// di Francesco Cataldo Verrina //

«Focus» di James Williams e Dennis Irwin è prodotto sorgivo, frutto dell’umano ingegno che si coagula in progressione come un piacevole contenitore di emozioni a falde larghe, basato su un’apparente contraddizione che potremmo definire sostanzialmente forza tranquilla o energia rilassata.

L’incontro fra due soli strumenti musicali, per quanto abbia a tutt’oggi inanellato una lunga serie di illustri precedenti, costituiva e costituisce un formato atipico: più che un matrimonio è morganatico, un sodalizio furtivo, quasi contrario alle leggi di gravità. Il duo strumentale resta un formula asimmetrica, aperta e priva di quella circolarità rassicurante che può garantire un trio o un quartetto, ma capace di dischiudersi a soluzioni inattese ed immaginifiche. «Focus» di James Williams e Dennis Irwin, appena ripubblicato dalla nuova Red Records di Marco Pennisi non sfugge a certe regole d’ingaggio poco convenzionali, dove il flusso sonoro sembra ricadere in punto centrale dipanandosi in ogni direzione, sostenuto da un interplay dinamico e senza sosta. A molti decenni di distanza, quest’opera dell’ingegno jazzistico, basata sull’afflato ritmico-armonico tra un pianoforte ed un contrabbasso, non ha perduto un minimo della sua capacità di coinvolgimento emotivo.

Siamo nel 1977, anno in cui la confraternita dei Art Blakey lanciava messaggi ovunque, raminga per le strade della vecchia Europa, fedele al vernacolo tradizionale, ma con un occhio sempre attento alle nuove tendenze che si sovrapponevano idioma afro-americano. In quella fucina sempre aperta ai nuovi virgulti del jazz, durante quell’ultimo scorcio di decennio, si distinguevano per inventiva e talento il pianista James Williams ed il bassista Dennis Irwin. Non appena approdati sul suolo italico, il lungimirante Alberto Alberti, supportato da Sergio Veschi, propose ai due Messaggeri una seduta di registrazione allo Studio 67 di Bologna. Era il 6 dicembre del 1977. I due sodali fissarono su nastro cinque brani, uno firmato da Williams, due da Irwin e due standard. Il vinile, a causa di alcune imperfezioni, quando nel 1978 venne immesso sul mercato, ebbe una scarsa diffusione. Oggi grazie alle nuove tecnologie, con le opportune correzioni, il set e stato ristampato in CD con un’inedita veste grafica e rimesso in circolazione per la gioia dei tanti cultori del catalogo dell’Etichetta Rossa, liberando cosi un piccolo gioiello di arte improvvisativa da un interminabile ed immeritato periodo di sospensione e di dimenticanza. Dopo quarantasei anni ed una lunga espiazione, «Focus», oggi, rappresenta una novità in piena regola ed un must per quanti all’epoca erano forse troppo giovani o disattenti.

James Williams, morto a soli cinquantatré anni nel 2004, era originario di Memphis, nel Tennessee, dove si era laureato alla locale Memphis State University all’inizio degli anni Settanta, titolo che gli aveva consentito di essere assunto come professore al Berklee College of Music di Boston. In questa nuova realtà urbana, ricca di fermenti jazz, il giovane pianista iniziò a suonare come sideman per Red Norvo, Art Farmer, Sonny Stitt e Milt Jackson, fino al momento in cui Art Blakey, proprio in quel fatidico 1977, non lo convinse a dimettersi dalla Berklee ed a partire in tournée al seguito dei Jazz Messengers; incarico che l’allora ventisettenne James mantenne per i quattro anni successivi e con il quale avrebbe ottenuto una nomination ai Grammy Award per l’album «Straight Ahead». Per un gioco del destino, l’incontro con la Red Records risulta storicamente rilevante, poiché antecedente alle successive registrazioni in studio con Messengers, con i quali, fino a quel 6 dicembre del ’77, Williams non aveva ancora registrato nulla. La prima seduta ufficiale con Blakey e compagni è datata 29 dicembre 1977. Dal canto suo, il bassista Dennis Irwin è stato un punto fermo del jazz newyorkese per oltre tre decenni, partecipando a più di cinquecento sessioni. Originario di Birmingham nell’Alabama, ma cresciuto ad Atlanta e Knoxville, dove i fratelli maggiori, appassionati di jazz, lo incoraggiarono ad imparare il clarinetto. Così quando, a metà degli anni ’60, la famiglia si trasferì a Houston, l’adolescente Irwin iniziò a suonare il sax alto nelle band R&B locali, subendo ben presto il fascino del basso verticale. Forte delle sue nuove consapevolezze musicali, il Nostro muove alla volta di New York in cerca d’ingaggi, ma trova trova lavoro solo in un negozio di dischi del Greenwich Village. Finalmente, nel 1975, ottiene il primo contratto stabile con il trombettista Ted Curson, diventando rapidamente il bassista di riferimento di alcuni cantanti come Mose Allison, Betty Carter, Annie Ross e Jackie Paris, fino al 1977 anno dell’incontro Jazz Messengers di Blakey, per i quali scriverà numerose composizioni, tra cui la celebre «Kamal». Dopo aver abbandonato i ranghi di Blakey nel 1980, Irwin ha continuato a suonare in qualità di gregario con Stan Getz, Johnny Griffin e Horace Silver, Chet Baker, Joe Lovano e tanti altri, fino alla sua prematura scomparsa causata da una grave malattia nel 2008, a soli 56 anni.

L’album si apre con la title-track «Focus», a firma Williams, un componimento che diventerà il brand della sua carriera e del sui modo di intendere il pianismo jazz. L’esecuzione è brillante e le note sembrano zampillare in ogni direzione, mentre il contrabbasso di Irwin gli resta incollato per tutto il tempo garantendo un tappeto ritmico incessante che non fa rimpiangere la mancanza di una batteria. Quando il bassista si libera per il suo assolo emerge immediatamente un’attitudine narrativa quasi melodica, segnata da una timbrica cristallina e da una focalizzazione del suono millimetrica. L’assenza di altri strumenti ridondanti consente alla cavata di Irwin di trovare la migliore calibratura anche in «Mimosa», una delle due composizioni da lui firmate, in cui il pianoforte di Williams emette delle onde concentriche muovendosi da una parte all’altra della tastiera. Il pianista sviluppa una melodia avvolgente e classicheggiante, fino all’arrivo del basso che segna il terreno con un walking danzante. La compenetrazione fra i due strumenti è totale, l’interplay delicato, quasi in dissolvenza, un risveglio primaverile lungo otto minuti e portato a segno in punta di fioretto, mentre le note inondano lentamente l’ambiente circostante come gocce di rugiada. «For My Nephews», ancora a firma Irwin, contiene la medesima cubatura stilistica del precedente con un effluvio di note che spingono verso mille suggestioni: contrabbasso e pianoforte si scambiano ripetutamente gli anelli e promesse di fedeltà ad imperitura memoria. Siamo lontani da ogni tentazione hard bop pronto cuoci alla Blakey, piuttosto il fruitore attento ha il privilegio di trovarsi al cospetto di una lezione di pianismo post-bop da manuale. Sia pure nel rispetto della struttura accordale, i due sodali trasportano, per oltre undici minuti, «Sentimental Mood» del Duca in una dimensione più eterea e sospesa, in cui il contrabbasso puntella passo passo la lunga narrazione del pianoforte ricca di umori e cromatismi cangianti. Due musicisti, all’epoca giovanissimi, figli di una generazione più consapevole, con studi regolari e forieri di reminiscenze multilaterali che oltrepassano agevolmente la tradizione afro-americana, senza disperderne eccessivamente la componente fisica ed istintuale, tanto che la classica «Invitation» diventa una lezione di bon-ton pianistico, garbato e ricercato, dove i due mostrano una perfetta articolazione ed una sicurezza impressionante sullo strumento di pertinenza. «Focus» di James Williams e Dennis Irwin è un prodotto sorgivo, frutto dell’umano ingegno che si coagula in progressione come un piacevole contenitore di emozioni a falde larghe, basato su un’apparente contraddizione che potremmo definire sostanzialmente forza tranquilla o energia rilassata.

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