Amsterdam: Art Blakey & Jazz Messengers Lee Morgan, 15 novembre 1959

// di Francesco Cataldo Verrina //

L’album «The Sidewinder» fu il passaporto per le stelle, un volo interstellare per Lee Morgan, ma con un biglietto di sola andata. Si ha come l’impressione che il trombettista non sia più riuscito a tornare indietro per poi ripartire alla conquista di altre galassie. Abbiamo più volte evidenziato il cruccio di Alfred Lion, ossessionato e frustrato dal non riuscire a realizzare il degno successore di «The Sidewinder» in termini commerciali. Tutto ciò, per alcuni anni, condizionò non poco la vena compositiva di Lee Morgan. Molti degli album venuti dopo il suo disco più popolare non sono da meno, alcuni sono addirittura superiori, ma non riescono sovente a discostarsi da quell’ordine di idee. In particolare «Charisma» che sembrerebbe provenire dall’altra parte dell’abisso, ad iniziare dalla copertina, la quale non solo potrebbe essere stata (o apparire) fuorviante, non avendo nulla da spartire con la tipica estetica della classica grafica Blue Note. Esistono tanti lavori di pregio inficiati o deviati dall’involucro esterno. In tal senso la storia c’insegna come perfino una copertina possa decidere le sorti di un disco. Siamo nel 1969 ed il giocattolo di Alfred Lion si era rotto da qualche anno.

Il patrimonio della Blue Note Records era stato acquisito, quindi smantellato da nuove forze aziendali ed economiche, sotto gli occhi increduli di migliaia di fans dislocati in tutto il mondo. L’album «Charisma» nella sua policroma cover art indica la proprietà di un investitore della costa Ovest, la Transamerica Corporation di Los Angeles, in sintesi la Division Of Liberty appartenente alla United Artists. Le note di copertina non sono scritte dai soliti critici jazz, quali Leonard Feather o Nat Hentoff, ma da Herbert Wong, DJ presso una stazione radio di San Francisco. Il numero di catalogo «Blue Note 4312» è scritto a caratteri farmaceutici. L’inserto fotografico interno ritrae un inedito Lee Morgan con occhiali neri da intellettuale, cappello etnico stile Rahsaan Roland Kirk ed un grosso maglione colorato. Un uomo reinventato con l’immagine del jazz bohémien. Un’accurata operazione di reinvenzione dell’outfit finalizzata a conquistare un pubblico variegato al di fuori del ristretto circuito degli aficionados newyorkesi, o più semplicemente un tentativo di avvicinarsi ai gusti dei nuovi sostenitori degli idoli del soul del rock che furoreggiavano in quel momento. Chi si aspettava la solita foto di Francis Wolff o i disegni di Red Miles rimase deluso. L’artefice del concept grafico fu invece Ann Meisel, artista di talento, ma sconosciuta al pubblico del jazz.

Non che ci fosse qualcosa di sbagliato nella commercializzazione di un prodotto così confezionato: i musicisti jazz avevano bisogno di mangiare e competere con l’emergente cultura pop di massa, soprattutto un flusso di entrate significative avrebbe garantito la sopravvivenza della storica etichetta, formalmente rilevata nel 1965 dal nuovo editore sotto un cumulo di debiti. Coloro, però, che agirono d’impulso in relazione alla copertina e quanti perseverano nel farlo, pensando che si trattasse davvero di un nuovo Lee Morgan, sbagliarono allora e continuano a prendere un abbaglio adesso. Alfed Lion rimase alla Blue Note/Liberty fino al 1967, anno del suo pensionamento, mentre Francis Wolff continuò la sua attività di produttore in seno alla nuova organizzazione per lungo tempo, ma soprattutto il set di «Charisma» era stato registrato nel 1966 al Rudy Van Gelder Studio secondo le tradizionali regole d’ingaggio della vecchia Blue Note.

Si potrebbe dire: è qui che casca l’asino, poiché parliamo di un album concepito nel 1966 e non nel 1969, quella fu solo la data di pubblicazione. Le sonorità e gli umori di «Charisma» sono quelli del classico prodotto Blue Note a base di hard bop/post bop; così come facevano parte del vecchio roster di Lion le maestranze che costituirono il sestetto: insieme a Lee Morgan alla tromba, Jackie McLean al contralto, Hank Mobley al sax tenore, Cedar Walton al piano, Paul Chambers al basso e Billy Higgins alla batteria. Superato l’ostacolo della copertina, ci si accorge che «Charisma» è uno dei più degni follow-up di «The Sidewinder», se non proprio quel sequel tanto agognato da Alfred Lion, di cui il Nostro non potette godere, poiché la sessione venne dapprima congelata e poi catapultata dalla Liberty nel caos del 1969, camuffata da opera finto-free-hippie-psichedelica. La copertina fece tutto il resto. Eppure, «Charisma» è un disco con le stimmate della Blue Note dalla prima all’ultima nota, con una prima linea stellare, Morgan, Mobley e McLean, che si sfida e si compensa sostenuta da una brillante sezione ritmica costituita da Higgins e Chambers. Il saggio Cedar Walton si carica sulle spalle il peso del costrutto sonoro, lo regge e lo mantiene unito attraverso un fluidificante groove di piano secondo la ricerca della pietra filosofale, ossia trovare un nuovo «The Sidewinder» a tutti i costi. E in questa occasione c’erano quasi riusciti.

La costruzione sonora è diretta ed immediata. Per paradosso, «Charisma» è il classico album bop-bop-rebop da ascoltare sorseggiando un caffè o leggendo un buon libro, armeggiando in cucina o viaggiando sull’autostrada con il tetto dell’auto aperto, per chi può permettersi una convertibile; l’umore salirà alle stelle, e se il viaggio dovesse protrarsi l’operazione potrebbe essere ripetuta più volte, senza che la noia sopraggiunga. «Charisma» descrive bene quell’atmosfera familiare e rilassata presente nei capolavori della Blue Note: l’interplay tra i sodali è perfetto. In special modo la prima linea di ottoni, accompagnata dal piano, sembra essere in uno stato di grazia. Come un rubinetto sempre aperto, i tre fiati riversano fra i solchi idee a getto continuo, disegnando scorci melodici luminosi e vivaci. Per l’occasione Morgan mise sul tavolo quattro composizioni originali: «Hey Chico» impregnato di funk dal sapore latino, «Somethin’ Cute» e «The Murphy Man» che macinano soul-bop di grana fine e pregiata e «The Double Up» che trasuda di blues sino al midollo. Il pianista Cedar Walton tirò fuori un asso dalla manica sotto le sembianze di una memorabile ballata, «Rainy Night». Duke Pearson, all’epoca produttore aggiunto, mise in tasca al sestetto la swingante «Sweet Honey Bee».

Un album perfetto per un Sixties Dance Party, dove tante avvenenti ragazze di colore, con abiti dal largo girovita e capelli ad alveare, ballano l’hand jive. A titolo di curiosità, Il «jive della mano» era un ballo particolarmente in voga negli anni ’50 e ’60, legato al swing e all’R&B e caratterizzato da un complesso insieme di movimenti e applausi, dove le mani colpivano le varie parti del corpo, accompagnando o imitando gli strumenti a percussione. Metafore a parte, «Charisma» contiene tutti gli additivi sonori, emozionali e chimici che mantengono la musica di Lee Morgan al riparo dall’usura e dalla corrosività del tempo.

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