Roberto Valentino

D In tre parole chi è Roberto Valentino?

R Una persona curiosa che per questo motivo ama la musica senza barriere.

D Raccontaci in breve la tua attività professionale.

R La mia attività professionale è nata come giornalista scrivendo per varie testate, sia specializzate (Musica Jazz, Strumenti Musicali e altre) che quotidiani. Poi, nel 1993, sono passato dall’altra parte della barricata, cioè ho iniziato a occuparmi di uffici stampa, inizialmente di festival jazz e per etichette discografiche, poi di festival e stagioni anche di musica classica e “misti” (per esempio I Suoni delle Dolomiti) e infine di teatro (Stagione di Prosa del Teatro Donizetti di Bergamo). Di tanto in tanto scrivo ancora qualche articolo. Un altro aspetto della mia attività riguarda le consulenze artistiche: per 18 anni ho curato a Pavia la rassegna “Dialoghi: jazz per due” e da diverso tempo sono assistente alla direzione artistica di Bergamo Jazz.

D A che età e come hai scoperto il jazz?

R Il primo festival jazz che ho seguito come spettatore è stato quello di Bergamo del 1972. Avevo 16 anni. Già da qualche anno ascoltavo rock. Il tramite principale tra i due ambiti è stato Miles Davis. Ma anche un concerto dei Soft Machine, visti nello stesso 1972, è stato importante. Credo che gli anni Settanta siano stati un periodo molto stimolante, offrendo possibilità di ascolto straordinarie che, personalmente, mi hanno segnato in modo profondo.

D Ha ancora un senso oggi la parola jazz? Se sì perché?

R Ha senso parlare ancora oggi di jazz se si intende questa musica come un universo, piccolo e grande che sia, che trae la linfa vitale dall’incontro tra culture e musiche diverse. Da tempo ormai non esiste un filone stilistico predominante e ciò fa sì che la varietà di proposte jazzistiche sia molto ampia e variegata.

D Dei lavori da te intrapresi quali ritieni siano i più gratificanti o esemplari per il tuo contributo alla vita jazzistica?

R Penso di aver dato un contributo significativo al riposizionamento di Bergamo Jazz a livello nazionale e non solo. Purtroppo, come è ben noto, gli spazi sulla stampa nazionale per il jazz sono andati decrescendo in modo significativo. Quindi, in relazione all’attività di uffici stampa oggi può essere più gratificante la promozione di festival e stagioni di musica classica o altro, piuttosto che di ambito strettamente jazzistico.

D Qualche aneddoto buffo o curioso in tutta la tua carriera?

R Quando curavo la rassegna di duetti a Pavia, mi è capitato che un pianista (italiano) rompesse un tasto del pianoforte. In realtà il tasto si era solo scollato e quindi riuscii a superare abbastanza indenne il momento di panico.

D Che idea hai tu del jazz quale espressione artistica e culturale?

R Come dicevo sopra, il jazz è il punto di incontro tra culture e musiche diverse: il suo valore artistico e culturale sta tutto qui.

D Con quali modalità (anche personali) ti rapporti con i tuoi ‘colleghi’ direttori di altre città e  con chi comunque lavora al tuo fianco o in contesti similari?

R In quanto rappresentante di Bergamo Jazz, partecipo abbastanza attivamente alle attività dell’associazione I-Jazz. Le occasioni di scambio di idee e informazioni con altri direttori artistici sono quindi abbastanza frequenti. E questo è un aspetto molto importante. In generale sono una persona collaborativa e disponibile al confronto.

D Ritieni che in Italia vi siano spazi interessanti per contribuire ad accrescere o sviluppare una vera cultura del jazz (o sul jazz)?

R Il jazz in Italia ha fatto passi da gigante da almeno mezzo secolo. Festival e rassegne hanno indubbiamente contribuito a diffonderlo. Anche il lavoro di alcuni studiosi e divulgatori è stato importante, come quello dell’unica rivista di settore ancora in vita. Negli ultimi anni gli spazi per un dibattito concreto sul jazz sono purtroppo diminuiti. Una delle ragioni è l’attuale carenza di critici musicali e studiosi davvero carismatici come c’erano una volta, pur non sempre condivisibili.

D Esiste secondo te un jazz italiano a livello musicale? E uno europeo? Cosa li contraddistingue dagli americani?

R Certo, esiste un jazz europeo e all’interno di questo c’è un jazz italiano con proprie caratteristiche e specificità di linguaggio che nascono dal distacco, a volte radicale, dal jazz statunitense. Un jazz europeo, e quindi anche italiano, come fotocopia di quello americano non ha, a mio avviso, alcun senso. Quindi, largo a “vie nazionali” che possono anche nutrirsi di musiche esterne al jazz, sia “colte” che “popolari”.

D Come ti relazioni all’oggetto disco, anche a livello personale?

R Essendo cresciuto come ascoltatore di dischi con gli LP e poi con i CD, continuo a essere fedele al prodotto discografico “fisico”. Non riesco ad ascoltare musica col computer o con altri sistemi digitali e non faccio mai uso di piattaforme streaming. Per me il disco, LP o CD, è un oggetto da tenere in mano mentre ascolto musica, magari leggendo le note di copertina. Tutto ciò senza essere maniacale.

D Come penultima domanda, forse banale, ti chiedo una tua top five o top ten dei jazzmen più amati e, se ti va, dei tre dischi da isola deserta.

R In ordine sparso direi: Miles Davis, John Coltrane, Ornette Coleman, Keith Jarrett, Frank Zappa, anche se quest’ultimo col jazz può in apparenza centrare poco. Ma in realtà Zappa ha avuto a che fare col jazz molto di più di quanto lui stesso lo abbia mai ammesso.

Tre dischi da isola deserta: Bitches Brew di Miles Davis, A Love Supreme di John Coltrane, The Grand Wazoo di Frank Zappa. Questo è quello che penso alle ore 22.30 del 22 aprile 2024. Non escludo di cambiare idea tra pochi minuti, forse lasciando al suo posto solo Bitches Brew.

D E un’ultima domanda o meglio un giudizio (anche sintetico) sull’Italia di oggi a livello di arte e cultura.

R Non mi sembra che negli ultimi anni si viva un periodo di grande fermento creativo. Segno di politiche istituzionali che mirano forse più alla forma che ai contenuti. Ma anche segno di tempi che in generale sono, appunto, più orientati alla forma, all’immagine, che alla forza delle idee.

Roberto Valentino

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