// di Francesco Cataldo Verrina //

Anni fa su una rivista americana, c’era qualcuno che si lamentava del fatto che J.J.Johnson non avesse mai suonato con Coltrane. Poco male, potremmo aggiungere, molti personaggi rappresentativi del jazz moderno non si sono mai incontrati ed a volte solo sfiorati. Su Johnson c’è una vasta letteratura e pareri contrastanti. Il critico Martin Williams si rammaricava del fatto che Johnson suonasse con un certo distacco, dando poco di sé ai suoi assoli; dal canto suo il trombonista ribatteva, dicendo di lavorare duramente durante le registrazioni e con irreprensibile impegno. Miles Davis, al contrario, dopo aver osservato Johnson pianificare i propri assoli, sosteneva: «Non sarò mai furbo come Jay Jay». A conti fatti però Johnson è stato un misto di tecnica e passione, operando con estrema destrezza su uno strumento non facilissimo da modellare sugli stilemi del bop; di sicuro il miglior trombonista dell’era moderna del jazz.

«First Place» è uno degli album più riusciti della storia, dove un trombonista guida una sezione ritmica stellare. Johnson risulta definitivo ed impeccabile come sempre ed ogni brano sembra divorare l’altro, creando una piacevole matrioska sonora ad incastro. Una menzione speciale va alla sussurrata versione di «For Heaven’s Sake», dai toni caldi e bruniti, una melodia ipnotica che tesse lentamente il suo incantesimo. Uno standard poco praticato da altri musicisti, tanto da farlo sembrare vivo come un inedito. «First Place» è ufficialmente il primo album registrato con l’accompagnamento di Tommy Flanagan al pianoforte, che diventa una sorta di alter ego, Paul Chambers al basso e Max Roach alla batteria, i quali forniscono al trombone un supporto perfetto, perpetuato da un esemplare gioco di squadra, come una dinamo ad alimentazione continua.

Registrato e pubblicato nel 1957, l’album evidenzia i mille talenti di Johnson e la facilità con cui vincerà, presto, tutti i sondaggi di settore di quegli anni, divenendo una sorta di autorità dello strumento a fiato, in grado di influenzare intere generazioni di trombonisti per i decenni a venire. «First Place» si sostanzia attraverso cinque ottimi standard e tre composizioni a firma del band-leader. Si parte dalla ripresa di «It’s Only A Paper Moon,» eseguita con tono brillante ed ottimista, seguita da un’esuberante serie di brani come «Paul’s Pal», «Harvey’s House» e si conclude con due originali, «Commutation» e «Harvey’s House», sempre ad alta oscillazione e guidati a trazione integrale. Sulla B-Side una raffica di tre allettanti standard: «That Tired Routine Called Love», «Be My Love» e «Cry Me A River», suggellati dall’altro componimento uscito dalla penna di Johnson, «Nickels And Dimes». Pubblicato originariamente dalla Columbia, «First Place» è un disco a tratti sublime nel suo fascino senza tempo, costantemente lirico e vibrante.

«Blue Trombone» è uno di quegli album che sviluppa un’ambientazione immaginifica, musicalmente ricca di soluzioni e visivamente complessa, nonostante un line-up ristretto abbia accompagnato J.J. Johnson in questa eccellente tappa della sua discografia. L’album è del 1957, lo stesso anno in cui uscì il consacrato «First Place», dove il trombonista metteva ulteriormente in evidenza le notevoli capacità espressive e adattive e le capacità di arrangiatore con un line-up più composito, che aveva contribuito ad esaltarne le raffinate composizioni, raggiungendo un sorta di empireo sonoro, generato dalla combinazione di una swingante vitalità e di un vellutato virtuosismo sorgivo e mai ostentato.

«Blue Trombone» non stride al confronto, divenendo una sorta di resistenza all’usura del tempo e al disfacimento dei moduli espressivi; profondamente affascinante, offre la dimensione assoluta di J.J. Johnson nel formato quartetto ed un ritorno sulla terra nella forma migliore. Il line-up scoperchia subito gli altarini con una versione ariosa di «Hello Young Lovers», mentre il riuscito set di brani procede con la sua variegata gamma di superbe composizioni come «Kev», la title-track «Blue Trombone» e «100 Proof». Ogni traccia possiede la giusta viscosità per intrappolare il fruitore anche negli standard come «What’s New». «Gone Withe The Wind» è un vento leggero che sussurra dolci frasi d’amore. «Blue Trombone» è il secondo album del quartetto, un capolavoro ad imperitura memoria. Molte medaglie al merito vanno affisse al petto dei sodali Tommy Flanagan al piano, Paul Chambers al basso e Max Roach alla batteria, i quali hanno contribuito ad alimentare il fuoco artistico di Johnson in maniera congeniale, trasformando una session in un’opera d’arte superiore.

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