// di Gianni Morelenbaum Gualberto //

Per quei meccanismi curiosi che sono le associazioni di idee, la misera e miserabile polemica che si è di recente sviluppata nel ghetto musicale accademico su di una frase di Keith Jarrett a proposito dell’intollerabilità che può provocare a un interprete la costante intermediazione e schiavitù del testo scritto, mi ha riportato alla mente uno splendido quanto complesso lavoro di Bernd Alois Zimmermann, quel “Nobody Knows De Trouble I See”, concerto per tromba, scritto nel 1954 inizialmente con il titolo “Darkey’s darkness” (poi cambiato, viste le connotazioni negative che il termine “darkey” aveva negli Stati Uniti), così spinoso in termini linguistici e interpretativi da intimorire molti esecutori. L’opera, infatti, incorpora una serie di elementi musicali diversi, tra cui il jazz, l’armonia tonale, il serialismo weberniano, il cantus firmus, il tema e variazioni: le molteplici combinazioni intrinseche ad un linguaggio musicale così diversificato e caratterizzato da esigenze tecniche estreme sollevano necessariamente una serie di questioni di pratica esecutiva.

In una raccolta di saggi intitolata “Interval und Zeit”, Zimmermann espose le sue riflessioni su diversi argomenti compositivi, e mi sono chiesto cosa ne avrebbero pensato i custodi delle vacche sacre così offesi dal pensiero di Jarrett. Uno degli scritti del compositore prende specificamente in esame il Concerto per tromba, descrivendo nel dettaglio il processo compositivo di un’opera che, come già accennato, è una combinazione di preludio corale sullo spiritual “Nobody Knows de Trouble I See”, tema e variazioni seriali e jazz. Sia la scelta dello spiritual “Nobody Knows de Trouble I See” che la fusione di questi elementi compositivi derivano dal senso di colpa e dall’angoscia provata da Zimmermann (che aveva vissuto durante gli orrori del nazismo, di cui aveva visto i risultati anche una volta arruolato nella Wermacht, prima di essere esentato dal servizio nel 1942) per il persistere del razzismo (il peso della Shoah risultava all’artista pressoché insopportabile) e per il suo desiderio di armonia razziale.

“Interval und Zeit” includeva, fra i tanti, anche un saggio sul jazz, “Gedanken über Jazz”, in cui l’autore affrontava il caso della notazione musicale che intenda assumere l’apparenza dell’improvvisazione. L’obiettivo del’autore, quando scriveva brani influenzati dal jazz, pareva aspirare soprattutto al coinvolgimento dell’ethos improvvisativo jazzistico, più che a individuate o assimilare tratti stilistici specifici. Inoltre, egli era fortemente attratto e affascinato dal “natürlicher Begabung”, per così dire il talento naturale. Per Zimmermann, l’etica dell’improvvisazione jazzistica consisteva nella creazione naturale e spontanea di musica libera, non vincolata da costrutti accademici. L’obiettivo di combinare un preludio corale, la serie e il jazz era delineare non tanto un’anticipazione massimalista del polistilismo ma la rappresentazione di un’armonia poli-etnica idealizzata. Dopo la prima del 1955 da parte di Adolf Scherbaum pochi sono stati gli interpreti che, pur riconoscendo la grandezza del lavoro (Edward Tarr lo ha definito “il più significativo concerto per tromba del nostro tempo”), lo hanno presentato: si possono ricordare, ognuno con peculiarità assai diverse nell’affrontare le molte sfide contenute nella partitura, Gert Fischer, Håkan Hardenberger, Reinhold Friedrich, John Wallace, Ole Edvard Antonsen e Guy Touvron, Manuel Blanco, Andrei Kavalinski, Jouko Harjanne.

Suddiviso in due grandi sezioni che possono essere suddivise in dieci sezioni più piccole, il Concerto è esempio illuminante di quella che Zimmermann definiva “composizione pluralistica”, una forma di collage musicale che svolse un ruolo forte nella sua tecnica compositiva e che egli descriveva come un riflesso della propria complessità culturale, nella quale avvertiva una dicotomia tra il tempo nel regno fisico e il tempo nel regno spirituale. Per il compositore il tempo nel regno fisico è legato a termini di passato, presente e futuro, mentre il regno spirituale non è vincolato a tali concetti: l’applicazione pratica di questa filosofia fu un processo di collage musicale in cui si alternavano integrazione e decostruzione, quest’ultima allo scopo di infrangere e ricostruire il tessuto strutturale della composizione, laddove l’integrazione disponeva strategicamente citazioni musicali come strumento per creare degli eventi formali che dovevano fare da faro, da punti di riferimento nella mappatura dell’opera, delineandone la forma. Alla luce della descrizione di Zimmermann dello spiritual “Nobody Knows de Trouble I See” come un cantus firmus, il Concerto per tromba sembrerebbe allinearsi all’approccio dell’integrazione: le citazioni, sia dello spiritual che della serie (presa in prestito dal Concerto per oboe dell’autore, scritto due anni prima, ma presente anche nel balletto “Alagoana” e nelle musiche per il film “Metamorphose”), servono a definire la forma del lavoro.

Zimmermann non era comunque un serialista di stretta osservanza, egli faceva spesso uso della serie come motivo melodico/armonico manipolabile, non differentemente da Berg nel suo Concerto per violino. Egli riteneva che la “consapevolezza incontaminata” fosse la principale attrattiva del jazz per i compositori. Se da un lato il jazz rifletteva una sorta di stato musicale naturale, dall’altro l’autore (che della materia possedeva una concezione profondamente libertaria, riconoscendone il simbolico potere democratico e anti-autoritario) lo vedeva profondamente legato alle tecniche compositive contemporanee degli anni Cinquanta. Egli si chiedeva, infatti, a proposito delle pretese di supremazia eurocentrica: “Chi sta insegnando a chi?” Osservava inoltre che i compositori contemporanei frequentavano e studiavano il jazz, mentre i musicisti jazz erano interessati ai compositori loro contemporanei: il jazz, prototipo per la creazione libera e disinibita, sapeva intrecciarsi con altri generi senza perdere la propria inconfondibile personalità, grazie anche ad una acuta percezione dell’eredità vocale e alla capacità di fare uso creativo di citazioni . D’altro canto, se il compositore considerava l’integrazione del jazz e della composizione contemporanea come insuperabilmente espressiva, dall’altro avvertiva una problematica mancanza di organizzazione nella sua applicazione e integrazione: comporre musica che “suonasse improvvisata” portava a un risultato che egli descriveva come “privo di scopo”. L'”arduo” processo di integrazione del jazz nella composizione accademica eurocentrico andava risolto, secondo Zimmermann, dalle “tecniche post-seriali”: colpiscono nel Concerto per tromba, infatti, l’originalità, la naturalezza idiomatica e l’onestà nel costruirsi un vocabolario che fa propri anche materiali esogeni pur rispettandone integralmente la pronuncia originaria.

“Nobody Knows de Trouble I See” richiede, oltre alla tromba in do, un flauto (e ottavino), un oboe (e corno inglese), un clarinetto, una sezione di sassofoni da big band, un fagotto, un corno, tre trombe, un trombone e una tuba, oltre a quattro percussionisti, arpa, pianoforte/organo Hammond (un implicito omaggio al linguaggio musicale ecclesiale africano-americano), chitarra e archi. Il Concerto si sviluppa come un unico movimento che attinge alle già menzionate tre fonti formali, identificate dal compositore come il preludio corale (che utilizza, per l’appunto, lo spiritual come “cantus firmus”), la “forma di variazione libera” e il “jazz modificato come musica da concerto”. Zimmermann elabora il suo materiale tematico a partire da una serie, ma le forti implicazioni della tonalità di Do minore permettono un’integrazione naturale dello spiritual, accennato per la prima volta dal sassofono contralto. Anche l’orchestrazione ibrida linguaggi: macchie di densa armonia cromatica si scontrano, in sporadiche esplosioni di energia, con gli ostinati spesso “funky” della sezione ritmica e la forza propulsiva del “groove” scolpito degli ottoni da big band, mentre l’organo Hammond richiama atmosfere gospel. Il solista, nel frattempo, affronta brillanti e appassionati passaggi di un virtuosismo esigente ma mai fine a se stesso, elevandosi eloquentemente in una serie di variazioni finali sulla melodia prima di svanire lentamente, con un agrodolce fare malinconico.

Sebbene l’opera non abbia un programma dettagliato e letterale, il suo messaggio di orrore nei confronti del razzismo è manifesto, ancorché temperato dalla speranza. Zimmermann scrisse di essere turbato dalla “purtroppo ancora esistente follia del razzismo”: nello scrivere il Concerto egli desiderava riflettere un atteggiamento speranzoso per una futura armonia nel genere umano, considerando la combinazione di cantus firmus, tema e variazioni, jazz e lo spiritual “Nobody Knows de Trouble I See” un riflesso simbolico di “legami fraterni”. Se l’uso dello spiritual “Nobody Knows de Trouble I See” doveva rappresentare gli elementi religiosi e inter-etnici alla base della composizione, la speranza della redenzione di fronte alla sofferenza rifletteva la sua personale concezione cattolica. Il sovrapporsi fra elementi musicali europei come la serie e lo spiritual africano-americano sembrava alludere alle drammatiche vicende degli schiavi negli Stati Uniti e alla loro ricca e innovativa cultura: il risultato è un lavoro di straordinaria efficacia, di brillante concezione e di appassionata sincerità.

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