…linee di confine sonoro che tagliano trasversalmente la dimensione acustica passando per la sperimentazione elettronica. I tre musicisti esplorano e disegnano al contempo universi sonori apparentemente distanti, ma ben amalgamati in un costrutto concettuale coerente
// di Francesco Cataldo Verrina //
Il primo impatto con la copertina è piuttosto suggestivo: un alieno o un esploratore dell’infinito che passeggia lungo il viale di una metropoli. Tutto ciò fa affiorare alla mente il Marziano di Pif, non per la struttura somatica o l’aspetto fisico, ma per l’affinità semantica e culturale. L’ominide in tuta spaziale non si muove nell’iperspazio galattico, ma conduce il fruitore in un dedalo di suggestioni post-moderne attraverso i suoni e le atmosfere di una realtà urbana fatta di vantaggi, presagi, contagi e disagi, quale perifrastica attiva di un futuro sintetico, teso costantemente ad una dimensione narrativa in itinere.
Così, «Somewhere In My Mind» di Luigi Masciari, ci porta in una giungla metropolitana, alquanto terrestre, sulla scorta di una ridda di sonorità fuse al calor bianco, in cui il jazz diventa uno scenario ideale dai contorni sfumati e non facilmente definibili. Quella di Masciari è musica di sintesi supportata dalla pedalata assistita di un’elettronica facilitante ed abilitante, ma dosata cum grano salis. Un tempo avremmo parlato di fusion-music, termine pressoché desueto; per contro si capisce bene, però, in quale humus culturale affondino le radici del chitarrista-compositore, giunto alla sua terza prova d’autore per la Tosky Records, forte di una profondità sapienzale e di un background ricco, articolato e fitto di collaborazioni internazionali. Le composizioni trattate nell’album affiorano su un substrato jazzistico implementato da marcate atmosfere di chiara derivazione funk, rock e pop, evitando costantemente la prevedibilità ed il ricalco manieristico di taluni modelli del passato. L’iniziale «The Blade» introduce l’ascoltatore in un habitat rarefatto producendo una dimensione quasi vaporizzata dall’aura pinkfloydiana, così come la successiva «Japanese Cowboy», pur mantenendo un’atmosfera liquida e sospesa, si arricchisce di essenze orientali, con la chitarra che irrobustisce i contrafforti melodici alla ricerca di una dimensione più leggiadra e friabile. «Flying Clouds» sembra concludere una prima fase dell’album, in cui il chitarrista ed i suoi soci tentano di sondare i benefici della partitura attraverso uno scandaglio più profondo del territorio circostante ad un passo dal cielo, tanto che «Out Of Space» segna un cambio d’umore e d’ambientazione dimenandosi negli anfratti di un sound sub-urbano dal groove più incisivo, tagliente e funkified.
Masciari propone un itinerario basato su sette composizioni originali contrassegnate da un mood variabile ed eclettico ed avvalendosi del fattivo supporto del tastierista Jason Lindner, musicista di fama mondiale che, in questa circostanza, si misura con Sequential Prophet Six, il pianoforte, il piano Rhodes, il Moog Sub 37 e vari pedali FX; non ultimo per importanza il contributo di Roberto Giaquinto, batterista e compositore di lunga esperienza, capace accompagnare e diluire il flusso melodico-armonico con un incedere progressivo ed incentivante, di cui «The Sphinx» sembra essere la sintesi perfetta con il suo costrutto effettato dall’elettronica ed una sequenza di dardeggianti riff. Il chitarrista Napoletano, rassicurato dal sinergico apporto dei sodali, elabora progressivamente una ragnatela sonora imperniata su ambientazioni sviluppate su linee di confine che tagliano trasversalmente la dimensione acustica passando per la sperimentazione elettronica ed un’idea di futuro sempre a portata di mano, di cui «Good Old Joe» e «Monolith» diventano le due facce della stessa medaglia. Così, i tre esploratori intercettano e mappano al contempo universi sonori apparentemente distanti, ma ben amalgamati in un costrutto concettuale coerente saldato da un fattivo e mercuriale interscambio, dove la classica improvvisazione si alterna al reiterato uso di loop elettronici. «Somewhere In My Mind» di Luigi Masciari Feat. Jason Lindner e Roberto Giaquinto è la rappresentazione plastica di una contemporaneità jazzistica nell’accezione più larga del termine, in cui moduli espressivi molteplici si incontrano, si annusano e s’intersecano dando alla luce nuove forme di vita musicale sul pianeta della creatività.