Il progetto si colloca a pieno titolo nell’ambito di quella che appare, a tutt’oggi, una prerogativa conclamata del jazz del terzo millennio, ossia il ricorso all’arte della mescolanza con l’elettronica, cogliendo, come in un istantanea, alcuni singolari aspetti del fenomeno

// di Francesco Cataldo Verrina //

Chi l’avrebbe mai detto che il jazz potesse diventare uno dei principali corroboranti della musica elettronica vicina alle dance-floor, perfino a quel tipo di house music, definita baleraic downtempo. Sono in fondo solo definizioni di circostanza o dettate da esigenze editoriali. Il jazz per la sua regolarità ritmica (non dimentichiamo che nasce come musica da ballo) diventa un perfetto alleato di molti generi contemporanei. Il rapporto tra il jazz, nell’accezione più larga del termine, l’elettronica o qualunque forma espressiva che si sviluppi partendo da una codifica alfanumerica o da sonorità precompilate, non è proprio di recente acquisizione. Oggi però c’è una tendenza, più che altro una linea di demarcazione sottile, talvolta perfino invisibile, che unisce il jazz a molte delle istanze musicali legate alla contemporaneità, dove tutto risulta alquanto frammentario e parcellizzato e, talvolta, si ha come l’impressione che le vie della creatività siano saldamente serrate e che non sia facile aprirle. Il jazz diventa, così, il grimaldello giusto per aprire molteplici spiragli ad un’innovazione combinatoria di elementi provenienti da diversi angoli dello scibile sonoro.

Nell’album, «DJ Rocca Presents Triorox Moods», edito dalla Irma Records, etichetta da sempre con le antenne puntate nell’iperspazio delle nuove tendenze, più che di sperimentazione fine a se sessa e fortemente estetizzante, possiamo parlare di evoluzione o di esigenza di cambiamento da parte di musicisti con un background jazzistico in piena regola. Triorox è un concept nato dall’incontro fra il pianista Giovanni Guidi, il bassista Joe Rehmer e il DJ-musicista elettronico Luca Roccatagliati, alias DJ Rocca. Guidi, talento precoce del pianoforte jazz, ha pubblicato vari album per l’etichetta ECM ed ha collaborato con Enrico Rava, Matthew Herbert, Lovano e Ricardo Villalobos; Joe Rehmer, americano di stanza in Italia, richiestissimo come bassista in qualità di sideman, ha condiviso palchi e studi di registrazione con gente del calibro di Bob Mintzer, James Moody e Danny Gottlieb. DJ Rocca, attivo dagli anni Novanta, vanta numerosi album, singoli e remix insieme o per conto dei protagonisti della scena dance alternativa, quali Andrew Weatherall, Dimitri From Paris e Howie B, oltre a una riconosciuta attività in ambito jazzistico con alcuni progetti realizzati insieme a Franco D’Andrea. Senza tralasciare la presenza di taluni ospiti d’eccezione: il sassofonista Luigi Di Nunzio, autore oltremodo di tre brani, il trombonista Gianluca Petrella, il clarinettista Dan Kinzelman e il trombettista Jacopo Fagioli. A differenza di progetti similari, dove il DJ o beatmaker assembla suoni e loop proveniente da lavoro esterni o preesistenti, in tale circostanza i musicisti, i cui loop, riff ed assoli campionati sono stati innestati nel substrato elettronico, fanno tutti parte integrante del progetto ed il materiale prodotto durante le sessioni è stato suonato appositamente per l’album «Triorox Moods». Il costrutto si dipana tra dance, jazz e pop, con pressioni e groovin’ vicini all’house alla techno, passando attraverso una rete di conurbazioni ubicate all’incrocio tra elettronica, musica eurodotta e minimalismo, tanto che in ultima analisi si potrebbe parlare di un crogiolo di stili a metà strada tra Keith Jarrett e Carl Craig. Tutti i costituenti sono allocati in un universo in parte metafisico ed impalpabile, dove la fisica materica della sostanza sonora si fonde armonicamente alla componente spirituale che si si sviluppa partendo dal sinestetico rapporto fra i protagonisti della sessioni. Il distillato di pochi fugaci incontri fra gli attanti si basa su una percezione extrasensoriale ed atemporale dell’altro generalizzato, poiché inconsapevole della risultante finale del progetto finalizzato solo in fase di assemblaggio e di post produzione.

L’album si colloca a pieno titolo nell’ambito di quella che appare, a tutt’oggi, una prerogativa conclamata del jazz del terzo millennio, ossia il ricorso all’arte della mescolanza con l’elettronica, cogliendo, come in un istantanea, alcuni singolari aspetti del fenomeno. Un preciso chiarimento sulla struttura musicale dell’intero lavoro, che ha avuto tre diverse fasi, arriva dalle dichiarazioni dei titolari dell’impresa: «La prima fase, in cui i brani sono nati dalle registrazioni, alcuni si sono sviluppati come creazioni con un denominatore comune (nei tre brani chiamati Mood One, Two e Three), altri come suggestioni tematiche («Angels», «Corea» e «Next To Canada»), oppure come sfida stilistica (la techno di «Space Rain», o la drum and bass di «Sax & The City»). La seconda fase, in cui le composizioni sono state sottoposte alla prova dei concerti dal vivo, in cui si è capito come i brani potessero essere meglio arrangiati ed ottimizzati conservando i migliori. L’ultima fase riguarda la scelta e l’inserimento degli ospiti, ragionando in base al tipo di suggestione che si voleva dare alla specifica canzone. Così abbiamo dato libero sfogo a Luigi Di Nunzio, che ha partecipato anche alla seconda fase, suonando con noi sul palco in alcune occasioni. Allo stesso modo, Gianluca Petrella ha scelto il brano in cui si sentiva più a suo agio, contribuendo all’arrangiamento. Dan Kinzelman, storico collaboratore sia di Guidi che di Rehmer, è stato inserito perché volevamo il suo clarinetto basso in una specifica situazione. Infine, abbiamo coinvolto Jacopo Fagioli, la reincarnazione toscana di Don Cherry, in uno particolare episodio di Mood, al fine di determinare il mood di cui il brano aveva bisogno».

Per una strana combinazione, pur valutando l’album come un’operazione ben riuscita nella sua interezza e complessità, i momenti più riusciti risultano quelli corroborati dalla presenza degli ospiti, in particolare l’opener «Mirrors» che, dopo un abbrivio quasi sospeso, muta geneticamente in una felpata dance a metà strada tra acid jazz e deep house dai contrafforti soulful accentuati dal contributo di Gianluca Petrella al trombone; dal canto suo, Luigi Di Nunzio dilata abilmente il metronomico groove ipertechno di «Space Rain»; Jacopo Fagioli s’incastra in maniera mercuriale nel frantumato drum’n’bass di «Sax And The City», sul quale agisce con una tecnica quasi free form, mentre Dan Kinzelman diventa maestro dei contrasti e delle missioni impossibili in «Next to Canada». Gli integralisti, di solito, mettono la testa nella sabbia come gli struzzi di fronte ad iniziative del genere, specie quando coinvolgono musicisti jazz con tanto di pedigree, ma «DJ Rocca Presents Triorox Moods» è un lavoro di stoffa pregiata, almeno nell’ambito del «settore merceologico» di pertinenza. E poi, oggi, non è più tempo di anatemi e di scomuniche. Soprattutto a nessuno viene più richiesto di cospargersi il capo di cenere ed attraversare in penitenza la via di Damasco. Il jazz del terzo millennio è anche questo: così è, se vi pare!

Triorox Live

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