// di Guido Michelone //

Laurent De Wilde è noto a tutti (o quasi), in Italia soprattutto per un libro tradotto da Minimum Fax. Benché francese nasce a Washington D.C. nel 1960, ma passa l’infanzia nell’Hexagone, per tornare negli Stati Uniti ventitreenne grazie a una borsa di studio al Brooklyn Campus della Long Island University.Grazie ai consigli e all’incoraggiamento di Jim McNeely e Mulgrew Miller, Laurent comincia a farsi conoscere nell’ambiente jazz americano, esibendosi al fianco di musicisti del calibro di Reggie Workman, Ralph Moore e Greg Osby. Dopo quattro album per l’etichetta Ida Records, rientra a Parigi con l’intenzione di rimanerci, ma la registrazione dell’album Open Changes, in trio assieme a Ira Coleman e Billy Drummond, lo porta di nuovo a New York. Il grande successo del disco gli consente di vincere il premio Django Reinhardt come miglior musicista francese dell’anno, andato in passato a grandi artisti d’oltralpe come Martial Solal, Michel Portal e Michel Petrucciani. Per Laurent è un nuovo inizio e la carriera di solista e di accompagnatore finalmente decolla, dividendo il palco Dee Dee Bridgewater, Joshua Redman e Tom Harrell. Nel 1996 pubblica in lingua francese la biografia di Thelonious Monk, incontrando un successo immediato (quattro edizioni in un anno) e vincendo il premio Charles Delaunay come miglior libro sul jazz dell’anno: se ne accorge il raffinato editore romano che lo traduce e stampa nel 1999. In quest’incontro del 2020 – inedito in italiano e appositamente tradotto per Doppio Jazz – Laurent si rivela persona colta, simpatica, comunicativa.

D Laurent, puoi parlarci delle tue attività?

R Sono pianista, compositore, produttore, scrittore e conduttore radiofonico. Come pianista, registro dischi a mio nome e sono in tournée con i miei diversi gruppi (trio acustico con Jerome Regard al contrabbasso e Donald Kontomanou alla batteria, duo pianistico con Ray Lema, duo piano-computer con Otisto 23), come compositore scrivo musica per me e per varie commissioni, come produttore produco album di artisti francesi come Géraldine Laurent, Paul Lay o Eric Le Lann, come scrittore ho pubblicato una biografia di Thelonious Monk (Monk) così come ‘una storia della liuteria elettronica del XX secolo (Les fous du son).

D Come lavori alla radio?

R Ho un programma settimanale sul jazz di TSF, in cui invito personaggi pubblici (attori, atleti, scrittori, pittori, imprenditori, ecc.) a condividere con gli ascoltatori la loro passione per il jazz. Portano una playlist di un’ora dei loro musicisti preferiti, noi suoniamo la playlist e ne parliamo. È un format molto rilassato e gli ospiti possono parlare di sé, della loro vita, del loro rapporto con il jazz per un’ora senza la minima costrizione – spesso se ne vanno molto felici!

D Puoi raccontarci, in breve, la tua esperienza nel jazz, dall’infanzia ad oggi?

R Quando ho sentito per la prima volta il jazz (un disco di Oscar Peterson portato dal fidanzato di mia sorella maggiore), mi sono subito innamorato di questa musica, volevo suonarla, subito. Purtroppo ho preso lezioni solo molto tardi, dall’età di diciott’anni, prima facevo tutto a orecchio… E poi ho studiato francese e filosofia abbastanza intensamente fino all’École Normale Supérieure, non potevo più suonare, non avevo tempo e questo mi rendeva molto infelice. Quando sono stato ammesso all’ENS, ho capito che era la musica, la mia vera passione, e che dovevo recuperare tutto questo tempo perduto! Così sono andato a New York da studente di jazz, poi da giovane professionista e ho registrato lì il mio primo disco nel 1987, avevo 26 anni… Ho continuato a studiare e registrare fino al 1991, quando sono poi tornato in Francia per mettere su famiglia. La mia vera carriera è quindi iniziata in Francia, anche se ho continuato a suonare e registrare negli Stati Uniti fino alla fine degli anni Novanta.

D E dopo, il XXI secolo?

R Affascinato dalla nuova generazione di musicisti del drum n’ bass o del minimal berlinese, nel 2000 ho pubblicato un album ‘electro’ a cui sono seguiti diversi altri, prima in gruppo, poi in duo con gli Ordinist Otisto 23. In questo periodo , ho continuato a suonare e registrare jazz acustico, il più delle volte in trio, il mio gruppo preferito. Oggi condivido la mia vita musicale tra il mio trio, il mio duo con Ray Lema, varie esperienze elettroniche e la direzione artistica o produzione per altri artisti.

Il primo ricordo legato alla musica quando eri bambino?

L’arrivo di un pianoforte verticale nella mia stanza. Le mie sorelle non lo volevano, così l’ho ereditato quando avevo sette anni… era un pianoforte Rippen in legno chiaro con tasti in plastica, e pensavo fosse lo strumento più bello del mondo! Ho iniziato a suonarlo e sono rimasto affascinato dai suoni che ne uscivano…

D Cosa significa la musica per te?

R Per me è l’arte più alta, perché si esprime in vibrazioni, in frequenze. Tuttavia, tutta la materia ha una frequenza. È quindi l’arte più in sintonia con la materia, con l’universo intero! È anche un’arte di trance, che ci collega a tutti i tipi di cose misteriose e per nulla razionali. Per i greci c’erano due protettori della musica: Apollo, che esprime l’ordine, i numeri, le forme, e Dioniso, che vuole l’eccesso, l’ebbrezza, il superamento di se stessi… La musica è per me la combinazione di questi due mondi.

D E cosa significa per te il jazz?

R Il jazz è, grazie all’improvvisazione, un’idea di libertà capace di parassitare qualsiasi altra musica. È un modo per dire: sono libero…

D Chi sono i tuoi maestri in musica e jazz?

R Alla mia età la lista è lunga! Ma potrei citare Miles Davis, Thelonious Monk, Ahmad Jamal, Charles Mingus, Herbie Hancock… ma ce ne sono tanti!!!

D Il disco jazz più bello per te?

R Quello che, il giorno in cui lo ascolto per la centesima volta, mi dà l’impressione di ascoltarlo per la prima volta scoprendone tutta la bellezza e dischi del genere, ne conosco più di mille 🙂

D Secondo te, ci sono collegamenti tra il jazz e la politica?

R Dalla fine degli anni Sessanta, il jazz non è più quella membrana vibrante che assorbiva tutto ciò che accadeva in una società. Adesso è la musica che non ha più alcun impatto ideologico, e spesso viene giudicata elitaria e pretenziosa. Questo è un errore, perché il jazz non è mai stato così presente, così molteplice come oggi… Penso che rappresenti un’idea di libertà che spaventa e disturba molti e fa piacere a molti altri – non è un’azione politica molto concertata, ma una presenza insolita che conta e che sentiamo ogni giorno…

D Cosa pensi della situazione del jazz in Francia oggi?

R È chiaro che non mi piacerebbe essere un giovane musicista che approda oggi sulla scena jazz! I dischi vengono venduti solo dopo i concerti, e tu devi fare concerti! L’economia della musica sta cambiando e nuovi modelli devono ancora essere inventati, sono più le cose che crollano che quelle che vengono costruite…

D Ma sei davvero così pessimista?

R In effetti, modererei questa visione un po’ cupa con il fatto che, per prima cosa, anno dopo anno arrivano sul mercato generazioni di giovani jazzisti, con un livello tecnico incredibile e tantissime cose da dire. E per seconda cosa la Francia è un paese che sostiene enormemente i suoi artisti, li difende, li aiuta (il sistema dei lavoratori intermittenti nell’industria dello spettacolo è una situazione che tutti i musicisti del mondo invidiano!). Quindi alla fine sono fiducioso per il futuro!

Laurent de Wilde & Ray Lema

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