Michele Sperandio

Il batterista e arrangiatore Marchigiano, Michele Sperandio, presenta in anteprima a Doppio Jazz, il nuovo progetto discografico dedicato al mare, accompagnato dalla cantante Marta Giulioni, da Simone Maggio al pianoforte e da Lorenzo Scipioni al contrabbasso.

// di Francesco Cataldo Verrina //

Quasi tutti i progetti discografici, in cui il band-leader è un batterista, si dipanato su una tela di arrangiamenti a maglie larghe che consente ai sodali di entrare ed uscire dal reticolo armonico e di ritagliarsi uno spazio narrativo individuale, ma sempre con l’effetto «boomerang» di ritorno al punto di partenza dell’idea principale: nello specifico il mare con le sue onde, la sue distese e le sue tempeste emozionali. Così il concept del Michele Sperandio Sea Quartet s’immerge sistematicamente nella liquidità di un costrutto che espande in un oceano sonoro senza limiti e confini geografici che il batterista marchigiano considera come un «rifugio di molti artisti e simbolo di libertà». Un universo liquido che permette al line-up di esplorare diversi stilemi e moduli espressivi, dalla forma canzone al jazz strumentale, dai cantautori italiani alle avanguardie prog anni Settanta con composizioni che spaziano da Elvis Costello e King Crimson a Cristina Donà.

Frugando fra le varie tracce, riaffiorano a fil d’acqua un insieme di idee che spaziano in molte direzioni dello scibile sonoro ed in cui l’idea del mare funge da filo conduttore: «Formentera Lady» inizia con lievi coloriture spanish-tinge, in cui la voce di Marta Giulioni appare come un invito rilassante e spensierato, mentre nell’intermedio si verifica un brusco cambio d’umore: gli strumenti sembrano «parlare» quasi sottovoce, l’atmosfera diventa più sofferente, velata e caratterizzata da un vocalizzo pieno di pathos, per poi riemergere sul finale in un crescendo aperto, simile a un desiderio di fuga collettiva. In «Goccia», l’idea è quella di una goccia che, lenta e costante, cade creando una lieve increspatura circolare, sulla quale si sviluppa una ballata lenta e progressiva, segnata da sussurro canoro ovattato, quasi sotto il livello dell’acqua, mentre gli strumenti, a parte qualche piccolo sobbalzo, sembrano accompagnare a passi felpati il flusso narrativo della cantante, la quale, come uno scandaglio, tocca profondità abissali. «Island» produce una suggestione duale: dapprima si percepisce la sensazione di approdo ad un’isola, forse quella che non c’è o che immaginiamo, in cui specie il piano di Simone Maggio offre un’ottima piattaforma accordale alla lead-vocal, mentre dalla retrovia Lorenzo Scipioni al contrabbasso e Michele Sperandio alla batteria aggiungono un calibrato tappeto ritmico su cui rotolare agevolmente; in seconda battuta, l’atmosfera diviene più sospesa e rarefatta, come a voler narrare l’infatuazione di una natura incontaminata. «La casa in riva al mare» è un tributo a Dalla. Il classico del cantautore bolognese è stato riportato a nuova vita, inquadrato sotto una differente luce creativa e caricato di quel lirismo che a Lucio piaceva molto e che, proprio nelle località di mare o vicino al mare, trovava sovente ispirazione.

«Place To Be» ha il movimento delle onde che scaturiscono dall’andamento arcuato del pianoforte e dal flessibile bounce della una retroguardia ritmica che lo asseconda senza tentennamenti dando vita ad un groove gommoso ed elastico, su cui la voce della Giulioni si muove quasi al piccolo trotto. «Sea Song», la canzone del mare, probabilmente il manifesto programmatico dell’intero concept, un’architettura sonora prospettica e cangiante, magnificata da un’eruzione strumentale avvolgente e da una melodia a presa rapida che sfuma in un finale a dispersione, quasi come un abbandono alla deriva fra i flutti marini. «Shipbuilding» usa le medesime carte nautiche giocando sull’alternanza voce-pianoforte come elementi narrativi. In «Song To Siren» c’è l’incanto, Il disincanto e il canto, il fascino arcano e la seduzione subita dall’improvvido marinaio che, come un novello Ulisse, si abbandona alla forza centrifuga di una navigazione infinita. Il costrutto sonoro risulta sotterraneo, vaporizzato ed etereo nello sviluppo melodico come talune ballate di Joni Mitchell. «The Water Is White» offre una suggestione celtica vicina ai mari del Nord attraverso un canto inizialmente in solitaria, quasi fiabesco, e progressivamente accompagnato in punta di piedi.

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