianeiros», come Ernesto Nazareth, Chiquinha Gonzaga, Sinhô, Aurélio Cavalcanti, e poi Tia Amélia, realizzavano al pianoforte una musica sincopata accademico-popolare non dissimile per tanti versi dal ragtime americano. La nozione di Swing esiste, pari pari, in Brasile, con il nome di Balanço (che significa swing), per quanto vi sia una distinzione. Esiste, infatti, lo «suingue», che indica lo swing jazzistico, e il balanço, che rispetto alla tradizione americana comporta un lieve, impercettibile ritardo, un lay-back che riflette una diversa postura del corpo e un atteggiamento fisico tipico dei Tropici che si differenzia dal dinamismo più aggressivo della tradizione africano-americana.

Nella bossa nova, che è una derivazione urbana e sofisticata del samba, il mondo africano-americano incontrava le stesse radici del Black Atlantic, denominazione coniata da Paul Gilroy, ma -al contrario della tradizione delle Americhe- non solo con una dimensione poliritmica ricchissima e con un patrimonio melodico prezioso, ma con una dimensione armonica di eccezionale raffinatezza, derivata da una tradizione che aveva accolto per secoli l’armonia del barocco europeo (portoghese, spagnolo, francese e olandese) e quella della tradizione popolare portoghese. Compositori come l’inarrivabile Jobim, Luiz Bonfá, Roberto Menescal, Carlos Lyra, Edu Lobo, e poi il geniale Marcos Valle o Geraldo Vandré, vantavano talenti creativi di livello incomparabile e non inferiore a quello di molti compositori americani di rilievo. Come narra bene Keith Jarrett, la musica brasiliana fu la prima grande porta (grazie anche a eccellenti formazioni come quelle di Sérgio Mendes e all’interessamento di arrangiatori come Gary McFarland, Claus Ogerman e Don Sebesky) aperta al jazz per evadere dal contesto africano-americano e misurarsi con l’influenza africana sotto altri profili.

Grazie alla bossa nova, molto più ancora che ai tempi di Ary Barroso e i film di Walt Disney, nella musica americana dilaga una lettura sincretica, creolizzata di dimensione cosmopolita (gli autori brasiliani avevano spesso formazione accademica e provenivano dalla migliore borghesia di Rio de Janeiro) e di eleganza sconosciuta al mondo afro-caraibiche. Soprattutto, la concezione ritmica brasiliana diffonde una generazione di percussionisti e batteristi (da Dom Um Romão a Naná Vasconcelos, Rubens Bassini, João Palma, Paulinho da Costa, Alyrio Lima, Guilherme de Sousa Franco, Cyro Baptista, Milton Banana, e altri) usi a fornire timbri e colori e non solo ossatura ritmica, che letteralmente trasforma il jazz dagli anni Settanta in poi e trasforma anche parte della musica brasiliana (pensiamo a Luis Eça, César Camargo Mariano, Tamba Trio, Zimbo Trio, Amilton Godoy, ecc.) Dopo i primi esperimenti di Dizzy Gillespie, Bud Shank, Paul Winter, che un genio come Stan Getz, dall’intelligenza musicale suprema (insieme a Sonny Rollins, John Coltrane e Albert Ayler egli è uno dei padri del sassofono contemporaneo), venisse sollecitato da una musica di tale complessità e sofisticazione non sorprende. E i risultati sono ancora oggi in larga parte straordinari.

In fondo, che cos’è il Brasile, se non l’altra parte della Luna? Una terra ricca di contraddizioni e di contrasti che costituisce, nonostante la sua grandezza territoriale, un’enclave sonora rispetto a tutto il resto del continente Centro-Nord-Americano. Il Brasile ha subito meno l’influenza dell’Africa o in maniera diversa, se paragonato a tutto il resto delle Amerindie; la sua musica possiede delle matrici marcatamente europee; usa una lingua diversa ed unica, il portoghese, che produce un cantato più morbido e flessuoso, a tratti più vicino al francese, fatto di languori, atmosfere malinconiche e chiaro-scuri emotivi. Scegliere il Brasile come motivo ispiratore e raccordo tra mondi musicali possibili è già una precisa scelta di campo.

Stan Getz

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