// di Francesco Cataldo Verrina //

Nel 1993, la Biblioteca del Congresso acquisì vari documenti e oggetti raccolti da Mingus durante la sua attività, tra cui spartiti, registrazioni sonore, corrispondenza e foto, che responsabili dell’archivio statale americano definirono «la più importante acquisizione di una collezione di manoscritti relativi al jazz nella storia della Biblioteca». Tra questi documenti sonori è presente anche una registrazione effettuata, presumibilmente, dalla Radio tedesca durante la storica tournée europea di quell’anno, il 28 aprile del 1964, alla Liederhalle di Stoccarda. Nel live, Charles Mingus venne affiancato da Eric Dolphy, Jaki Byard, Clifford Jordan, Johnny Coles e Danny Richmond. Durante il suddetto tour primaverile del 1964, il sestetto fu spesso ripreso anche in maniera clandestina e non ufficiale, e molto di quel materiale venne pubblicato sotto forma di bootleg, sia in CD che in vinile. Alcune di questa registrazioni abusive furono successivamente regolarizzate grazie all’intervento di Sue Ungaro, ultima consorte, nonché erede del brand mingusiano.

Charles Mingus è stato una forza sorprendente e deflagrante nel regno del jazz, così come i musicisti che lo hanno accompagnato, sia in studio che in concerto, non sono stati quasi mai da meno. Era davvero difficile reggere il confronto con lo scontroso contrabbassista o stare nel suo entourage se non si possedevano taluni requisiti. Senza togliere nulla ad altri strumentisti di talento, a parte Dannie Richmond, il fedele batterista di sempre, che Mingus definiva «il battito del mio cure», colui il quale seppe assecondarne le mosse e magnificarne talune partiture fu senza dubbio Eric Dolphy.

Oggi, ex-post, è possibile affermare con certezza che Mingus possedesse il dono di tirare fuori il meglio da ogni musicista con cui entrava in contatto, e questo non era solo il segno tangibile di un band-leader dotato di un forte senso dell’orientamento pratico e musicale, ma anche sinonimo di un’innata capacità di assemblare sempre il gruppo collaboratori adatto allo scopo e con cui condividere il viaggio. Mingus era un ispiratore, oltre a possedere una mente dinamica, sempre ispirata e in movimento, che in Dolphy trovò una sponda ideale capace di riverberare la sua musica, locupletarla e tenerla a stretto contatto con il linguaggio evolutivo del jazz moderno sempre in fermento, specie in quel singolare scorcio degli anni Sessanta.

«Live in Stuttgart 1964» che, a differenza di altri venne registrato fedelmente dalla Radio tedesca, resta purtroppo un incompleto oggetto di desiderio, ma validissimo nel contenuto, poichè è ancora un modo per poter ascoltare le ultime performance di Eric Dolphy, il quale un paio di mesi più tardi sarebbe ritornato inaspettatamente al creatore. Ascoltando la forza espressiva e la bellezza degli assoli di Eric, nessuno avrebbe mai scommesso su una sua prematura dipartita. L’intero concerto fissato, probabilmente, sui differenti nastri è stato più volte frammentato e rimane in qualche maniera «un moncherino», che lascia nel fruitore il desiderio di ascoltare di più, come se mancasse qualcosa, nonostante le esecuzioni siano all’altezza di altri concerti di Mingus realizzati con il medesimo line-up. L’intoppo consiste soprattutto nel fatto che quello pubblicato ufficialmente come «Live in Stuttgart 1964» include solo «ATFWUSA», «Sophisticated Lady» e due editing di «Fables Of Fabius (Part 1 e 2)», in cui la presenza di Dolphy appare determinante. Ricordiamo che nella versione in studio – quella forse più riuscita – contenuta nell’album «Charles Mingus Presents Charles Mingus» del 1960, Eric era presente, insieme insieme Ted Curson alla tromba e Dannie Richmond alla batteria, quale testa di serie del quartetto più affiatato dell’intera storia discografica di Mingus.

Il bootleg, pubblicato come «Stuttgart Meditations Vol.1», risulta di buona qualità sonora, nonostante si tratti di un copia mono, di cui non si conosce la reale provenienza: se da una vera registrazione radiofonica, come certe cronache riportano, o da una acquisizione illecita. Un piccola curiosità storica: negli anni Sessanta, la Germania era uno di quei paesi che vantava uno sviluppo tecnologico all’avanguardia, di cui l’industria dell’intrattenimento e della musica beneficiavano, con la complicità degli USA, forza di occupazione militare, che ne favoriva l’avanzamento anche per esigenze difensive e spionistiche. In Germania, all’epoca, si producevano alcuni dei migliori nastri magnetici, microfoni ed attrezzature finalizzate alla registrazione del suono; tanto che le incisioni fonografiche prodotte dai tedeschi dell’Ovest risultavano tra le più fedeli in assoluto. Così, in quella nazione, che all’epoca rappresentava un avamposto di frontiera contro l’espansione sovietica, era alquanto diffusa una cultura della musica e della registrazione amatoriale con apparecchiature di alto livello, sovente in possesso di privati, i quali disponevano di magnetofoni a bobine e microfoni professionali ad uso domestico.

L’album «Stuttgart Meditations Vol.1» contiene sull’intera B-Side una lunga versione di «Meditations» della durata di oltre ventinove minuti, in cui il clarinetto basso di Eric Dolphy, che introduce il tema, e il sax tenore di Clifford Jordan risultano particolarmente efficaci in un’interminabile Odissea sonora che sembrerebbe non esaurirsi mai. Su questa libera prateria espressiva, il lavoro del polistrumentista losangelino appare quanto mai esemplare e congeniale al suo modo di esprimersi sulla lunga distanza anche con il contralto e il flauto. Sulla prima facciata dell’album, all’inizio di «Orange Was The Colour Of Her Dress» si sente perfino Mingus invocare il nome di Dolphy. Disteso un tappeto blues languido e flessuoso della durata di oltre dodici minuti, questo classico del repertorio mingusiano viene più volte magnificato proprio dagli interventi di Eric, specie nella seconda parte, in cui il polistrumentista californiano si abbandona su un terreno scosceso ed impervio, sostenuto dalla retroguardia ritmica sotto l’egida del band-leader, nonché sospinta dal flusso armonico del pianoforte di Jaki Byard. «ATFWUSA» è un tributo per solo piano ad Art Tatum, Fats Waller e altri storici pianisti non citati. In chiusura l’omaggio a Duke Ellington con «Sophisticated Lady», che diventa una sorta di camera di decompressione. I fiati tacciono e vanno in stand-by, mentre si sentono solo il piano di Jaki Byard e il contrabbasso di Mingus. Va sottolineato che «Stuttgart Meditations Vol.1» costituisce un documento sonoro importante per i collezionisti e i completisti, ma senz’altro utile agli studiosi per comprendere le ultime evoluzioni dello stile dolphyano che appare sempre più proiettato in quel futuro che non avrebbe mai vissuto, ma soprattutto la sicurezza, specie in terra straniera, con cui egli seppe affrontare queste lunghe maratone mingusiane, divenendo in molte circostanze l’alter ego del genio di Nogales.

Charles Mingus & Eric Dolphy

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